Aumentano i laureati, aumentano le disuguaglianze

In Italia sale la percentuale di laureati tra i giovani-adulti (25-34 anni) ma non in modo uniforme: crescono in particolare il gender gap e il divario territoriale a discapito, rispettivamente, di uomini e regioni del Mezzogiorno

Lorenzo Vaiani

A livello nazionale, come si può notare dal grafico sottostante, si conferma un trend positivo rispetto alla percentuale di laureati tra i giovani-adulti, ovvero i soggetti di età compresa tra i 25 e i 34 anni, che prosegue, anche se in modo leggermente altalenante, da oltre 3 lustri. Nel 2004 la percentuale di laureate e laureati sulla popolazione di riferimento era del 14,6%, mentre nel 2020 (ultimo dato disponibile) tale valore è cresciuto fino a toccare quota 29%, con un incremento di quasi 15 punti percentuali. 

Questa crescita, però, non sta avvenendo in modo uniforme nel Paese. È possibile, infatti, riscontrare al contempo sia un aumento delle disuguaglianze territoriali sia di quelle di genere. 

 

Il divario territoriale: gli estremi non cambiano, il Meridione è sempre (più) ultimo mentre il Centro la fa da padrone

Per quanto riguarda le disparità territoriali, utilizzando sempre il grafico sottostante, si osserva come nel periodo tra il 2004 ed il 2020 l’area peggiore sia rimasta sempre quella del Mezzogiorno. Nel 2004 su 100 giovani-adulti erano presenti 12 laureati, con una differenza rispetto alla media nazionale di soli 2,5 punti percentuali. Nel 2020 la distanza dalla media nazionale è addirittura più che raddoppiata assestandosi a 6 punti percentuali (23,1% nel Meridione contro il 29% della media nazionale). Focalizzando l’attenzione sulle aree maggiormente virtuose si riscontra come le regioni con il più alto numero di laureati tra la popolazione compresa tra i 25 e i 34 anni, sia nel 2004 che nel 2020, sono collocate nel cosiddetto Centro. All’inizio della serie storica in questa zona del Paese si registrava una percentuale di laureati del 17%, salita fino ad arrivare al 33% nel 2020, ovvero un terzo dei giovani-adulti era laureato. È interessante notare come tra il 2004 e il 2020 la seconda posizione sia passata dal Nord-Ovest al Nord-Est. Nel primo caso in quest’arco di tempo la percentuale è salita dal 15,8% al 31,9%, mentre per il secondo è più che raddoppiata passando dal 15,3 al 32,3%.

Una spiegazione dell’incremento della disuguaglianza tra le regioni del Sud e delle Isole rispetto al resto del Paese è legata ai tassi di crescita registrati nel periodo 2004-2020. Infatti, l’incremento percentuale del numero di laureati nel Mezzogiorno è pari a +45,7% contro un valore nelle altre aree geografiche di circa 47,5%, eccenzion fatta per il Nord-Est, dove si registra un incremento del +52,3%. Insomma, il Meridione, che già partiva da una posizione svantaggiata, cresce a un tasso inferiore rispetto al resto della nazione.

Figura 1 - Percentuale di laureati nella fascia 25-35 anni

Figura 1 - Percentuale di laureati nella fascia 25-35 anni

Fonte: elaborazione Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Istat, 2020

 

La seconda disuguaglianza: gli uomini arrancano e le donne scappano via

Passando alla seconda disuguaglianza riscontrabile, ovvero quella legata al gender gap, grazie al grafico riportato di seguito, è possibile notare come il divario tra la percentuale di donne laureate e uomini laureati, rispetto alla popolazione di riferimento tra i 25 e 34 anni, continua ad aumentare da oltre 15 anni a questa parte. Tra il 2004 e il 2020 il numero di donne laureate è cresciuto del 50,2%, mentre per il genere maschile l’incremento è stato del 44,3%. In dettaglio, nel 2004 ogni 100 donne 17 erano laureate, contro una proporzione maschile di 12 a 100. Nel 2020 il divario è più che raddoppiato: il 35,3% delle donne tra i 25 e 34 anni ha conseguito almeno la laurea triennale, mentre per gli uomini la percentuale è solo del 22,85%.

