L'intermediario a "titolo accessorio": chi è e cosa fa?

Introdotta dalla direttiva europea sulla distribuzione assicurativa (IDD), la figura dell'intermediario a "titolo accessorio" ha sollevato alcune difficoltà operative cui il mercato italiano non ha saputo reagire in modo unitario: da qui, l'importanza di individuare presto una regola che possa finalmente uniformarlo

Alessandro Bugli e Annibale Valsecchi

La figura dell’intermediario “a titolo accessorio” (ITA) è figlia della regolamentazione europea sulla IDD (2016/97/UE). La finalità di creare e regolare l’ITA nasce dalla volontà di estendere la regolamentazione in materia di distribuzione assicurativa (a tutela dell’utenza) a tutti coloro che a diverso titolo finiscano per intermediare soluzioni assicurative verso la clientela finale.

Si legge, infatti, nel Considerando n. 8 alla stessa Direttiva: “Al fine di garantire ai clienti lo stesso livello di tutela indipendentemente dal canale attraverso il quale acquistano un prodotto assicurativo, direttamente da un’impresa di assicurazione o indirettamente tramite un intermediario, è necessario che l’ambito di applicazione della presente direttiva si estenda non soltanto alle imprese di assicurazione o agli intermediari assicurativi, ma anche ad altri partecipanti al mercato che vendono prodotti assicurativi a titolo accessorio, ad esempio agenzie di viaggio e autonoleggi, a meno che non soddisfino le condizioni di esenzione” (sull’esenzione e sulle sue condizioni torneremo nel seguito). Da qui, la scelta di regolare la distribuzione di prodotti assicurativi da parte di coloro che non sono propriamente professionisti dedicati unicamente alla distribuzione di prodotti assicurativi, bensì svolgano un’attività (diremo) principale diversa (vendita di beni o prestazione di servizi non assicurativi) e si trovino a intermediare soluzioni assicurative nell’ambito di questa attività.

Il modello teorico di regolamentazione avrebbe quindi dovuto fare leva sul principio di proporzionalità, cercando da un lato di garantire alla clientela finale uno standard di professionalità di questi ITA e allo stesso tempo non complicare troppo l’attività imprenditoriale di questi ultimi. Insomma, all’indomani dell’IDD si può distinguere nel mondo dell’intermediazione assicurativa tra intermediari professionali ordinari (ad esempio, agenti e broker) e intermediari a titolo “accessorio”. Per questi ultimi, come detto, almeno idealmente, l’attività di intermediazione sarebbe una costola dell’attività principale commerciale, diversa dalla distribuzione assicurativa.

Senza ripercorrere il lungo percorso di recepimento, ancora in corso per il tramite di regolamenti, provvedimenti e correttivi, veniamo subito alla definizione italiana di ITA. Secondo il Codice delle Assicurazioni (art. 1, co. 1, lett. cc-septies) l’intermediario assicurativo a titolo accessorio (ITA) è: “qualsiasi persona fisica o giuridica, diversa da uno dei soggetti di cui alla lettera d), comma 2, dell’articolo 109 [N.d.r., banche, divisione Banco Posta e altri operatori del mercato finanziario], che avvii o svolga a titolo oneroso l'attività di distribuzione assicurativa a titolo accessorio, nel rispetto delle seguenti condizioni: 1) l'attività professionale principale di tale persona fisica o giuridica è diversa dalla distribuzione assicurativa; 2) la persona fisica o giuridica distribuisce soltanto determinati prodotti assicurativi, complementari rispetto ad un bene o servizio; 3) i prodotti assicurativi in questione non coprono il ramo vita o la responsabilità civile, a meno che tale copertura non integri il bene o il servizio che l'intermediario fornisce nell'ambito della sua attività professionale principale”. Da rilevare, in aggiunta a quanto premesso, la particolare attenzione verso la distribuzione di soluzioni vita e di RC, a sottendere che la distribuzione di queste dovrebbe essere consentita solo in presenza di una vera effettiva “integrazione” tra questo tipo di garanzia e il bene o il servizio fornito in via principale dall’ITA.

