Politiche attive, formazione e migrazione per un mercato del lavoro efficiente

Malgrado trend in crescita, i numeri dell'occupazione italiana continuano a soffrire nel confronto con il resto d'Europa: miglioramento delle politiche attive, più attenzione alla formazione professionale e diverso approccio a migrazione e manodopera straniera le leve sui cui agire per rinforzare il nostro mercato del lavoro

Natale Forlani

Occorre ripensare le politiche attive dopo i fallimenti del passato, cambiare l'approccio degli interventi per l'immigrazione legale, attivare i giovani e puntare decisamente sulla formazione con il coinvolgimento di imprese e parti sociali. Solo così si potrà rendere più efficiente il nostro mercato del lavoro.

Si consideri che all’attuale basso tasso di occupazione italiano, inferiore rispetto alla media dei Paesi europei, di 9,7 punti equivalenti a circa 3,6 milioni di lavoratori, hanno concorso diversi fattori. Anzitutto, il nostro Paese ha faticato più di altri nel recuperare nei primi cinque anni della crisi economica iniziata nel 2008 le perdite occupazionali pari a 1,2 milioni di posti di lavoro. Il ritorno ai numeri del 2008, poco più di 23 milioni di occupati, è stato completato solo nel 2019 ma con il concorso di un numero superiore di lavoratori a termine e a part-time e con la perdita di circa 1,4 milioni di posti di lavoro con media o elevata qualificazione. La comparazione con la media dei Paesi UE mette in evidenza che i due terzi della carenza di occupati, circa 2,4 milioni sui 3,6 complessivi, si concentra nei comparti della pubblica amministrazione, della sanità e dell'istruzione, dove si riscontra una quota più rilevante di lavoratori con elevata qualificazione e di donne. Un ritardo dovuto anche alla qualità della spesa pubblica. 

Permane il modesto tasso di occupazione dei giovani e delle donne nel corso del secondo decennio degli anni 2000: un fenomeno paradossale se si tiene conto che l'uscita dei lavoratori anziani per motivi di pensionamento è risultata largamente superiore al numero dei giovani entrati nel mercato del lavoro. Un gap compensato dalla crescita dei lavoratori stranieri, e del numero delle persone disoccupate o inattive, per la gran parte giovani e donne. In particolare, è stata impressionante la crescita dei giovani che non studiano e non lavorano con una punta superiore ai 3 milioni nel 2014. La buona notizia è rappresentata dal fatto che negli ultimi due anni la crescita dell'occupazione dei giovani e delle donne, soprattutto con rapporti di lavoro a tempo indeterminato, è risultata superiore alla media. Una tendenza che dovrebbe proseguire nei prossimi anni per via della riduzione della popolazione in età di lavoro. La notizia cattiva è che il recupero occupazionale risulta ritardato rispetto a quello possibile, per l'impatto negativo della quota rilevantissima, quasi la metà delle potenziali assunzioni da parte delle imprese, della domanda di lavoro che non trova lavoratori disponibili per mancanza di competenze adeguate.

Tutto ciò può compromettere la crescita dell'economia e la tenuta delle prestazioni sociali. Bisogna contrastare la deriva agendo su tre leve, a cominciare dalla crescita del numero assoluto degli occupati, almeno di 2 milioni entro i prossimi massimo 10 anni, riducendo del 7/8% il numero delle persone disoccupate o inattive e aumentando il livello di impiego della quota dei lavoratori sotto occupati. La seconda leva prevede un significativo miglioramento nell’utilizzo delle tecnologie digitali al fine di aumentare la produttività, che è fondamentale per migliorare le condizioni di lavoro, le retribuzioni rimaste molto basse rispetto al potere d’acquisto e per rendere più attrattivo il nostro mercato. Ovviamente, terza leva, ciò comporta un parallelo aumento delle competenze dei lavoratori, anche per migliorarne la mobilità. 

Quanto all’immigrazione, l’attuale approccio è del tutto inadeguato e obsoleto rispetto ai nuovi fabbisogni di manodopera. Con quali risultati? Il 35% delle persone povere residenti in Italia è di origine straniera e i due terzi degli immigrati occupati, regolarmente residenti, lavora nei settori caratterizzati da rilevanti quote di lavoro sommerso. L'obiettivo delle nuove politiche per l’immigrazione dovrebbe essere quello di contrastare i due fenomeni: aumentare il livello di impiego regolare dei lavoratori immigrati già presenti in Italia e programmare l'ingresso dei nuovi fabbisogni con percorsi di selezione e di formazione ancorati alle tipologie dei profili professionali, con il coinvolgimento delle singole imprese. 

Infine, occorre un aumento e miglioramento delle politiche attive, oggi inferiori a quelle passive meramente assistenziali che non producono posti di lavoro. I tre principali programmi nazionali di politica attiva del lavoro promossi dal 2010 in poi, e cioè Garanzia Giovani, l'assegno di ricollocazione e il reddito di cittadinanza, hanno prodotto scarsi risultati: addirittura il reddito di cittadinanza ha sottratto risorse nazionali destinate alle politiche attive per finanziare un provvedimento totalmente assistenziale. L’attuale programma Gol, che utilizza 4,5 miliardi di euro di risorse europee, ricalca i modelli sperimentati negli anni precedenti per l'erogazione delle offerte formative e degli incentivi per l'inserimento lavorativo. La somma dedicata agli sgravi per le nuove assunzioni delle varie tipologie di disoccupati nel corso degli ultimi 15 anni, supera di gran lunga i 200 miliardi. Nel frattempo, sono state fatte quattro riforme dei sostegni al reddito che hanno progressivamente aumentato le platee e la spesa assistenziale, senza migliorare povertà e occupazione. I fabbisogni di politica attiva del lavoro sono evidenti: aumentare il tasso di impiego delle persone in età di lavoro, aumentare la quota dei lavoratori con elevata qualificazione e incrementare gli specializzati in nuove tecnologie. Alcuni degli investimenti formativi richiedono una solida programmazione dei fabbisogni di profili specialistici e dei risultati che si possono ottenere sul medio lungo periodo. Ma per la gran parte dei lavoratori l'adeguamento delle competenze può essere raggiunto con percorsi di formazione durante le transizioni lavorative e nell'ambito delle aziende. Le nuove politiche attive del lavoro dovranno essere quindi caratterizzate dal diritto delle persone ad accedere con facilità ai servizi di orientamento, con una ragionevole protezione per la perdita involontaria del lavoro e con il vincolo per i beneficiari di accettare tutte le offerte di lavoro coerenti con il profilo professionale. 

Natale Forlani, Presidente INAPP
e componente Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali

7/5/2024 

 
 
 

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