Fondi pensione, le caratteristiche dell'aderente tipo

L'ultima Relazione COVIP dipinge il quadro di un utilizzo ancora subottimale delle forme di previdenza complementare, anche alla luce degli attuali trend demografici: servono adeguate campagne informative, ma alcuni disequilibri sembrano riflettere anche inefficienze del nostro mercato del lavoro

Bruno Bernasconi

I dati relativi agli iscritti ai fondi pensione riportati nell’ultima Relazione COVIP per l’anno 2022 forniscono un utile strumento per approfondire le caratteristiche socio-demografiche e le preferenze in termini di opzioni di investimento degli aderenti. Un’analisi che offre spunti interessanti per valutare eventuali aree di intervento nel campo della previdenza complementare, con l’obiettivo di assicurare una copertura pensionistica adeguata alle giovani generazioni nell’attuale "era del metodo di calcolo contributivo". 

 

Un quadro di insieme

A fine 2022, le forme pensionistiche sono diminuite di 17 unità rispetto all’anno precedente a 332, ma con un aumento degli iscritti del 5,4% a 9,240 milioni, il 36,2% della forza lavoro (34,7% nel 2021), per un numero di posizioni in essere di 10,290 milioni. Di queste 332, 33 sono fondi pensione negoziali, 40 fondi pensione aperti, 68 piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (PIP) cosiddetti “nuovi” e 191 fondi pensione preesistenti. 

Le risorse complessivamente destinate alle prestazioni dalle forme complementari sono diminuite del 3,6% a 205,6 miliardi (pari al 10,8% del PIL), per effetto delle perdite in conto capitale determinate dalle performance negative dei mercati finanziari nel 2022. Se confrontato con l’inizio del 2007, anno di avvio della riforma della previdenza complementare, il totale delle risorse destinate alle prestazioni è però quadruplicato, con una crescita media annua composta pari al 9%. D'altro canto, tali risorse, pari a 205,6 miliardi, rappresentano ancora una quota limitata (il 4%) delle attività finanziarie delle famiglie: un dato che evidenzia un ricorso ancora subottimale a questo tipo di strumenti nonostante il tema della sostenibilità del sistema pensionistico sia costantemente all’ordine del giorno in un Paese, l’Italia, che secondo i dati Eurostat non solo ha l’età media più elevata nell’UE, a 48 anni (44,4 anni la media UE nel 2022), ma conta anche il rapporto più alto tra anziani (persone sopra i 65 anni) e persone in età lavorativa, con il 37,5%.

 

Le caratteristiche socio-demografiche degli iscritti 

Passando all’analisi del profilo degli iscritti, la suddivisione per classe di età evidenzia come il 18,8% abbia meno di 35 anni, il 48,9% appartenga alla fascia di età centrale (35-54 anni) e il 32,3% abbia almeno 55 anni. La relazione sottolinea, inoltre, come dal 2018 al 2022 si sia assistito a un progressivo spostamento dalle classi di età centrali a favore di quelle più anziane, pari a circa 5 punti percentuali, facendo salire l’età media degli iscritti da 46,1 a 47 anni. Un trend spiegato in parte dal fatto che la categoria di età 25-34 anni registra un tasso di partecipazione alla forza lavoro del 74,6% contro l’80,8% della fascia adiacente più anziana (35-44 anni), ma anche una volta parte del mercato del lavoro, i più giovani manifestano una partecipazione alla previdenza complementare del 26,5% contro il 32,1% della fascia 35-44 anni, complici forse anche stipendi mediamente più bassi e, quindi, (almeno nella percezione dei diretti interessati) minori risorse da accantonare a fini previdenziali. 

