In tema di assicurazione plurima ex art. 1910 Cod. Civ.

La misura del regresso tra assicuratori va calcolata in proporzione all'indennizzo dovuto e non in proporzione al massimo previsto: con la pronuncia n. 4273 del 16 febbraio 2024 la Sezione Terza Civile della Suprema Corte di Cassazione fa chiarezza in merito alla questione concernente il regresso tra assicuratori che, con polizze separate, abbiano garantito il medesimo rischio

a cura dello Studio Legale Associato THMR

La vicenda origina da una vertenza nella quale l’assicuratore “X” venne chiamato in causa dall’assicurato nosocomio per essere garantito in relazione ai danni a esso ascritti dai genitori di un neonato che patì lesioni al momento del parto. A seguito di detto giudizio l’assicuratore “X”, convenne innanzi al Tribunale di Milano l’assicuratore “Y” con il quale il medico responsabile degli eventi denunciati aveva stipulato una propria assicurazione per la responsabilità civile. Di conseguenza, il medesimo rischio (la responsabilità civile del sanitario) era risultato coperto da due polizze: quella stipulata dal nosocomio (anche) per conto altrui ex art. 1891 c.c. e quella stipulata dal sanitario; ricorreva dunque un’ipotesi di assicurazione plurima, ai sensi dell’art. 1910 c.c. e avendo “X” risarcito i danneggiati dell’intero danno, aveva diritto di regresso nei confronti della “Y” ai sensi dell’art. 1910, quarto comma, c.c..  

Il Tribunale di Milano rigettò però la domanda sulla scorta del fatto che la polizza stipulata dal sanitario fosse operante solo “a secondo rischio”, ovvero solo nel solo caso di incapienza o inefficacia di altre assicurazioni stipulate a copertura del medesimo rischio. La sentenza fu appellata da “X”, e rigettato anche il gravame, impugnata in Cassazione. La Suprema Corte cassò la sentenza con rinvio alla Corte di merito. Riassunto il giudizio questa volta la Corte di merito accolse parzialmente il gravame dell’assicuratore “X”. Invero la Corte ritenne sussistente una ipotesi di assicurazione plurima, e di conseguenza sussistente il diritto di regresso della “X”, stabilito nella misura del 50% dell’indennizzo pagato da “X” al terzo danneggiato.

La sentenza venne però impugnata dall’assicuratore “Y”  che con un unico motivo lamentava la violazione dell’art. 1910 c.c. in quanto, a suo dire, la ripartizione dell’indennizzo tra due assicuratori che hanno assunto il medesimo rischio si deve compiere in proporzione dei rispettivi massimali assicurati e non degli indennizzi dovuti. E, poiché “Y” aveva garantito un massimale di 5.165.000 euro, mentre “X” aveva garantito un massimale di 1.549.370,70 euro, pari al 22,37% della somma dei due massimali, il regresso della seconda si sarebbe dovuto ammettere solo per l’importo di euro 336.193,93, pari appunto al 22,37% dell’indennizzo pagato dalla HDI ai terzi danneggiati.

Il ricorrente chiede sostanzialmente alla Corte di Cassazione di sancire quale sia la regola proporzionale applicabile per stabilire l’esatta misura del regresso fra assicuratori nell’ ipotesi di cui all’art. 1910, IV co., cod. civ. ovvero se debba essere valutata in proporzione al “massimale garantito” o allo “indennizzo dovuto”. La Suprema Corte di Cassazione evidenzia come in materia dottrina e giurisprudenza vaglino due distinti orientamenti.

Il primo ritiene che la quota di danno a carico di ciascun assicuratore debba calcolarsi in proporzione del valore assicurato da ciascuno di essi e non esistendo nell’assicurazione di responsabilità (che è assicurazione di patrimoni e non di cose), un valore assicurato, la misura del regresso andrebbe dunque calcolata in proporzione del massimale garantito. Ciò si giustificherebbe con la circostanza che l’assicuratore che garantisce il valore maggiore corre un rischio maggiore ed incassa un premio maggiore. Pertanto, in caso di sinistro è giusto ed equo che sopporti il peso maggiore.

Un secondo orientamento invece ritiene che la misura dell’indennizzo gravante su ciascun assicuratore vada calcolata in proporzione non già del valore assicurato, ma dell’indennizzo concretamente dovuto in base al contratto. Questo orientamento sarebbe giustificato da tre considerazioni:

  1. la lettera della legge ex art. 1910 c.c. (che fa riferimento “all’indennità dovuta”);  
  2. l’inapplicabilità dell’altro sistema, nel caso di concorso con un assicuratore che abbia garantito un massimale illimitato;  
  3. le iniquità che produrrebbe l’altro sistema, quando uno degli assicuratori, pur avendo garantito un valore maggiore di quello garantito dagli altri, paghi però un indennizzo inferiore, ad esempio perché ha stipulato una sottoassicurazione, oppure per la presenza di franchigie o scoperti.  In questi casi si osserva che la regola di riparto in proporzione del massimale potrebbe addirittura azzerare il diritto di regresso, oppure esporre l’assicuratore a dover versare agli altri assicuratori una somma eccedente l’indennizzo che avrebbe dovuto pagare all’assicurato, se non vi fossero state altre polizze.

La Suprema Corte pertanto avalla detto ultimo orientamento ritenendo insostenibile rinvenire nel lemma “indennità” un significato equiparabile a “massimale”. Oltre al dato letterale però la Corte dà peso all'interpretazione finalistica della norma,  per cui la ratio dell’art. 1910 c.c. sarebbe quella di ridurre, in presenza di più assicuratori, il peso economico del sinistro per ciascuno di essi. Non si tratterebbe tuttavia di un vantaggio per l’assicuratore, ma per la massa degli assicurati, dal momento che il minor costo dei sinistri ha per effetto indiretto la riduzione del premio puro.  

A ciò si aggiunga che in ipotesi di massimale illimitato il primo criterio sarebbe matematicamente inapplicabile, posto che un numero finito diviso per infinito dà per risultato un infinitesimo tendente a “0” all’infinito, sicché la formula “danno per massimale fratto somma dei massimali” comporterebbe che la quota a carico dell’assicuratore con massimale illimitato sarebbe sempre “tendente a zero all’infinito”, e quindi indeterminabile. La Suprema Corte opera poi una valutazione di diritto comparato, sottolineando come nel diritto francese, mentre inizialmente si diede credito al primo orientamento, successivamente con la legge 13.7.1982 si sostituì la regola della proporzionalità dei massimali con quella degli indennizzi, stanti le difficoltà applicative del primo criterio.

Conclusivamente, la Suprema Corte rigetta il ricorso con il quale l’assicuratore “Y” richiedeva, in ipotesi di regresso tra assicuratori, l’applicazione del riparto in proporzione dei rispettivi massimali, anziché degli indennizzi dovuti ex contractusancendo il principio di diritto per cui: “Se più assicuratori hanno coperto in modo indipendente l’uno dall’altro il medesimo rischio (c.d. assicurazione plurima), quello tra loro che ha pagato all’assicurato l’intero indennizzo dovuto secondo il contratto ha diritto di regresso in misura proporzionale rispetto all’indennizzo contrattualmente dovuto da ciascuno degli altri assicuratori. Tale misura si determina moltiplicando il danno patito dall’assicurato per l’indennizzo concretamente dovuto dal singolo assicuratore e dividendo il prodotto per la sommatoria degli indennizzi concretamente dovuti da tutti gli assicuratori”.

Avv. Mauro De Filippis, Studio Legale THMR

11/4/2024
 

 
 
 

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