Fondi pensione, incentivare la contribuzione

Incentivare non solo l'adesione alla previdenza complementare ma anche la contribuzione: la sfida dei fondi pensione per garantire l'adeguatezza delle prestazioni tra iscritti non versanti e posizioni multiple

Michaela Camilleri

Certi argomenti non si esauriscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Il tema della previdenza complementare è indubbiamente uno di questi: si discute da lungo tempo su come incentivare le adesioni, tra proposte di un nuovo semestre di silenzio-assenso e ampliamento dei vantaggi fiscali. Ciò di cui forse non si discute ancora abbastanza è come incentivare la contribuzione: il tema è fondamentale perché dall’importo dei versamenti contributivi dipende inevitabilmente l’ammontare della prestazione pensionistica integrativa che verrà poi erogata dal fondo pensione. Quando si parla dunque di previdenza, non solo complementare, occorre porre l’attenzione anche sul tema dell’adeguatezza del risparmio. 

Analizzando gli ultimi dati elaborati dall’Autorità di Vigilanza nella sua Relazione Annuale, una delle sfide più importanti per i fondi pensione sembra essere allora quella di centrare quest’obiettivo (favorire un risparmio previdenziale adeguato) facendo i conti con almeno due fenomeni che sono all’attenzione della COVIP già da diversi anni e che possono compromettere l’adeguatezza delle prestazioni: le interruzioni contributive e le posizioni doppie o multiple.

 

Gli iscritti non versanti

Il fenomeno delle interruzioni contributive riguarda quella parte di iscritti che, per diverse ragioni, non partecipa con continuità a una forma di previdenza complementare e, di conseguenza, corre il rischio di non poter accedere a una prestazione pensionistica correlata ai propri bisogni. Escludendo i PIP “vecchi”, per i quali non sono disponibili dati a livello individuale, gli iscritti che nel corso del 2022 non hanno versato contributi sono 2,472 milioni, pari al 27,6% del totale (nel 2017 era il 23,5%). 

L’incidenza degli iscritti non versanti è diversa tra le tipologie di forma pensionistica: più elevata nei fondi aperti e nei PIP (rispettivamente 37,2% e 34,8%); minore nei fondi negoziali e preesistenti (22,9% e 18,1%) nei quali confluisce anche il contributo dei datori di lavoro. Negli ultimi anni la quota di iscritti non versanti è cresciuta in particolar modo nei fondi negoziali per effetto del meccanismo di adesione contrattuale. È utile sottolineare che sul totale degli attuali iscritti ai fondi negoziali (3,696 milioni), circa il 43% è entrato a far parte del sistema tramite questo meccanismo automatico, introdotto a partire dal 2015 e oggi applicato in 14 fondi, che prevede un versamento “minimo” a carico del datore di lavoro sulla base di quanto stabilito dal contratto di riferimento con conseguente adesione automatica dei lavoratori a cui si applica tale contratto. I flussi versati in questi anni sulle posizioni individuali aperte si sono spesso limitati solo al contributo obbligatorio a carico del datore di lavoro e hanno quindi consentito l’accumulo di risorse modeste e non adeguate a generare prestazioni pensionistiche significative: alla fine del 2022, gli iscritti contrattuali risultano di poco inferiori a 1,6 milioni (circa 1,2 milioni riconducibili al fondo Prevedi) ma sono solo 85mila quelli che hanno attivato ulteriori flussi di contribuzione. In termini pro capite, l’importo della contribuzione media derivante dall’adesione contrattuale è modesto e pari a 133 euro su base annua.

Per una quota rilevante di iscritti la condizione di non versante ha assunto natura strutturale e diventa più complicato immaginare una soluzione per ripristinare una partecipazione attiva alla previdenza complementare: oltre la metà degli iscritti non versanti, 1,251 milioni, non versa infatti contributi da almeno 5 anni. Questa quota di iscritti non versanti di più lungo corso è per il 75,8% concentrata nei fondi aperti e nei PIP; il 62% è costituito da uomini e l’età media, 49,7 anni, è superiore a quella generale. Per area geografica, sono sovra-rappresentate rispetto alla media le regioni del Sud Italia, 28,4%. Sono inoltre non versanti da almeno 5 anni il 9% dei dipendenti, il 30,1% degli autonomi e il 25,9 degli altri iscritti. 