Da un punto di vista di genere, i 9,240 milioni di aderenti sono costituiti prevalentemente da uomini, che rappresentano il 61,8% degli iscritti rispetto al 38,2% delle donne, pesi rimasti invariati rispetto al 2018. La proporzione tra i generi si mantiene simile nelle diverse fasce di età, fatta eccezione per la classe che raggruppa gli iscritti con meno di 20 anni, formata soprattutto da familiari a carico, nella quale la platea femminile raggiunge il 45,5%. Numeri che, come già evidenziato anche per la previdenza pubblica, in parte riflettono la minor partecipazione delle donne al mercato del lavoro che, di conseguenza, hanno meno risorse da destinare alla previdenza complementare pur essendo tra le categorie di aderenti o potenziali tali che, proprio per queste ragioni, ne necessiterebbero maggiormente.

A ogni modo, anche considerando chi lavora, il tasso di partecipazione degli uomini è comunque superiore a quello delle donne (39,2% contro 32,2%), persistendo a loro sfavore divari salariali e carriere più discontinue, con una differenza che si riscontra in tutte le fasce di età e una forbice che si allarga dai 6,3 punti percentuali della fascia 15-34 agli  oltre 7 delle classi successive.

Figura 1 - Iscritti totali per genere ed età

Figura 1 - Iscritti totali per genere ed età

Fonte: Relazione COVIP per l'anno 2022

Considerando la condizione professionale, invece, i lavoratori dipendenti iscritti al sistema della previdenza complementare sono 6,683 milioni (+6,6% rispetto al 2021), concentrati principalmente nelle forme collettive negoziali e preesistenti (3,933 milioni), mentre  ai PIP “nuovi” (2,243 milioni) è iscritto il doppio di quelli aderenti ai fondi aperti (1,007 milioni). I lavoratori autonomi sono 1,169 milioni (+1,5% rispetto al 2021), per quasi la totalità concentrati nei PIP “nuovi” (677.000) e nei fondi aperti (421.000). Da considerare poi un numero elevato di cosiddetti “altri iscritti”, circa 1,388 milioni (+3,2% rispetto al 2021), che comprendono aderenti diversi dai lavoratori, come soggetti fiscalmente a carico, coloro che hanno perso i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica per perdita o cambio di lavoro o per pensionamento obbligatorio e così via.

Infine, a livello di aree geografiche, continuano a prevalere gli iscritti localizzati nelle regioni settentrionali (57,1%), mentre nelle regioni centrali e in quelle meridionali e insulari risiede, rispettivamente, il 19,7% e il 23% degli iscritti, con una distribuzione che rispecchia, oltre alle scelte individuali, l’articolazione del tessuto produttivo e la struttura delle imprese nel Paese, con valori di rilievo e ampiamente superiori alla media generale che si riscontrano in quelle aree dove l’offerta previdenziale è completata da iniziative di tipo territoriale.

 

Le linee di investimento

In conclusione, vengono analizzate le scelte di investimento degli iscritti, che confermano per tutte le classi di età la predilezione per un basso profilo di rischio/rendimento. Infatti, restano prevalenti i profili con una quota azionaria bassa o addirittura nulla, mentre i garantiti si confermano preminenti con il 38% degli iscritti, sebben in discesa di quasi 6 punti percentuali dal 2018, e gli obbligazionari concentrano un ulteriore 13,1%. Nei profili bilanciati si colloca il 39,7% degli iscritti; più esiguo il peso degli azionari (9,2%). 

Tuttavia, in rapporto alle nuove iscrizioni effettuate nel corso del 2022, emerge una maggiore preferenza per i profili di investimento più rischiosi: il 46% ha preferito profili bilanciati e il 16,4% azionari, mentre a quelli garantiti si è iscritto il 28,7% e ai profili obbligazionari il restante 8,9%. Dalla distribuzione degli iscritti per profilo di investimento ed età si osserva poi, a livello di sistema, una propensione maggiore per i profili azionari e bilanciati nelle classi di età molto giovani (fino a 29 anni); nelle fasce centrali (30-54 anni), dove si colloca la maggioranza degli aderenti, i profili a rischio più basso si mantengono su livelli tra il 45 e il 50%, di cui i tre quarti costituiti da garantiti, assumendo via via un peso predominante a partire dai 55 anni.

