TFR alla prova dell'inflazione: in azienda o al fondo pensione?

La forte crescita dall'inflazione riaccende i riflettori sulla scelta della destinazione del TFR: tenuto conto della diversa modalità di rivalutazione, meglio destinarlo al fondo pensione o lasciarlo in azienda? Il lungo periodo la chiave per una scelta più consapevole

Niccolò De Rossi

Prima la pandemia, ora la guerra. Il risultato dell’interazione di questi due scenari ha portato al ritorno dell’inflazione, variabile quasi assente nell’ultimo decennio per quanto obiettivo dichiarato delle politiche monetarie delle Banche Centrali. Se per anni è stata ricorsa una crescita dei prezzi vicino al 2%, oggi ci si interroga non più sul se la dinamica inflazionistica sarà transitoria (ipotesi iniziale ormai accantonata), quanto piuttosto su quale livello si stabilizzerà nel prossimo futuro. I dati provvisori Istat di maggio parlano di un’inflazione acquisita per il 2022 pari al 5,7%, dinamica trainata in particolare dai bene energetici ma che spinge verso l’alto anche i prezzi di beni alimentari, servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona.

Al di là degli effetti sui consumi delle famiglie, c’è un altro tema legato all’inflazione che riguarda da vicino i lavoratori: la destinazione del proprio Trattamento di Fine Rapporto. Ma perché l’annosa disputa  - TFR al fondo pensione vs TFR in azienda - viene così strettamente legata al contesto di forte crescita dell’inflazione? Il motivo è molto semplice e risiede nella modalità con cui le imprese rivalutano ogni anno il TFR stesso: l’importo annualmente accantonato, che verrà erogato al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro (a meno di richieste di anticipazione), viene incrementato ogni anno dell’1,5% (quota fissa) + il 75% dell’inflazione (quota variabile). Maggiore è l’entità della quota variabile, quindi dell’inflazione, maggiore sarà la rivalutazione del TFR riconosciuto dall’azienda. 

Ma se invece il lavoratore decidesse di versarlo a un fondo pensione? In questo caso la rivalutazione/rendimento del TFR sarà legata all’andamento della gestione finanziaria del fondo pensione, in altre parole alla performance che riuscirà a ottenere nell’anno investendo il patrimonio sui mercati finanziari. Se da un lato è evidente che destinando il proprio TFR al fondo pensione viene meno la “certezza” della quota fissa (quell’1,5% che certamente verrà riconosciuto dall’azienda), dall’altro ci sono almeno due considerazioni da fare per avere tutti gli elementi necessari e compiere una corretta valutazione: a) l’arco temporale con cui si confrontano i rendimenti generati dal TFR in azienda o dal fondo pensione; b) i vantaggi, fiscali e non, che si ottengono aderendo a una forma pensionistica complementare.

 

L’orizzonte temporale di riferimento

Il fattore tempo è legato a qualsiasi tipo di investimento. Quando si parla di TFR e lo si lega alla scelta del fondo pensione, quindi a un risparmio di tipo previdenziale, non si può che assumere orizzonti temporali di medio/lungo periodo. Solitamente infatti, si confronta la performance ottenuta dalle diverse forme di previdenza complementare con la rivalutazione del TFR presso le aziende. Proprio a questo riguardo la Relazione COVIP per l’anno 2021 riporta il confronto su diversi periodi temporali, come riportato nella figura 1. Prendendo come riferimento il rendimento a 10 anni, la rivalutazione del TFR (quindi quella ottenuta mantenendo lo stesso in azienda) si ferma all’1,9%, a fronte di un rendimento che oscilla tra il 2,2% e il 5% per le forme pensionistiche complementari. Nonostante la rivalutazione del TFR non sia l’unico elemento di valutazione, i dati indicano che anche solo in termini puramente finanziari, la scelta di destinare il proprio TFR al fondo pensione sarebbe stata comunque più conveniente.