Insomma, l’ITA è un intermediario professionale a pieno titolo, ma con alcune limitazioni in termini di operatività rispetto ai colleghi agenti e broker. Questa limitazione trova un contraltare nella riduzione degli obblighi in materia di formazione professionale e di aggiornamento nei termini che diremo a breve. La trasposizione in Italia della previsione europea sconta purtroppo i limiti di un registro degli intermediari (RUI) articolato e complessivo, sino a lì già sezionato in lettere dalla A alla E (semplificando malamente: A – Agenti; B – Broker; C – produttori diretti; D – banche e altri operatori finanziari e postali; E – collaboratori di A, B e D). Ogni intermediario, si ricorda, può opzionare una sola lettera e gli è fatto divieto di compiere attività che lo riconducano ad altra sezione del Registro a cui non è iscritto. Alcuni soggetti non hanno nemmeno l’opzione (ad esempio, le Banche e simili, che possono solo iscriversi alla sezione D). Non essendo questa la sede per riassumere il modello distributivo italiano e rimandando quindi a questo link per ulteriori approfondimenti, all’esito del recepimento della IDD, il RUI si è arricchito di una ulteriore sezione e, tramite regolamentazione IVASS e “correttivo” legislativo di fino 2020 (d.lgs. 187/2020), di una sottosezione E. Senza complicare l’esposizione, possiamo dire che alla distinzione tra intermediari ordinari (sez. A, B e D) e ITA, se ne aggiunge un’altra in seno agli stessi ITA: coloro che operano direttamente per conto di Compagnie (similmente a un agente, ma con requisiti professionali e competenze certamente diverse), iscritti in sez. F e ITA che operano per conto di altri intermediari (e, quindi, non in rapporto diretto con le Compagnie), iscritti in sez. E, sottosezione a “ titolo accessorio”.

Ora, la domanda sorge spontanea: che interesse ha tutto questo per il mercato e per la clientela? Verrebbe da darsi molto di più di quanto sino a oggi si è visto e pensato. Riprendendo le premesse, se è vero che un ITA deve iscriversi al Registro salvo esenzione, bisogna capire prima di tutto sciogliere un dubbio: ITA lo si è per definizione o ITA lo si diviene per scelta? Dicendolo meglio, prendendo ad esempio un venditore di auto (car dealer) che intermedi anche coperture assicurative, questo è necessariamente un ITA che deve iscriversi in sez. E o F del RUI o, questo, assolti gli obblighi di formazione e aggiornamento di legge può operare anche come intermediario ordinario. Opinando per la prima tesi (sostanzialista, e forse più prossima al pensiero del legislatore europeo), un car dealer non potrebbe mai essere un agente o un broker e la sua attività in determinati rami assicurativi sarebbe fortemente preclusa. Questa tesi poggia sull'asserita marginalità dell’operatività dell'ATI nel settore della distribuzione assicurativa, da intendersi come limitato ai prodotti “complementari” a beni e servizi di natura diversa e diverso nella sostanza da chi impegni la sua giornata per il solo mercato assicurativo. Qualcosa di simile lo si registra (ex art. 119 del Codice delle Assicurazioni, CAP) in ambito di distribuzione bancaria, limitata ai solo prodotti standardizzati (dovendo le stesse banche attrezzarsi diversamente, tramite un agente o broker interno, quando si intenda estendere l’attività ai non standardizzati; sulla convinzione che l’operatore bancario non disponga in proprio dei processi e delle competenze tipiche di un agente o un broker). Ma proprio il settore del credito è quello più complesso da prendere. Si pensi alle reti distributive di bancassicurazione che collochino finanziamenti e soluzioni assicurative correlate o “decorrelate” (si veda la lettera al mercato Bankitalia/IVASS del 17 marzo 2020).

