Un equilibrio sottile: il sistema pensionistico regge ma attenzione agli anticipi!

Grazie a un’occupazione in ripresa dopo COVID-19, torna a migliorare il rapporto attivi/pensionati, fondamentale indicatore di tenuta della previdenza italiana: nel complesso la tenuta del sistema non desta preoccupazioni, a patto però di compiere scelte oculate su anticipi ed età di pensionamento

Mara Guarino

Dal Decimo Rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2021” emergono alcuni dati utili a valutare lo stato di salute della previdenza pubblica italiana: 1) Aumenta, ancora una volta, il numero di pensionati, che salgono dai 16,041 milioni del 2020 ai 16,099 del 2021 (+57.547 unità); 2) Dopo la forte crisi causata da COVID-19, torna a crescere sensibilmente (oltre 550mila i lavoratori “recuperati”) il numero di occupati, che a fine giugno 2022 superano i 23 milioni; 3) Migliora anche il rapporto occupati e pensionati che nel 2020 si fermava a 1,384, mentre nel 2021 arriva a 1,4215. 

Quelli presentati dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali sono numeri che fanno riflettere, descrivendo un sistema pensionistico in equilibrio, al netto dell’assistenza, ma la cui stabilità rischia di essere minata dalle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero, dall’incapacità di affrontare adeguatamente l’invecchiamento della forza lavoro e da livelli occupazionali da fanalino di coda in Europa per quanto in miglioramento. 


Pensionati e prestazioni 

Dopo un trend positivo avviatosi nel 2009 e proseguito in modo costante fino al 2018 per effetto delle ultime riforme previdenziali, che hanno innalzato gradualmente requisiti anagrafici e contributivi, il numero di pensionati si mostra di nuovo in risalita: i percettori di assegno pensionistico sono 16.098.748 nel 2021 (ultimo anno di rilevazione), a fronte dei 16.041.202 del 2020. Un incremento ascrivibile alle numerose vie d’uscita in deroga alla Fornero introdotte dal 2014 in poi e culminate nel 2019 nell’introduzione di Quota 100, ma comunque inferiore a quanto ci si aspettasse dopo la ripetuta conferma degli ultimi anni di vari provvedimenti finalizzati all’anticipo pensionistico (APE sociale, Opzione Donna, etc.), anche in virtù della contestuale e numericamente significativa cancellazione di molte prestazioni di lunga decorrenza. All’1 gennaio 2022 risultavano in pagamento presso il solo settore privato INPS 353.779 prestazioni previdenziali con durata quarantennale, erogate cioè a persone andate in pensione nel lontano 1980 o ancora prima; il decremento rispetto all’anno precedente, quando se ne contavano 423.009, è del 16,4%: si tratta di 69.230 prestazioni eliminate, parte delle quali anche a causa del nuovo coronavirus, i cui esiti si sono manifestati più severamente nei confronti degli over 65.  

In particolare, il Decimo Rapporto rileva una crescita di 57.546 pensionati rispetto al 2020, vale a dire lo 0,36% in più in termini di variazione percentuale. Le pensionate aumentano rispetto all’anno precedente di 20.219 unità, mentre gli uomini crescono di 37.327 unità. A ogni modo, degli oltre 16 milioni di pensionati italiani il 51,8% è rappresentato da donne, tra l’altro destinatarie dell’87% del totale delle pensioni di reversibilità (con quote della pensione diretta del dante causa variabili tra il 60% e il 30%, in base al reddito del superstite).

Venendo invece al numero di prestazioni, al 2021 risultano in pagamento 22.758.797 prestazioni pensionistiche, 17.719.800 delle quali erogate nella tipologia IVS, e cui vanno aggiunte 4.379.238 pensioni assistenziali INPS e 659.759 prestazioni indennitarie dell’INAIL. Nel complesso, le prestazioni registrate nel 2021 sono 41.677 in più dell’anno precedente, ma comunque inferiori alle 22.805.765 del 2019: ogni pensionato riceve in media 1,4137 prestazioni, il livello più basso dal 2007. Detto altrimenti, è in pagamento una prestazione ogni 2.592 abitanti, vale a dire circa una per famiglia; tenuto conto della riduzione della popolazione residente (-274.878), anche questo valore è in calo rispetto alle ultime rilevazioni ma salirebbe invece a quota 2,1 per abitante tenendo conto anche di reddito di cittadinanza e trattamenti assistenziali erogati dagli enti locali. 