Se si considera la suddivisione per aree geografiche l’incremento maggiore nel numero di laureati si registra, sia per la componente femminile che per quella maschile, nel Nord-Est con un aumento rispettivamente pari al 52,6% e al 51,8%. Al contrario, la crescita minore si riscontra nel Mezzogiorno. È in questa zona dove è possibile osservare la differenza di genere maggiore nel tasso di crescita dei laureati. Infatti, a fronte di un aumento di 49,3 punti percentuali per le donne, per gli uomini si osserva una crescita pari a soli 40 punti percentuali. Nonostante sia possibile constatare in tutte le aree del Paese un aumento del gender gap, è nuovamente il Mezzogiorno l'area nella quale si registra l’incremento maggiore. In quest’area la differenza tra la percentuale di donne laureate e quella degli uomini passa da 4,66 punti percentuali nel 2004 (9,78% dei maschi contro il 14,44% delle femmine) a 11,3 punti nel 2020 (17,6% degli uomini e 28,9% delle donne). La seconda area nella quale il gender gap è cresciuto maggiormente è il Centro, dove la differenza tra le donne laureate e gli uomini laureati passa dai 6,9 punti percentuali del 2004 ai 16,3 del 2020. 

Figura 2 - Percentuale di laureati per genere sul totale della popolazione 25-34 anni

Figura 2 - Percentuale di laureati per genere sul totale della popolazione 25-34 anni

Fonte: elaborazione Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Istat, 2020

La prospettiva futura di breve periodo sembra confermare la tendenza riscontrata sino a oggi. Lo studio di Censis in merito alla classifica delle università italiane condotto nel 2021, infatti, riporta un aumento del numero di immatricolazioni del 4,4% per l’anno accademico 2020-2021, confermando un andamento positivo che continua oramai da 7 anni a questa parte. L’aspetto positivo è che sembrerebbe quindi scampato lo spauracchio che la pandemia e la conseguente crisi sanitaria potessero comportare una riduzione del numero di iscritti all’università. Scendendo nel dettaglio rispetto alla distinzione di genere, però, è possibile notare come il tasso di immatricolazione femminile sia circa 20 punti percentuali superiore a quello maschile (65,7% per le femmine contro il 48,5% dei maschi). Rispetto alle iscrizioni del precedente anno accademico si registra una variazione del +5,3% per il genere femminile contro un +3,3% per quello maschile. Ciò implica che nelle università italiane sia sempre più predominante la componente femminile, comportando inevitabilmente un incremento del divario tra la percentuale di laureate e laureati rispetto alla fascia di popolazione dei giovani-adulti.

Se si considerano gli andamenti nei tassi di iscrizione rispetto alla suddivisione geografica si nota come il Centro si confermi capofila con un +7,7% rispetto all’anno precedente, mentre nel Mezzogiorno si riscontra un +5%. Chiudono la classifica il Nord-Est (+3,2%) e il Nord-Ovest (+2%). È ipotizzabile, quindi, una possibile riduzione della distanza tra il Nord ed il Sud, distanza invece destinata ad aumentare rispetto alle regioni del Centro che sembrano viaggiare a un’altra velocità.

Risulta pertanto opportuno intervenire su due aspetti, oltre che sulla famigerata questione della percentuale di ragazze presenti nelle cosiddette aree disciplinari STEM: aumentare il numero di studenti maschi che, una volta terminato il percorso di studi delle scuole superiori, scelgono di continuare l’investimento in istruzione; e incrementare il numero di alunni nelle università italiane provenienti dalle regioni del Sud e delle Isole. 

 

Un possibile punto di (ri)partenza

Un interessante esempio virtuoso e che ha ottenuto risultati concreti nell’incentivare la prosecuzione del percorso di studi oltre la scuola superiore è il progetto “Percorsi. Spazio al futuro” portato avanti da Fondazione Compagnia di SanPaolo nella provincia di Torino. Si tratta di un progetto di asset-building che prevede che gli studenti con un basso reddito, frequentanti il quarto o quinto anno delle scuole superiori, assieme alle loro famiglie mettano da parte mensilmente piccole quantità di denaro (da 5 a 50 euro). Una volta terminato il percorso di studi l’importo totale che è stato accantonato verrà quadruplicato dalla Fondazione e potrà essere utilizzato per coprire i costi dell’istruzione terziaria. I pregi principali di questo progetto sono almeno 3: la co-partecipazione tra l’ente finanziatore, i ragazzi e le relative famiglie, con la responsabilizzazione di quest’ultimi; fornire agli studenti competenze di natura economico-finanziaria e di gestione del risparmio; infine, a differenza di quanto previsto dalle borse di studio, disponibili solo per gli studenti con rendimenti eccellenti, è rivolto alla totalità degli studenti delle scuole superiori, a prescindere dai loro voti in pagella o di quello dell’esame di maturità.

È pertanto ipotizzabile che se un progetto simile venisse replicato anche nelle regioni del Mezzogiorno potrebbe comportare un incremento al tempo stesso sia del numero di iscritti alla formazione terziaria in quest’area del Paese, sia del numero di studenti maschi presenti nelle università, con particolare riferimento a quelli provenienti da famiglie a basso reddito, i quali non sarebbero più costretti a lasciare gli studi per iniziare a lavorare.

Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

16/3/2022

 
 
 

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