Qui il dubbio è legittimo, essendo l’attività di credito la prevalente per natura dell’operatore, comporta che tutti gli intermediari siano da considerarsi a “titolo accessorio”? Se così fosse, perché escludere espressamente dalla definizione di ITA, proprio gli iscritti in D? L’esclusione può infatti essere letta in due modi: escludere le banche per chiarire che, pur essendo ITA, devono stare in altra sezione loro dedicata (ma l’esclusione non attiene alla classificazione RUI, bensì deriva dall’Europa) oppure per chiarire che il mondo della bancassicurazione è da considerarsi estraneo a quest’ambito, così come alla disciplina del 120-quinquies CAP in materia di vendite abbinate, a determinate condizioni. Al di là di questo dubbio, volendo affermare la tesi sostanzialista (con i necessari chiarimenti del caso, per capire cosa sia ITA e cosa no), per tutti i canali che non operino unicamente nella distribuzione assicurativa o, comunque, a titolo prevalente, non vi sarebbe altro spazio che agire quale ATI, limitando la distribuzione ai prodotti complementari e con forti limiti nel settore vita e RC (e con divieto espresso di intermediare altre soluzioni, ad esempio la previdenza complementare). Opinando per la seconda tesi (fondata sulla libera determinazione imprenditoriale del professionista, se essere ITA o meno), l’essere o non essere ITA sarebbe invece conseguenza di una mera scelta imprenditoriale, con eventuale vantaggio nell’operare come ITA, in termini di requisiti di iscrizione al RUI (ad esempio, non sostenere un esame abilitante, come avviene per l’agente o il broker e fare 15 ore in meno di aggiornamento professionale annuale in caso di iscrizione in sez. E a titolo “accessorio”), ma con le limitazioni dette in termini di gamma di prodotti distribuibili.

Il rischio è quello di arbitrariamente comprimere la libertà imprenditoriale di tante reti distributive, negandosi – ad esempio – a un venditore di beni e servizi che comunque intenda operare a titolo pieno nel settore della distribuzione assicurativa di poterlo fare (se non con forti limitazioni). Non sussistendo - salvo inganni - un obbligo di limitare l’oggetto sociale ai fini dell’iscrizione al RUI alla sola distribuzione assicurativa. In sostanza, se una società ha nell’oggetto sociale sia l’attività commerciale non assicurativa sia la distribuzione (senza subordine), è o non è un ATI? Se l’attività distributiva è a tutti gli effetti un valore essenziale della operatività imprenditoriale e il soggetto sia disposto a soddisfare tutti i requisiti di formazione, aggiornamento e presidio validi per gli intermediari ordinari perché negare una simile possibilità?

Con propria FAQ, l’Istituto di Vigilanza (IVASS) sembrava aprire a questa seconda opzione. Si legge, infatti, nella stessa: “un intermediario iscritto nelle sezioni A, B o D che intenda avvalersi della collaborazione di un concessionario di auto per la vendita di prodotti assicurativi disgiunti dalla vendita dell’auto (ossia del bene o servizio fornito nell’ambito dell’attività professionale principale) dovrà iscrivere lo stesso nella sezione E del RUI ai sensi dell’art. 109, comma 2, lett. e) del CAP, senza la qualifica di intermediario “a titolo accessorio”. Resta inteso che, in tale ipotesi, dovranno essere rispettate le seguenti condizioni: - la veste di intermediario a titolo “non accessorio” sia riconosciuta da ciascun altro intermediario di riferimento che eventualmente conferisca un incarico all’iscritto nella sezione E; - siano rispettati i più rigorosi obblighi di aggiornamento professionale previsti dall’art. 89 del Regolamento IVASS n. 40/2018 per gli intermediari iscritti nella sezione E quali intermediari “non accessori”. Insomma, la scelta di iscrivere il proprio collaboratore come intermediario ordinario o come ITA dipenderebbe dalla volontà di quest’ultimo e dell’intermediario principale di valersi della collaborazione del dealer non solo per la vendita di prodotti assicurativi complementari al bene o al servizio non assicurativo, bensì anche per prodotti disgiunti.

Nella complessità descritta, il mercato, a quanto ci consta, non si è mosso in modo unitario. A fonte di un ridotto ricorso alla sezione F del RUI (ITA con rapporto diretto con le Compagnie), si è assistito a una sostanziale divaricazione operativa per quanto attiene all’iscrizione dei propri collaboratori da parte di agenti, broker e banche tra sezione E ordinaria del RUI e sottosezione a titolo accessorio. Il riferimento è ovviamente a quei collaboratori che non operino esclusivamente come intermediari di secondo livello, bensì svolgano un’altra attività (spesso prevalente) rispetto a quella intermediatizia (proprio nel nostro esempio i car dealer). Tutto questo ha certamente comportato complessità operative anche a livello amministrativo, potendosi in più casi verificarsi che lo stesso intermediario sia considerato come ordinario per alcuni preponenti e “accessorio” per altri. Il tutto in contrasto con il divieto di doppia iscrizione in diverse sezioni del RUI (esteso anche all’iscrizione in sez. E sia come ordinario sia come “accessorio”, ma soprattutto con la logica, non essendo possibile immaginare che un intermediario possa essere distributore “a pieno titolo” e allo stesso tempo “accessorio”. Tutte queste considerazioni, di impatto per tutti i soggetti coinvolti (Compagnie, intermediari, clienti e anche la stessa IVASS), imporrebbero di delineare una regola, per quanto ci si esponga in ogni modo a criticità, per uniformare il mercato.

