La corretta integrazione tra prestazioni delle Casse dei Professionisti e quelle assicurative private

Quale relazione tra le prestazioni erogate dalle Casse di Previdenza e assistenza dei professionisti e le prestazioni risarcitorie e indennitarie, di solito erogate direttamente o indirettamente da compagnie di assicurazione private? Un tema complesso e all'apparenza di nicchia, ma in realtà cruciale in vista di una definitiva maturazione del welfare integrato (ancor di più post COVID-19)

Alessandro Bugli

Nel costante tentativo di trovare unità in un mondo tanto importante, quanto spesso trascurato dagli interpreti, quale è quello del welfare integrato (pubblico-privato), abbiamo tentato di comprendere quale sia la relazione tra prestazioni erogate dalle Casse di Previdenza e assistenza dei professionisti e le prestazioni risarcitorie e indennitarie (normalmente erogate direttamente o indirettamente da compagnie di assicurazione private).

Perché? Come noto, già da lungo tempo, la giurisprudenza si è interrogata sul comprendere se, come e quando prestazioni (anche di fonte diversa; contrattuale o di legge) possano cumularsi a fronte di un evento avverso (in logica assicurativa danni: il sinistro) o, quando, invece, ciò non possa o non debba avvenire. Questo in quanto, nel calcolo del pregiudizio patito dall’asserito danneggiato in caso di evento avverso, bisogna tenere conto sia dei meno (-) che dei (+) che tale eventualità ha cagionato nella sua sfera personale.

Pur senza troppa certezza al riguardo, si è soliti citare l’esempio dell’abbattimento accidentale di un muro di confine di proprietà per cui il proprietario avrebbe ingaggiato nei giorni successivi un’impresa dedicata a tale compito. Vero, in questo caso, che il meno (-) attiene alla distruzione di un bene di proprietà e dalla necessità di rimettere in ordine il perimetro e la zona, ma c’è un (+): il non dover pagare l’impresa per fare la stessa cosa, in tutto o in parte. Nel liquidare il danno non si potrà quindi non tenere conto di tale circostanza.

Gli studiosi del diritto sono atti considerare questo modo di procedere e il relativo istituto come compensatio lucri cum damno. Su questo istituto, sulla sua applicabilità e sui suoi limiti si è interrogata da decenni la giurisprudenza. In modo diretto o indiretto (e, a volte, improprio), in materia assicurativa, il pensiero di questo istituto ha fatto da sfondo a diverse pronunce intese a:

  • Negare la cumulabilità degli indennizzi derivanti da più polizze infortuni stipulate dal medesimo assicurato
     
  • Procedere negli stessi termini in materia di cumulo tra pensione di reversibilità e prestazione risarcitoria a matrice assistenziale verso i superstiti di una vittima di sinistro (principio poi rivisto in senso opposto da successive pronunce)
     
  • Chiarire che il risarcimento RCA non si cumula con la copertura infortuni che copra l’evento dannoso legato a fatti della strada
     
  • Ribadire la storica impostazione per cui alcune provvidenze INPS e INAIL non si cumulano con il risarcimento dovuto dal danneggiante (e che gli Istituti richiamati hanno diritto di surroga verso il danneggiante e la sua assicurazione per gli importi che hanno corrisposto e andranno a corrispondere)
     

Il catalogo è vario e su questo abbiamo scritto diverse volte in questi anni. Le Sezioni Unite di Cassazione del 2018, chiamate a risolvere i diversi contrasti sorti in sezione semplice, si sono espresse – tra l’altro - in questi termini:

  • “Le prestazioni rese dal terzo, rispetto al danneggiante, devono avere un collegamento funzionale comune con il risarcimento ed essere intese direttamente a indennizzare la vittima dell’evento…
     
  • Si tratterà quindi di distinguere tra classi di casistiche, da analizzare al filtro della regola di “giustizia del beneficio” per comprendere la ragione specifica posta a fondamento della prestazione resa dal soggetto terzo rispetto al danneggiante. Un esempio di esclusione dal diffalco è proprio l’assicurazione sulla vita dove il capitale o la rendita sono la contropartita del risparmio previdenziale svolto tempo per tempo attraverso il versamento di premi di assicurazione da parte del danneggiato….
     
  • La stessa verifica per classi andrà svolta per verificare se la legge preveda un diritto del terzo erogatore del “beneficio” a surrogarsi verso il danneggiante. In questo caso pare evidente che il legislatore non abbia voluto ammettere la possibilità di cumulo di risarcimento e prestazione in capo al danneggiato”.