Occupati 

Dopo il calo imputabile a SARS-CoV-2 e misure di contenimento dei contagi, nel 2021 sale il numero degli occupati, riportandosi a oltre 22,8 milioni di unità (considerando anche la variazione nel metodo di rilevazione Istat che non tiene più conto di lavoratori in CIG e inattivi da oltre 3 mesi), per un tasso di occupazione totale pari secondo Istat a circa il 60%, di fatto in linea con quello del 2019. Con l’allentarsi dell’emergenza sanitaria, cala significativamente anche il ricorso alla Cassa Integrazione e ad altri ammortizzatori sociali, in costanza o in assenza del rapporto di lavoro: nel 2021 sono state autorizzate complessivamente 2.821.165.153 ore, il 35% in meno del 2020, quando la CIG aveva riguardato oltre 7,4 milioni di lavoratori. Tra CIG e NASpI, l’ammontare totale – trattamenti + coperture figurative - degli interventi di sostegno al reddito è stato di poco superiore ai 27 miliardi, cui vanno aggiunti i circa 500mila beneficiari della legge 104/1992, per una spesa di 1 miliardo. Considerando anche le misure imputabili a COVID-19, nel 2019 la somma si aggirava invece intorno ai 42 miliardi. 

Tabella 1 – Tassi di occupazione a confronto: Italia vs Paesi UE, 2021

Tabella 1 – Tassi di occupazione a confronto: Italia vs Paesi UE, 2021

Fonte: elaborazioni Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Eurostat

E se il trend positivo prosegue anche nel 2022, tanto che al 30 giugno scorso i dati sullo stock di occupazione indicavano 23.070.000 occupati, per un tasso pari al 60,1%, record assoluto dal 1977, con solo il 39% di lavoratori in rapporto alla popolazione (23 milioni su 36 milioni di italiani in età da lavoro), l’Italia si conferma però tra le nazioni peggiori in Europa sul fronte occupazionale. Secondo i dati Eurostat al 2021, il nostro Paese era infatti agli ultimi posti per occupazione globale, distante di 10 punti percentuali dalla media europea (58,2% l’Italia e 68,4% la media a 27 Paesi), per occupazione femminile (qui la differenza è di circa 14 punti rispetto alla media europea) e giovanile (17,50% contro il 32,70% della media UE). Poco meglio il tasso di occupazione relativo ai lavoratori senior, dove la differenza con la media UE è di “soli” 7 punti percentuali. 


Rapporto attivi/pensionati 

Nonostante l’incremento del numero di pensionati con il miglioramento della situazione occupazionale si attesta a 1,4215 il rapporto attivi/pensionati, valore fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano e che, solo nel 2019, toccava la quota record di 1,4360, miglior dato di sempre tra quelli registrati dal Rapporto. Resta dunque piuttosto distante quell’1,5 già indicato nelle precedenti pubblicazioni come soglia minima necessaria per la stabilità di medio-lungo termine del sistema: sempre che si riescano a tenere sotto controllo gli effetti su materie prime ed energia indotti dalla guerra in Ucraina, in assenza di politiche attive per il lavoro e vere politiche industriali che sappiano capitalizzare anche le risorse del PNRR, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali non ravvede grossi miglioramenti ma ipotizza semmai che il valore rimarrà stabile per il biennio 2023-2024. 

Figura 1 – Numero di occupati, pensionati e rapporto occupati/pensionati 

Figura 1 – Numero di occupati, pensionati e rapporto occupati/pensionati

* Si segnala che alcuni valori differiscono da quelli riportati nella precedente edizione del Rapporto è stato rivisto a seguito della nuova metodica Istat sulla classificazione degli occupati

Fonte: Decimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, Itinerari Previdenziali

«A oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 10-15 anni, quando le ultime frange dei baby boomer - in termini previdenziali assai significative, data la loro numerosità – si saranno pensionate», spiega il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla, precisando: «Perché si mantenga questo delicato equilibrio, sarà però indispensabile intervenire maniera stabile e duratura sul sistema, tenendo conto di 4 principi fondamentali: 1) le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (circa 63 anni l’età effettiva in Italia contro i 65 della media europea) nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale; 2) l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione; 3) la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute; 4) le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job».

Insomma, un serio cambio di rotta da parte del nostro Paese, che oggi vede la quasi totalità della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo, quando invece necessiterebbe di una seria revisione della propria organizzazione del lavoro e dei propri modelli produttivi. 

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

19/1/2023

 
 

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