Figura 2 - Iscritti per profilo di investimento e classi di età

Figura 2 - Iscritti per profilo di investimento e classi di età

Fonte: Relazione COVIP per l'anno 2022

Entrando più nel dettaglio, il calcolo della quota azionaria nei portafogli previdenziali, effettuato sulle singole posizioni individuali e tenuto conto anche della componente in azioni degli investimenti in OICR, consente di trarre indicazioni sull’adeguatezza del profilo scelto rispetto all’obiettivo previdenziale e di valutarne la coerenza con riguardo alle caratteristiche individuali di tipo socio-demografico, quali ad esempio l’età. 

Per classi di età molto giovani e inferiori a 25 anni, comunque poco numerose e formate per lo più da soggetti fiscalmente a carico, la quota azionaria si posiziona su valori più elevati, in media superiori al 40%, mentre nelle fasce anagrafiche centrali il peso delle azioni è più basso e, sebbene abbia una tendenza decrescente al crescere dell’età, si mantiene intorno al 25-30%. Nelle classi più anziane, invece, la flessione delle azioni è via via più pronunciata fino ad attestarsi intorno al 10-15% oltre i 60 anni. Tale tendenza è evidente nei fondi aperti, con percentuali intorno al 50-55% al di sotto dei 39 anni che vanno poi a diminuire progressivamente, senza tuttavia scendere al di sotto del 25% persino tra gli over 60. Il profilo decrescente è replicato nei fondi preesistenti e nei PIP, sebbene sia più piatto nelle fasce di età centrali dove l’incidenza si mantiene intorno al 20-25%; in media il peso delle azioni nei fondi preesistenti e nei PIP è circa la metà di quello registrato dai fondi aperti su tutto l’intervallo anagrafico. Fanno eccezione i fondi negoziali, i cui iscritti hanno una percentuale di azioni appiattita sul 25-30% su tutte le fasce di età fino a 59 anni.

Le evidenze fin qui riscontrate forniscono alcuni segnali circa l’ipotesi di una logica life-cycle nella costruzione dei portafogli previdenziali della maggior parte degli aderenti; logica che presuppone il maggior peso della componente azionaria, più rischiosa, nei primi anni della carriera lavorativa, che tende poi gradualmente a ridursi o annullarsi in prossimità dell’età di pensionamento, quando generalmente la priorità maggiore è la conservazione del patrimonio. La limitata esposizione azionaria può essere invece considerata subottimale per le fasce anagrafiche più giovani, in considerazione della lunghezza del periodo che le separa dal pensionamento. 

Figura 3 - Quota azionaria nei portafogli previdenziali degli iscritti

Figura 3 - Quota azionaria nei portafogli previdenziali degli iscritti

Fonte: Relazione COVIP per l'anno 2022

 

Alcune considerazioni finali...

Dall’analisi condotta emerge un quadro in cui i soggetti che, con il passaggio integrale al metodo di calcolo contributivo, necessiteranno maggiormente di una copertura pensionistica integrativa, come giovani e donne, complici alcuni fattori che riflettono in primo luogo la situazione del mercato del lavoro, sono quelli tra cui tali strumenti sono meno diffusi. Anche per questo motivo, dalla lettura dei dati COVIP non può che emergere la necessità di studiare soluzioni di lungo termine per incentivare quanti più lavoratori possibili a iscriversi a un fondo per la pensione complementare, con misure ad hoc come ad esempio un ulteriore potenziamento degli sconti fiscali per i versamenti contributivi, oggi deducibili fino a 5.164,57 euro annui. L’altro tema sembra quello dell'informazione, da incentivare con campagne che mirino a favorire le conoscenze del grande pubblico in un Paese in cui il livello di educazione finanziaria è sempre stato storicamente più basso rispetto alla media dei Paesi OCSE. 

In tal senso, la proposta contenuta nel “ddl capitali” di introdurre nelle scuole questa materia, facendola diventare parte del programma di istruzione al pari dell’educazione civica, sembra essere un passo nella giusta direzione. 

  Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

21/6/2023 

 
 
 

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