I requisiti principali quindi per capire se più prestazioni in linea di conto in sede di giurisprudenziale sarebbero almeno tre:

  1. collegamento funzionale tra prestazione e risarcimento;
     
  2. utilizzo della regola della “giustizia del beneficio” per capire il perché una determinata prestazione è resa al beneficiario (potenziale);
     
  3. verifica, a supporto della tesi affermativa dell’incumulabilità, della presenza di un diritto a surrogarsi da parte dell’erogatore verso il danneggiante.

Dal poker di pronunce della Cassazione, diverse sono quelle di merito o a sezione semplice che ne hanno fatto seguito. Quello che qui interessa, però, non è rinfocolare una discussione tanto interessante, quanto poco prendibile in concreto, soprattutto nei suoi punti di confine e estremi, ma capire (almeno per ora) se la regola generale per cui il risarcimento dovuto al danneggiato debba essere normalmente ridotto delle eventuali prestazioni INPS e INAIL (almeno per quelle per cui esiste un diritto di surroga espresso o affermato in sede pretoria), valga anche in caso di prestazioni erogate dalle Casse di Previdenza e assistenza dei liberi professionisti.

La regola sembrerebbe dover essere genericamente affermativa, almeno per le prestazioni a matrice “assistenziale”, cioè per quelle estranee alla funzione di risparmio tipica del risparmio pensionistico dove la prestazione è resa a fronte dell’accumulo e investimenti di contributi. Se infatti si potesse affermare che alcune delle prestazioni (quelle che abbiamo definito a matrice “assistenziale") rese da questi enti abbiano funzione di ristoro e sostegno dell’iscritto/danneggiato e non sia la riposta pensionistica in logica retributiva/contributiva di risparmio previdenziale, allora dovrebbero trovare applicazioni due regole base del Codice Civile:

  • l’art. 1203, comma 1, n. 3, c.c. per cui La surrogazione ha luogo di diritto … a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse di soddisfarlo;
     
  • l’art. 1203, comma 1, n. 5, per cui la surrogazione avviene sempre di diritto negli altri casi previsti dalla legge. Esempio tipico di questa previsione è proprio l’art. 1916 c.c. per cui: “L'assicuratore che ha pagato l'indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell'ammontare di essa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili … Le disposizioni di questo articolo si applicano anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali”. Proprio per dare applicazione alla regola, in materia di assicurazione RCA (art. 142 del Codice delle Assicurazioni) si prevede che: “Qualora il danneggiato sia assistito da assicurazione sociale [N.d.R. e le Casse sembrano rientrarvi a pieno titolo], l'ente gestore dell'assicurazione sociale ha diritto di ottenere direttamente dall'impresa di assicurazione il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato ai sensi delle leggi e dei regolamenti che disciplinano detta assicurazione, sempreché non sia già stato pagato il risarcimento al danneggiato”.

Detto questo, già all’indomani delle pronunce delle Sezioni Unite ci eravamo interrogati sulla bontà di una simile lettura dell’incumulabilità tra provvidenze e risarcimenti, fondata sull’esistenza di un diritto di surroga, potendo giungersi – attraverso il richiamo all’istituto della surroga legale in generale e non andando alla ricerca di ipotesi specifiche di surroga – a far rientrare dalla finestra ciò che apparentemente era uscito dalla porta e dovendosi conseguentemente abbattere il risarcimento dovuto al danneggiato in ragione di tutte le prestazioni assistenziali (nei termini sopra detti) da questo ricevute, sia da enti pubblici che da privati. Si commentava infatti questa “massima” impostazione affermando: “la presa di posizione delle Sezioni Unite sulla centralità della surroga ai fini del diffalco potrebbe condurre a un’ipertrofica applicazione dell’istituto in commento, anche a spregio di quella “giustizia del beneficio” che sembra invece essere l’elemento a cui porre primaria attenzione, anche in presenza di un possibile diritto di surroga da parte dell’ente pagatore e erogatore del beneficio”.

