Una comunicazione pericolosa

In Italia si spende troppo per la previdenza? È quello che potrebbe pensare l'Europa alla luce dei dati comunicati in sede istituzionale: dati, secondo l'Undicesimo Rapporto Itinerari Previdenziali, in parte "gonfiati" da voci assistenziali impropriamente finite sotto il capitolo pensioni 

Alberto Brambilla

Il 5 agosto 2011, al “Caro Primo Ministro” (all’epoca Silvio Berlusconi) arrivava una lettera firmata dal Presidente uscente della BCE, Jean Claude Trichet, e dal futuro numero uno dell'Eurotower Mario Draghi che lo invitava a prendere urgentemente misure antispeculazione per rafforzare la reputazione della "sua firma sovrana" e il suo impegno alla sostenibilità del bilancio e alle riforme strutturali a partire da liberalizzazioni, riforma del mercato del lavoro, delle pensioni e della pubblica amministrazione. Lo spread il 30 dicembre era a 528 punti base (tasso 7%), con un aumento rispetto a gennaio di 355 punti, e in quel periodo Istat comunicava a Eurostat (e quindi anche a BCE) che il rapporto spesa pensionistica/PIL era pari al 16,8%, contro una media UE pari a circa il 12%.

Cade il governo Berlusconi che, per accontentare le richieste, si era già accanito sulle pensioni (modifiche Sacconi); l'esecutivo è prontamente sostituito da quello guidato dal neosenatore a vita Mario Monti. E qual è la riforma principale che l'esecutivo tecnico costruisce “tra le lacrime”? Quella sulle liberalizzazioni? Assolutamente no! E neppure la riforma del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione. Prima, il governo Monti istituisce la prima patrimoniale italiana (la "patrimonialina" dello 0,2% su tutti i patrimoni mobiliari sia in gestito sia in amministrato), che ci ha già eroso in 12 anni il 2,5% del totale dei nostri risparmi indipendentemente che i risultati di gestione siano positivi o negativi, e introduce l’IMU sulla gran parte di immobili e terreni (non proprio una manovra espansiva per lo sviluppo come richiesto dalla BCE). Poi, si “scatena” sulle pensioni con la nota riforma Fornero, concepita in modo talmente rigido che dopo qualche mese la stessa ministra vara la prima e la seconda “salvaguardia” che consente a qualche decina di migliaia di lavoratori di accedere alla pensione con le regole pre-riforma.

Alla fine del 2023, in soli 12 anni, i salvaguardati (ben 9 salvaguardie) tra precoci, gravosi, usurati, donne, Quote 100 e dintorni saranno oltre un milione. Quando il pendolo si sposta troppo anche le riforme precedenti vengono messe in discussione, e così tutti i governi che si sono succeduti hanno fatto a gara a inventarsi formule per sottrarsi alla legge Monti-Fornero. In realtà, salvo la meritoria introduzione del contributivo pro-rata per tutti, l’aver diviso le platee tra misti e retributivi in un sistema a ripartizione, aver deciso di adeguare l’anzianità contributiva alla aspettativa di vita ed eliminato la vecchiaia anticipata, la riforma ha prodotto più problemi che risultati. Ma d’altra parte come dare torto a Monti e Fornero? Se la media europea spesa pensioni/PIL era attorno al 12% e noi al 16,8%, era più che ovvio che non solo la BCE ma tutta la Commissione esigessero il “sacrificio” delle pensioni.

Bene, perché ho fatto questa robusta premessa? Perché ancor oggi per il 2022 l’Istat ha comunicato a Eurostat che la nostra spesa per pensioni (vecchiaia e superstiti) è pari al 16,7% contro una media UE a 27 del 12,6%. Cosa potranno pensare i Paesi partner europei già scettici sulla capacità italica di ridurre la spesa? Magari che, dato il nostro iper-debito pubblico che potrebbe superare nel 2024 i 3mila miliardi, spendiamo pure troppo per le pensioni, e poco invece per la famiglia, per la sanità, per l’assistenza, per gli anziani e per ridurre la cosiddetta “esclusione sociale”, a differenza degli altri Paesi che su queste funzioni spendono più di noi?

Ma è proprio così? Assolutamente no! L'Undicesimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano redatto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali evidenzia che nel “calderone pensioni” Istat inserisce le rendite assicurative Inail che non sono pensioni, le pensioni dei fondi complementari di secondo pilastro, gli invalidi civili, ciechi e sordomuti, le indennità di accompagnamento, le pensioni sociali, quelle di guerra che sono indennitarie, le maggiorazioni sociali, le integrazioni al minimo e le altre integrazioni, tra cui la quattordicesima mensilità a sostegno di famiglie e anziani che sono tutte erogate per motivi di reddito, come le pensioni di cittadinanza. E poi tutti i prepensionamenti Alitalia, FFSS (30mila attivi e 210mila pensionati e costo di 4,4 miliardi), tutte le pensioni assistenziali degli agricoli (434mila attivi e 1,31 milioni di pensionati per un costo di 3,1 miliardi) e così via. In realtà, il vero costo delle nostre pensioni (IVS) è pari all’11,8% al lordo tasse e addirittura all’8,64% al netto dei 59 miliardi di IRPEF.

Pure l’OCSE nel suo rapporto annuale sulle pensioni nei Paesi industrializzati, Pensions at a Glance 2023”, critica l’abitudine italica di caricare sulla spesa per pensioni le assistenze, gli invalidi e la tendenza a concedere “pensioni anticipate per lavori pericolosi o gravosi per un gran numero di posti di lavoro", di molto ampliata rispetto alla breve lista iniziale di lavori usuranti (quali, minatori, lavoratori impegnati sui turni di notte e su attività subacquee); tutte attività, dice sempre l’OCSE, che andrebbero gestite al di fuori dell'ambito pensionistico, in particolare tramite il sistema sanitario o assicurativo (Inail). Invece, prosegue l'Organizzazione, dal 2016 (sotto la guida dell’ex ministro Damiano), è stata ampliata a dismisura la categoria dei cosiddetti "lavori gravosi" (di cui non v’è traccia nella medicina del lavoro e in letteratura scientifica) ulteriormente espansa nel 2018 includendo ruoli come infermieri, insegnanti e conducenti di treni. Dal 2017 si è aggiunta anche l'APE sociale, l'anticipo pensionistico che ha reso possibile il pensionamento a 63 anni con 36 anni di contributi per disoccupati, invalidi e caregiver, attività che "dovrebbero essere affrontate principalmente da politiche specifiche e non in ambito pensionistico”.

E potremmo proseguire ma è più che evidente che, dimentichi della dura lezione del 2011, continuiamo a farci male da soli tanto più che anche questo governo ha aumentato di molto le pensioni assistenziali caricandole, ovviamente, sul solito conto pensioni, beneficiando milioni di pensionati che nella vita non hanno mai pagato o quasi contributi e tasse e punendo quelli con pensioni sopra 5 volte il minimo (2.500 euro lordi al mese) che hanno pagato fior fiore di contributi e tasse. E continuano a pagarle tuttora, pur ritrovandosi a perdere in 3 anni il 12% del potere d’acquisto delle loro pensioni. Dal governo del “merito” ci aspettavamo davvero altro.

Alberto Brambilla, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

5/2/2024 

 
 
 

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