I rischi della proposta di aumento delle pensioni a mille euro al mese

Nonostante una finanziaria che già premia i trattamenti al minimo, a discapito di lavoro e merito, sul prossimo futuro incombe la proposta di portare tutte le pensioni a 1.000 euro al mese: un onere che comprometterebbe la sostenibilità INPS. Un annuncio volto a catturare consenso che, numeri alla mano, non fa però il bene del Paese... 

Alberto Brambilla

Tutti coloro che hanno a cuore la sostenibilità di lungo termine del sistema pensionistico, il che significa onorare il patto intergenerazionale e garantire ai giovani che l’INPS riuscirà a erogare anche a loro tra 20/30 anni le pensioni, non possono che denunciare, anzi urlare, contro la proposta di Berlusconi e di Forza Italia di portare le pensioni a mille euro al mese, aggravata ulteriormente dalla richiesta di azzerare la contribuzione previdenziale per tutte le nuove assunzioni. Queste le affermazioni di Berlusconi: «È necessario fare il massimo sforzo possibile per aumentare le pensioni minime a mille euro, che resta l’obiettivo di Forza Italia per la legislatura mentre siamo impegnati per la detassazione e la decontribuzione totale dei nuovi assunti, che devono costare alle aziende la stessa cifra che percepiscono come stipendio».

A parte il finale della frase, che non ha alcun senso logico e denota che gli azzurri non hanno mai ne visto né fatto una busta paga, se queste proposte venissero accettate significherebbero il “fallimento” dell’istituto previdenziale nel breve volgere di qualche anno e i calcoli che seguono lo dimostrano ampiamente. Già il governo Meloni ha premiato i percettori di assegni sociali e pensioni minime, per la gran parte ex lavoratori in nero, evasori ed elusori, quando non malavitosi, con una generosa rivalutazione del 8,8% e portando le rendite a 600 euro per gli over 75, facendo pagare però il conto ai pensionati onesti, quelli che hanno rendite da 2.100 euro lordi al mese in su, defraudati come mai era avvenuto negli ultimi 25 anni. Ci mancherebbe adesso aumentarle ulteriormente a mille euro. Senza contare che che il nostra Paese già soffre di un'evidente evasione di contributi sociali, di almeno oltre 20 miliardi, anche perché gli evasori sanno che a 67 anni lo Stato una pensione sociale o integrata la concede su semplice richiesta senza chiedere a queste persone, sconosciute da fisco e INPS, le ragioni per le quali non hanno mai pagato tasse e contributi e come hanno vissuto; o, ancora, che queste prestazioni assistenziali sono nette cioè esentate totalmente dal prelievo fiscale. 

Con la certezza di prendere mille euro netti al mese aumenteranno gli elusori e pagheranno quelli che lavorano onestamente e hanno il prelievo alla fonte. Perché pagare tasse e contributi tutta la vita per prendere una pensione che, tassata, arriva a poco più di 1.000 euro se, non versando nulla, ne posso prendere mille netti esentasse? Il che, in prospettiva, creerebbe un buco contributivo ancora maggiore, da sommare al costo dell’aumento di queste pensioni. La proposta di Forza Italia in verità non dice nulla su quali pensioni e per quali pensionati dovrebbe scattare l’aumento prima a 600 euro e poi a 1.000; come spesso accade, si tratta di annunci per catturare il consenso politico senza alcuna valutazione di costo e senza pensare al bene del Paese. 

a) Quanto al proposto aumento ai 600 euro occorre considerare che molte pensioni integrate al minimo e non integrate, le pensioni di invalidità civile, le pensioni e gli assegni sociali godono, grazie a leggi e leggine dell’ultimo ventennio, di una serie di maggiorazioni sociali che si sono stratificate negli anni e tra le quali spicca proprio il milione al mese di lire di Berlusconi nel 2001. Di conseguenza, oggi, più di 1.816.799 pensionati hanno già raggiunto e superato i 600 euro; tra questi: 625.886 pensioni integrate al minimo con maggiorazione sociali tra i 40 e 70 euro medi mensili; 721.281 pensioni/assegni sociali con circa 172 euro di maggiorazione sociale e 325.692 pensioni agli invalidi civili con circa 308,93 euro mensili di maggiorazione sociale e con un'integrazione sociale media di 164 euro al mese. Per portare questi pensionati a mille euro al mese, il costo sarebbe di 9,282 miliardi. 