Certi che a questo punto il ragionamento si faccia troppo articolato, la questione deve necessariamente essere razionalizzata e semplificata, provando a rispondere nell’ordine a due quesiti (anche in ragione dei dubbi posti):

  1. La presenza di un (generale e astratto) diritto di surroga che legge offre a tutti coloro che paghino con altri o per altri e l’art. 1916 c.c., valido anche in materia di assicuratori sociali (quali le Casse dei Professionisti) è di per sé sufficiente a consentire all’assicuratore privato di ridurre il compendio risarcitorio in ragione della presenza di alcune provvidenze assistenziali versati da questi Enti? Oppure si deve indagare caso per caso la presenza di questo (poco prendibile) criterio della “giustizia del beneficio”?

In assenza di impostazioni certe e definitive, la risposta che ci parrebbe essere data in termini di maggiore aderenza alle finalità dell’Ordinamento e in ossequio alle finalità degli artt. 2, 3 e 38 Cost. (dove anche gli enti privati partecipano della funzione previdenziale pubblica; le Casse per definizione) e, quindi, l’opera di mero “diffalco” del risarcimento in presenza di un generale diritto di surroga legale ai sensi del Codice Civile andrebbe sicuramente temperata e ben ponderata proprio in ragione di quel complesso e difficile da prendere principio della “giustizia del beneficio”. L’unico argomento di segno sia favorevole che contrario è il fatto che quando INPS conceda prestazioni per invalidità o inabilità (queste quelle primariamente interessate dalla ipotesi che ci occupano, v. ex multis, Cass. 18050/2019) ha diritto di surroga e, normalmente, la esercita. Ma in quel caso è proprio la legge speciale dettata per INPS a prevederlo (dando per buono che sia stato proprio il legislatore in proprio ad aver affrontato il soppeso con la “giustizia del beneficio”).  

  1. Ammesso, ora, che la presenza del diritto generale di surroga di cui al Codice Civile, filtrato e mitigato alla luce del principio della “giustizia del beneficio”, possa dare “luce verde” (in astratto) al diffalco del risarcimento, può la Cassa limitare questa eventualità? 

Anche qui non abbiamo risposte certe. Il fatto che la Cassa consenta espressamente il cumulo, questa circostanza potrebbe non essere sufficiente a escluderne che un assicuratore terzo (infortuni o RC o altro) possa ridurre il compendio indennitario/risarcitorio. Infatti, non pare peregrino sostenere che il danneggiante o l’assicuratore, fondandosi sul fatto che sebbene la Cassa non si surrogherà nei diritti del danneggiato verso la compagnia stessa, questi cumulando le prestazioni della Cassa con quelle risarcitorie o indennitarie date il danneggiato ne ritrarrebbe comunque un indebito vantaggio. Il tutto in violazione del principio della compensatio lucri cum damno (in questo senso, si veda analogicamente Cass. 14358/2019 la quale sembra escludere l’apertura data nel pezzo del 2018 richiamato in avvio sull’autoqualificazione da parte della compagnia o dell’ente della sua prestazione come squisitamente previdenziale e non assistenziale; con l’effetto di riprova della rinuncia al suo diritto di surroga).

Come si potrà comprendere, l’impatto non è trascurabile. Parliamo, infatti, di più di 1,6 milioni di professionisti (e delle loro famiglie) e di un tratto fondamentale, spesso trascurato, della spina dorsale e economica del Paese. Comprendere cosa accade e quale dovrebbe essere la corretta gestione di questo tipo di vicende diviene, ovviamente, sempre meno trascurabile, tanto più in tempi di risorse limitate e di massima esigenza di garantire a tutti (in momenti di difficoltà, quali quelli post pandemici) quella “giustizia del beneficio” più volte citata. In questo senso, si ha notizia che si stanno compiendo interessanti esercizi (ANIA, prima tra tutte) per censire tutte le provvidenze pubbliche e obbligatorie e comprenderne l’impatto sul sistema e l’operatività delle assicurazioni.

In questo contesto, abbiamo provato, quindi, pur con possibili errori, a verificare cosa prevedono i regolamenti delle principali Casse di Previdenza per numero di iscritti (quelle che coprono circa 1,2 degli 1,6 milioni di professionisti). Fatto il quadro, abbiamo rilevato almeno tre impostazioni di massima.

  1. Alcune di queste dichiarano una piena cumulabilità tra prestazioni pensionistiche e assistenziali;
     
  2. Una, a quanto rilevato, conferma la regola precedente, ma rimanda a diverso comportamento ove richiesto espressamente dalla legge;
     
  3. Almeno due dichiarano che, in caso di infortunio, non verranno liquidate (o saranno revocate) le pensioni per inabilità e invalidità nel caso in cui vi sia stato risarcimento del danno (si immagina da parte del danneggiante) e questo ecceda la somma pari alla capitalizzazione delle pensioni annue stesse. In caso diverso viene ridotta la prestazione. La regola non vale per le polizze infortuni eventualmente stipulate dall’iscritto. Ove la Cassa abbia già pagato e la liquidazione del risarcimento sia successiva, questa si surroga nei diritti dell’iscritto verso il danneggiante, anche in concorso con altri assicuratori infortuni.