Figura 1 – Gli iscritti non versanti

Figura 1 – Gli iscritti non versanti

Fonte: Relazione COVIP per l’anno 2022

Il fenomeno della mancata contribuzione potrebbe dipendere dalla discontinuità delle carriere professionali che caratterizza l’attuale mercato del lavoro e che, di conseguenza, si riflette sulla capacità contributiva degli iscritti alla previdenza complementare. D’altra parte, dall’analisi di questi dati appare chiara la necessità quantomeno di riflettere su possibili soluzioni per incentivare, da un lato, una partecipazione attiva da parte dei lavoratori iscritti ai fondi negoziali tramite meccanismo di adesione automatica, e, dall’altro, la ripresa dei versamenti da parte degli iscritti che hanno interrotto la contribuzione.

 

Le posizioni doppie o multiple

Al totale iscritti non versanti corrispondono 3,251 milioni di posizioni non alimentate. Alla crescita delle posizioni prive di versamenti ha contribuito anche il fenomeno delle posizioni multiple facenti capo a uno stesso individuo: nel 2022 gli iscritti con posizione multiple sono 965mila (80mila in più rispetto al 2021). A tali iscritti fanno capo circa 2,015 milioni di posizioni, di cui 1,215 milioni alimentate da contributi. Restano quindi circa 800mila posizioni, appannaggio di soggetti con adesioni multiple, sulle quali nel 2022 non sono stati accreditati contributi. Considerando che alla fine del 2022 il numero complessivo delle posizioni (10,022 milioni) in essere supera quello degli iscritti (8,972 milioni) di 1.050.000 unità, circa tre quarti della differenza è pertanto costituita da posizioni di iscritti che, pur aderendo a più forme pensionistiche, versano soltanto su una di esse.

L’incidenza del fenomeno è ancora una volta diversa a seconda della tipologia di forma pensionistica ma anche all’interno dello stesso settore. Le sovrapposizioni più rilevanti si riscontrano con fondi negoziali-PIP (un terzo del totali iscritti titolari di posizioni doppie), PIP-PIP e fondi aperti-negoziali: nei fondi negoziali 536.000 iscritti hanno posizioni doppie, 298mila dei quali hanno aperto contemporaneamente anche una posizione presso un PIP anche se quelli che versano su entrambe le forme sono solo circa 155mila; nei PIP “nuovi” gli iscritti con posizioni doppie sono circa 561.100, di cui 128mila interni allo stesso settore per la prassi di alcune Compagnie di Assicurazione di preferire l’istituzione di un nuovo prodotto alla modifica delle caratteristiche del prodotto già commercializzato, aprendo così più posizioni in capo allo stesso individuo.

Figura 2 – Iscritti con posizioni doppie

Figura 2 – Iscritti con posizioni doppie

Fonte: Relazione COVIP per l’anno 2022

Anche rispetto al fenomeno delle posizioni doppie o multiple, così come per le interruzioni contributive, sarebbe quantomeno auspicabile una maggior informazione da parte dei fondi pensione rivolta agli iscritti non versanti al fine di incentivare una partecipazione attiva.

Come più volte sostenuto dal Professor Padula nel corso del suo mandato da Presidente COVIP, una proposta in questa direzione potrebbe essere quella di valorizzare schemi di incentivazione fiscale dei contributi che prevedano la possibilità di riportare ad anni di imposta successivi i benefici che non si sono utilizzati in una fase di incapienza fiscale, rivedendo le disposizioni già presenti nell’art. 8 del Decreto lgs. 252/2005 ed estendendone l’ambito di applicazione, attualmente limitato soltanto ai lavoratori di prima occupazione. In particolare, il riferimento è alla possibilità prevista per i lavoratori di prima occupazione, limitatamente ai primi 5 anni di partecipazione al sistema di previdenza complementare, di dedurre dal reddito, nei 20 anni successivi al quinto anno di adesione, i contributi eccedenti il limite di 5.164,57 euro pari alla differenza positiva tra l’importo di 25.822,85 euro (5.164,57 euro x 5 anni) e i contributi effettivamente versati nei primi 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche e comunque per un importo non superiore a 2.582,29 euro annui.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

4/7/2023 

 
 

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