b) I pensionati con pensioni e assegni sociali senza maggiorazioni sono 86.824 su 808.105 con un importo medio annuo di 6.130,15 euro che, diviso per 13 mensilità, fa 471,55 euro al mese; se le volessimo portare a 600 euro il costo sarebbe pari a 145 milioni l’anno; a mille euro a 597 milioni. 

c) Le pensioni di invalidità civile senza maggiorazione sono 676.635 su 1.002.327, per un importo annuo di 4.958,72 euro che, diviso per 13 mensilità, fa 381,44 euro, quindi più elevato dello standard di 291,97 euro; per portarle a 600 euro al mese il costo sarebbe di 1,9 miliardi, mentre a mille euro al mese il costo sarebbe di 5,441 miliardi. 

d) Le pensioni integrate al minimo e altre prestazioni legate al reddito senza maggiorazioni, per il 2022 valgono 525,38 euro al mese e riguardano 1.971.647 su 2.597.533 trattamenti minimi e hanno in media una pensione, in base ai contributi effettivamente versati e alle numerose contribuzioni figurative, pari a circa 300 euro al mese (questi pensionati non sono riusciti in 65/67 anni di vita a fare almeno 10 anni regolari sui 15, poi diventati 20, necessari per la pensione di vecchiaia); l’integrazione ammonta in media a 202,6 euro al mes,  già oggi a carico delle rispettive Gestioni previdenziali INPS e dello Stato, come le altre due prestazioni sopra evidenziate. Se si vogliono integrare a 600 o a 1.000 euro al mese,  i costi sono rispettivamente 2,207 miliardi e 12,46 miliardi. In totale, finora si sono considerati 4,552 milioni di pensionati (su un totale di 16 milioni), per un costo totale annuo nella ipotesi di aumenti a 600 euro di 4,275 miliardi, e a 1.000 euro al mese di 27,779 miliardi, una spesa strutturale che aumenta ogni anno per nuovi pensionamenti, aumento della speranza di vita e inflazione.

Poi ci sono altre pensioni sotto i mille euro, frutto per la maggior parte di infedeltà fiscale, ma la cifra calcolata è talmente rilevante e improponibile che ci si può fermare qui, anche perché in questi ultimi 20 anni la politica ha caricato la spesa pensionistica di oltre 9 miliardi di integrazioni assistenziali e fatto decontribuzioni che oggi ci costano 24 miliardi l’anno, mischiando previdenza e assistenza, danneggiando il merito. E infatti l’Italia primeggia per evasione IRPEF (la metà degli italiani non paga un euro) e IVA (26 miliardi, più della Germania che però ha 81 milioni di abitanti), mentre siamo ultimi per tasso di occupazione (ci mancano per essere in media almeno 4 milioni di lavoratori) e per produttività complessiva, nonostante le ottime performance del settore manufatturiero. 

Pensare alle pensioni minime per guadagnare un pugno di voti significa condannare l’Italia alla miseria e al mancato sviluppo: per dirla con Aldo Moro: «Questo Paese non si salverà e la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere e della responsabilità». A fronte di questi enormi costi, Berlusconi, non contento, vorrebbe anche la decontribuzione che costerebbe per il primo anno 2,4 miliardi, quasi 5 nel secondo e 7,6 nel terzo, decretando così in pochi anni il fallimento del nostro sistema pensionistico senza alcuna separazione con la spesa assistenziale, che oggi costa come le pensioni al netto dell’IRPEF.

Una proposta che i cittadini onesti devono fermare a tutti i costi.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

30/12/2022

 
 

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