Figura 1 – Fondi pensione e PIP nuovi, rendimenti netti annui composti (valori percentuali)

Figura 1 – Fondi pensione e PIP nuovi, rendimenti netti annui composti (valori percentuali)

Fonte: Relazione COVIP per l’anno 2021

 

I vantaggi di aderire a un fondo pensione

Sono soprattutto di tipo fiscale. Se si guarda al fondo pensione non solo come strumento previdenziale ma anche come veicolo attraverso cui investire una parte del proprio risparmio, va considerato che beneficia di un’imposta sostitutiva del 20% su interessi e plusvalenze realizzate, anziché del 26% come gli altri strumenti finanziari. D'altra parte, i titoli di Stato nonché le obbligazioni dei titoli pubblici territoriali (come regioni, province e comuni) e i bond di stato esteri e territoriali inseriti nella white list (che contiene gli Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni) e quelli degli organismi internazionali sono tassati al 12,5%. Il rendimento del TFR lasciato in azienda è invece assoggettato all’aliquota del 17%. 

Altra caratteristica da considerare è il differente regime di tassazione che si applica al momento dell’erogazione del TFR. Nel caso dell’accantonamento in azienda sarà soggetto a tassazione separata, ovvero: la quota di Trattamento di Fine Rapporto maturato verrà moltiplicata per 12 e divisa per gli anni di servizio (TFRx12/n° anni di servizio), valore su cui verrà applicata l’aliquota (IRPEF) media di tassazione dei 5 anni antecedenti la cessazione dell’attività lavorativa. La differenza tra il TFR lordo e la quota di IRPEF appena calcolata restituirà il TFR netto a disposizione del lavoratore. Considerando che tipicamente gli ultimi anni di carriera sono quelli che offrono retribuzioni più elevate, l’imposizione IRPEF applicata al momento della cessazione del rapporto tende di fatto a essere elevata. Nel caso di versamento al fondo pensione, al momento dell’erogazione, la prestazione pensionistica (che incorporerà il TFR versato) sarà assoggettata a un’aliquota massima del 15%, che decresce dello 0,3% per ogni anno di iscrizione alla previdenza complementare successivo al quindicesimo, fino a un minimo del 9%. Quindi, maggiore è la permanenza all’interno del fondo maggiore sarà il risparmio fiscale ottenibile al momento dell’erogazione della prestazione pensionistica. 

Ci sono infine alcune differenze nell’accesso al TFR lasciato in azienda o destinato al fondo pensione nel caso di richiesta di anticipazione, vale a dire nel caso in cui il dipendente dovesse necessitare  di disporre delle somme accantonate in anticipo rispetto alla conclusione del rapporto di lavoro. Le differenze sono riassunte nella figura 2 e in questa scheda di approfondimento. 

Figura 2 - Anticipazioni: TFR al fondo pensione o in azienda a confronto

Figura 2 - Anticipazioni: TFR al fondo pensione o in azienda a confronto

Fonte: sintesi a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Come si evince, il TFR accantonato al fondo pensione gode in termini di anticipazioni di maggiore flessibilità, ma non solo. Tornando all’aspetto fiscale, l’anticipo del TFR in azienda sarà soggetto alla medesima tassazione vista poco sopra; al fondo pensione invece la tassazione che verrà applicata cambierà in base al motivo della richiesta del lavoratore: un’imposizione più contenuta nel caso di spese sanitarie (aliquota del 15% ridotta di 0,3 punti percentuali per ogni anno di adesione oltre il quindicesimo) e, in tutte le altre casistiche, una ritenuta a titolo di imposta con aliquota fissata al 23%.

Ecco dunque che, nonostante nel breve periodo certamente la crescita dei prezzi potrà contribuire alla maggiore rivalutazione del TFR lasciato in azienda, tenuto conto di tutte queste considerazioni, destinare il TFR al fondo pensione risulta una scelta convincente anche in condizioni di inflazione "sfavorevole". Cosa più importante però è che il lavoratore possa disporre di tutti gli strumenti e di tutte le informazioni necessarie a effettuare la propria scelta consapevolmente.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

21/6/2022

 
 
 

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