Il risparmio e gli italiani: leva per la crescita o forma di tutela?

Il risparmio rappresenta una potenziale leva strategica fondamentale per lo sviluppo dell'economia. Per gli italiani però è ancora prevalentemente associato a una forma di tutela individuale e, mentre diminuisce la percentuale di famiglie che riesce a risparmiare, dal punto di vista degli investimenti si conferma la predilezione per la liquidità

Bruno Bernasconi

Il risparmio rappresenta uno dei principali pilastri per lo sviluppo sociale del Paese riconosciuto dalla Costituzione, che all’articolo 47 lo definisce come un valore da “incoraggiare e tutelare in tutte le sue forme”. Una leva fondamentale non solo a livello di interesse individuale, ma anche di risorsa collettiva da impiegare per il progresso economico, ancor più in un momento storico caratterizzato da sfide epocali e numerosi fattori di incertezza. 

Come sottolineato in un messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della 101esima edizione della Giornata Mondiale del Risparmio, “il risparmio è un patrimonio altamente prezioso delle nostre società, per investimenti nei settori più innovativi e strategici, a partire dalle transizioni ecologica e digitale”. Un principio condiviso a livello europeo attraverso la Saving Investment Union (SIU), una strategia che si pone l’obiettivo di mobilitare il patrimonio dei risparmi privati europei trasformandolo da valore statico a motore di crescita dell’economia reale. 

Risorse che, come riporta uno studio di AIPB in collaborazione con Prometeia, ammontano a circa 40mila miliardi di euro di ricchezza finanziaria (escludendo gli immobili), di cui la parte investibile è pari a 29mila miliardi costituiti per il 41%, 12mila miliardi, da liquidità concentrata principalmente in tre Paesi: Italia (13%), Francia (18%) e Germania (28%). Un tesoretto che potrebbe fornire un importante contributo alla crescita, ipotizzando un progressivo riallineamento della composizione del risparmio delle famiglie europee verso attività a più alto rischio e rendimento.

In base alle simulazioni della Commissione europea, se i risparmi a livello continentale venissero investiti in azioni e fondi in misura pari alla media dei portafogli UE del periodo 2010-2023 (pari a circa il 27% del portafoglio), verrebbero riallocati 330 miliardi di euro di liquidità in grado di generare 232 miliardi di extra ricchezza entro il 2035. Addirittura, secondo lo scenario più ambizioso, che assume la convergenza verso i cinque Stati membri con la più elevata quota media di asset rischiosi pari al 41% (Svezia, Danimarca, Finlandia, Belgio, Spagna), l’ammontare raggiungerebbe i 1.938 miliardi generando nuova ricchezza per 1.336 miliardi.  Utilizzando la stessa metodologia, è stato calcolato il potenziale effetto per l’Italia di una riallocazione della liquidità verso investimenti produttivi in linea al peso che questi hanno nei top 5 Stati UE (41%). La quota reinvestibile è pari a 233 miliardi di euro che ne genererebbero 154 di extra ricchezza entro il 2040. Una cifra che produrrebbe consumi e investimenti aggiuntivi rispettivamente per 64 e 25 miliardi, un aumento del PIL dello 0,31% e maggiori entrati fiscali per 34 miliardi, oltre a una diminuzione del rapporto debito/PIL del 3%. 

Numeri che suggeriscono certamente diversi vantaggi nell’usare in modo più efficiente la liquidità parcheggiata sui conti correnti, ma che devono confrontarsi su come vengono percepiti e sulla capacità di risparmio e investimenti da parte delle famiglie, soprattutto in un Paese come l’Italia in cui la popolazione evidenzia ancora diverse lacune in tema di cultura finanziaria. 

Secondo la 25° edizione dell’indagine annuale Acri-Ipsosper gli italiani il risparmio, sebbene considerato anche come una risorsa rilevante per l’economia nazionale (61% dei rispondenti) e un motore di sviluppo per il Paese (60% dei rispondenti), è prevalentemente associato (77% dei rispondenti, 89% tra gli over 65enni) a una forma di tutela individuale, in primis contro gli imprevisti finanziari (57%), seguita dalla possibilità di dover affrontare periodi di difficoltà (54%) e per la sicurezza economica in età avanzata (49%).

Nel 2025 è però diminuita la percentuale di famiglie che dichiara di essere riuscita a risparmiare negli ultimi 12 mesi, dal 46% del 2024 al 41%, registrando parallelamente un aumento di coloro che hanno consumato tutto il reddito (dal 34% al 37%) o hanno dovuto attingere a risparmi accumulati (dal 13% al 15%). Un dato in continuità con il calo registrato nel 2024 rispetto al 2023 e probabilmente figlio anche dell’aumento del costo della vita registrato negli ultimi anni, con conseguenze dirette sul livello dei consumi sia di beni essenziali (in calo la percentuale di rispondenti che dichiara di aver aumentato i consumi di prodotti alimentari, per la casa e medicinali negli ultimi 2-3 anni) sia soprattutto di quelli voluttuari. Guardando al futuro, il 36% delle famiglie ritiene che riuscirà a risparmiare di meno nei prossimi 12 mesi (era il 33% nel 2024), mentre coloro che ritengono che riusciranno a risparmiare in egual misura scendono dal 46% al 41% e solo il 23% pensa che riuscirà a farlo di più (21% nel 2024). 

Dal punto di vista degli investimenti, si conferma la tendenza a preferire mantenere i risparmi liquidi, opzione scelta dal 64% dei rispondenti contro il 32% che dichiara di investire, di cui comunque la maggior parte lo fa solo con una piccola parte dei propri risparmi. Valori in linea alla media della serie storica che inizia nel 2008 e che possono essere sì in parte spiegati da bassi livelli di educazione finanziaria, ma anche da una tradizionale avversione al rischio e dal fatto che il risparmio viene visto principalmente come una rete di salvataggio piuttosto che una risorsa da sfruttare. Da una parte, quindi, l’89% dichiara di possedere un conto corrente, mentre solo il 23% ha un fondo pensione o un’assicurazione sulla vita e l’11% fondi comuni di investimento. Infine, alla domanda su quale sia il modo migliore di investire i propri risparmi alla luce dell’attuale situazione economica, tra chi ha risparmiato aumenta chi preferisce gli immobili (dal 26% al 34%) e il non investire (dal 19% al 22%), mentre si riducono gli strumenti finanziari, sia più sicuri (dal 42% al 36%) sia più rischiosi (dal 13% al 9%). 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

2/12/2025

 
 
 

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