Si capirà come ogni singolo stakeholder in un modo o nell’altro si trovi di fronte a una serie di pro e contro:

  • IVASS che, in caso di libera scelta sul come e dove iscriversi, si troverebbe di fronte a situazioni distributive pressoché sovrapponibili, ma sottoposte a regole ben diverse tra loro in termini di trasparenza e soluzioni distribuibili. Il tutto con le criticità dette in termini di iscrizioni incoerenti da parte di più intermediari principali (sez. A, B o D);
     
  • gli intermediari principali (agenti, broker e banche) che, in caso di libertà, si troverebbero a capire come gestire il conflitto di iscrizioni rispetto a quello che è stato dichiarato da altri intermediari principali che lavorino con lo stesso dealer (nel nostro esempio). Quale dichiarazione prevale? L’ultima in ordine di tempo? Quella speciale con cui si possa documentare che lo stesso dealer abbia dichiarato di operare solo a “titolo accessorio”? Se così fosse, questo comporterebbe un cambio anche per gli altri intermediari principali che, magari, hanno affidato la distribuzione di una soluzione non complementare a beni e servizi al singolo dealer. In questo senso, ci si permette di consigliare, in ogni caso, di strutturare correttamente i contratti con la rete per verificare e poter attestare tutte quelle informazioni utili a sostenere la scelta di iscrivere l’intermediario in sez. E o in sez. E a “titolo accessorio”, ciò sia verso IVASS, ma prima ancora verso le Compagnie, a fini POG e di controllo delle reti ex art. 46 del Reg. 40 IVASS;
     
  • le Compagnie che, nella loro POG e nel loro compito di verifica delle reti (ex art. 46 del Reg. 40 IVASS), dovrebbero sapere se la rete di secondo livello (sez. E) si compone di ITA o di soggetti titolati alla distribuzione di ogni e qualsiasi soluzione assicurativa;
     
  • i clienti che, a fronte di uno stesso intermediario, dovrebbero sapere se questo è formato professionalmente e titolato a vendere soluzioni non complementari o possa o non possa vendere prodotti vita o RC. Il tutto con eventuali azioni contrattuali del caso (e.g. risarcimento danni in caso di errato compimento delle attività precontrattuali) e forse della nullità relativa per assenza di autorizzazione alla distribuzione ex art. 167, comma 2, CAP (come avviene nel caso di intermediazione di soluzioni non distribuibili in UE ex art. 116 CAP), sebbene non espressamente richiamata per questo caso.

In conclusione, ci si trova a dover dare risposta a un problema applicativo che, per quanto si voglia far bene, si presta a scontentare qualcuno, in quanto: l’opzionalità conduce a tutte le criticità dette e rischia di lasciare priva di concreta applicazione la novella normativa; di converso, l’obbligo, rischia di essere censurato come forte limite alla libertà di impresa, imponendo alle Compagnie e agli intermediari principali che operino con canali alternativi (car dealer, agenzie viaggio, etc) di limitare la propria operatività in termini di soluzioni intermediabili loro tramite verso la clientela, tanto più nel settore vita e RC.

Queste criticità sono, si immagina, le stesse che ha incontrato sin qui IVASS ed è difficile muovere alcuna colpa all’Istituto, anche se si suppone che qualcosa succederà anche in ragione delle diverse richieste al mercato mosse in materia dal Regolatoria. Forse, però, nell’anno della revisione della IDD, questo aspetto meriterebbe una risposta dal legislatore europeo: risposta che sia centrale e valida per tutta la UE.

Alessandro Bugli, Socio Studio legale associato THMR e Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

 Annibale Valsecchi, Studio legale associato THMR

11/5/2021

 
 
 

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