Insomma, salvo inganni, ogni Ente sembra gestire la vicenda a modo proprio, in un quadro che sarebbe comunque complesso, anche in caso di condivisione dell’impostazione da parte delle diverse Casse. Se l’affermazione regolamentare e unilaterale del pieno diritto di cumulo delle prestazioni pensionistiche e assistenziali non fosse sufficiente a escludere la possibilità di contenere il diritto al risarcimento, come parrebbe affermare la Cassazione del 2019 richiamata per analogia, questa circostanza dovrebbe – se non altro – essere condivisa e nota e, se del caso, gestita e regolata. Ciò anche nel caso in cui sia la Cassa a non riconoscere prestazioni in funzione dell’avvenuto risarcimento, finendo per operare alla stregua di una assicurazione (sociale) “a secondo rischio”, che interviene in via solo residuale o comunque suppletiva.

Lo stesso vale poi per la gestione delle eventuali surroghe parte della stessa Cassa. In questi casi, magari residuali, resterebbe da comprendere se non si debba fare applicazione dell’art. 142 del Codice delle Assicurazioni (richiamato in precedenza), almeno per i sinistri da responsabilità auto, pena ridurre il successo della surroga stessa, alla quale il danneggiato e l’assicuratore potrebbero rispondere di aver già utilmente pagato il danneggiato e di non essere tenuti a pagare due volte.

Un ragionamento a parte, poi, meriterebbe il rapporto tra prestazioni di invalidità e inabilità e polizze infortuni. Sia per l’obbligo di legge in alcuni settori di stipulare polizze a favore dei propri collaboratori di studio (si pensi all’avvocatura), dove quindi la presenza di una polizza non è un ipotesi, ma una certezza. Quest’obbligo, particolarmente avversato dalla sua entrata in vigore, merita un miglior coordinamento con le funzioni assistenziali dell’Ente, oggi apparentemente rimandate ad un libero cumulo di prestazioni, pur a fronte di due obblighi (quello di contribuire all’Ente per sé e quello di pagare un premio per i propri collaboratori; i quali a loro volta pagano il loro contributo previdenziale di legge e sono già in parte coperti per ipotesi di infortunio grave). Il fatto, poi, che l’Ente che utilizzi l’impostazione detta, rinunci a ridurre la prestazione in funzione di altre coperture infortuni rimane scelta unilaterale che potrebbe avere comunque impatti sugli indennizzi dovuti dalle garanzie infortuni altrimenti stipulate dall’iscritto e sull’applicazione dell’art. 1910 c.c. (in tema di assicurazione indiretta), ammesso che ne abbia senso l’utilizzo in consimili casi.

Basti al riguardo ricordare come, sebbene normalmente la platea sia composta da liberi professionisti e non dipendenti, il rapporto tra prestazioni pubbliche per “infortuni” e quelle private è ancora oggetto di grande discussione in tempi di COVID-19; occasione questa che potrebbe essere il tempo di rivedere o comunque meglio definire queste regole di interrelazione. Lo stesso vale per l’eventuale presenza di eventi di infortunio che sebbene non indennizzate da polizze propriamente ricomprese nel ramo 1 danni (infortuni) diano diritto all’iscritto all’Ente a ricevere prestazioni per LTC o polizze di ramo IV vita. Il tutto per ricomprendere o eventualmente escludere chiaramente dal perimetro della regola queste prestazioni.

Il tema, lo si ripete, apparentemente di nicchia e complesso, è tuttavia – come evidente – uno dei punti da affrontare in vista della vera maturazione del modello integrato di welfare, dove anche l’assicurazione e soprattutto quella RC e RCA apparentemente eccentrica a questo aspetto, gioca un ruolo determinante in termini di servizio e presa in carico dei soggetti più in difficoltà e necessitanti di sicurezza sociale: quelli gravemente lesi da eventi avversi.

Alessandro Bugli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Socio Studio Legale Taurini&Hazan 

7/7/2020

 
 
 

Ti potrebbe interessare anche