Fisionomia e ruolo delle fondazioni di impresa in Italia

Le crescenti difficoltà del welfare statale stanno delineando un nuovo ruolo per le organizzazioni filantropiche, richiamando alla responsabilità un numero sempre maggiore di soggetti privati: come si collocano in questo contesto le fondazioni di impresa? La fotografia scattata dall'ultimo Rapporto curato dal Laboratorio "Percorsi di secondo welfare" 

Orlando De Gregorio, Chiara Lodi Rizzini e Franca Maino

Il “peso” che la filantropia ha acquisito negli ultimi anni anche in Italia ha innescato un vivace dibattito sulla funzione, il ruolo e le modalità di intervento di alcuni dei suoi protagonisti, tra cui le fondazioni di impresa (FI). Proprio su queste fondazioni si concentra un capitolo del Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia, che sviluppa e discute i risultati emersi dallo studio "Le Fondazioni di impresa in Italia. Rapporto di ricerca 2019", che il laboratorio Percorsi di secondo welfare, insieme a Fondazione Bracco e Fondazione Sodalitas, ha pubblicato a settembre[1]

 

Le Fondazioni di impresa, un fenomeno emergente?

La mappatura ha individuato 111 fondazioni con sede in Italia. Un dato che rimane ancora distante da Paesi come Francia e Germania, dove si superano le 400 unità, e che riflette le caratteristiche del tessuto produttivo italiano, in gran parte composto da piccole e medio-piccole imprese – le Fondazioni di impresa sono prevalentemente espressione dell’impegno filantropico di aziende medio-grandi – nonché la chiusura dell’economia italiana, per molto tempo, a pratiche di corporate philanthropy e CSR. È infatti solo con gli anni Novanta che, soprattutto le grandi e medie imprese, hanno iniziato a sentire l’influenza dell’approccio anglosassone alla filantropia, adottando gradualmente modelli di corporate philanthropy sempre più simili a quelli internazionali, pur mantenendo alcuni tratti specifici della cultura filantropica italiana. Ben 40 delle fondazioni mappate sono state infatti fondate dopo il 2005. 

 

Il rapporto con le imprese fondatrici 

Le Fondazioni di impresa rappresentano una componente peculiare nell’ampio e plurale mondo delle fondazioni, caratterizzate dallo stretto rapporto con le imprese fondatrici. Integrate con esse ma indipendenti, appaiono come uno strumento importante per strutturare in modo stabile e continuativo l’intervento filantropico delle imprese e allo stesso tempo per renderlo riconoscibile. La relazione tra la fondazione e l’impresa fondatrice è molto stretta sul piano della governance: nel 50% dei casi l’organo di governo della fondazione vede una presenza esclusiva o maggioritaria dei rappresentanti dell’azienda e il 69% delle fondazioni intervistate segnala una relazione costante e fluida con l’impresa fondatrice. Le imprese fondatrici sono inoltre il principale finanziatore delle fondazioni, che con esse condividono sedi, strutture, uffici, competenze e processi gestionali. Risulta invece ancora scarsa la condivisione di contatti, attività e personale. Infine, le attività delle fondazioni d’impresa riguardano spesso le comunità dove l’impresa ha insediamenti, ulteriore segno del fatto che le fondazioni sono uno strumento importante con il quale le imprese si relazionano all’ambiente in cui operano. 

 

Grandi imprese, piccole fondazioni

Le fondazioni di impresa italiane sono generalmente di piccole-medie dimensioni, anche quando fondate da grandi imprese e multinazionali: 22 delle 30 fondazioni la cui impresa fondatrice ha un numero di dipendenti compreso tra 1.001 e 10.000 dipendenti riceve annualmente dall’impresa meno di un milione. Il 60% delle fondazioni con imprese di queste dimensioni riceve uno stanziamento annuo che va da oltre i 100 mila euro fino a un massimo di 500 mila euro. Esclusa una fondazione che costituisce un’eccezione con un numero elevato di collaboratori, in media le fondazioni possono contare su 2 dipendenti full-time e 1 dipendente part-time, e si avvalgono anche di collaboratori e personale distaccato dall’impresa. 

 

Un ruolo sussidiario per le fondazioni di impresa

A fronte dei tagli alla spesa pubblica si sta delineando un nuovo ruolo per la filantropia per allargare, o comunque garantire, servizi e iniziative. Tra i settori d’intervento più diffusi troviamo infatti Istruzione (55%); Cultura e Arte (50%); Sviluppo economico e coesione sociale; e Ricerca (entrambi 43%). Tra i target specifici prevalgono minori, minori con disagio, disabili, persone in difficoltà economica e malati. È questo uno degli aspetti più dibattuti nel campo della filantropia: alcuni studiosi hanno sottolineato infatti il rischio che le organizzazioni filantropiche, libere dal controllo esercitato dai cittadini-elettori, godano di un’eccessiva influenza nel campo delle politiche pubbliche, e il rischio che si facciano portatrici di una visione privata del bene pubblico, operando secondo una logica paternalistica; rischio “sentito” soprattutto per le FI che, essendo legate alle imprese, nell’immaginario collettivo sono più direttamente collegate a obiettivi di business. Questo richiede alle fondazioni di investire nella legittimazione del proprio ruolo, da un alto operando con correttezza formale (nel rispetto di vincoli e regole), dall’altro facendo sì che il proprio operato sia percepito come “giusto”, soprattutto quando intervengono in settori come il welfare, che riguarda diritti e servizi sociali.


Verso una filantropia strategica

Le fondazioni di impresa sembrano sperimentare con sempre maggior frequenza interventi innovativi e sostenibili, dandosi obiettivi di lungo periodo, e ricercando strumenti di misurazione che non restituiscano solo il dato numerico di spesa sostenuta e degli interventi realizzati, ma che approfondiscano modalità operative e raggiungimento degli obiettivi. Un approccio pragmatico probabilmente ereditato dal contesto aziendale da cui esse provengono. Dalla ricerca risulta evidente, inoltre, come sia cresciuto l’interesse per la filantropia strategica ma come non sia ancora del tutto adeguata la capacità di promuoverla nei fatti. Il 70% delle fondazioni di impresa ad esempio dichiara di effettuare attività di valutazione delle proprie attività, mentre solo poche fanno ricorso a metodi di valutazione più sofisticati (come la valutazione d’impatto). È questo uno dei campi in cui emergono le maggiori differenze tra piccole FI (fondate da piccole imprese) che continuano a operare con una “logica filantropica tradizionale”, spesso offrendo un contributo comunque importante nel territorio in cui si trovano, e grandi fondazioni corporate (fondate da grandi imprese e multinazionali), che operano in modo più strategico, cercando di innovare processi e modalità di azione. Come evidenziato sopra, però, anche queste ultime risultano ancora piuttosto “piccole”, soprattutto se confrontate alle “colleghe” internazionali, segno di un potenziale ancora poco sviluppato e certamente da coltivare nel futuro.

 

Le reti

Infine, dalla ricerca emerge che le fondazioni di impresa italiane dichiarano di voler puntare maggiormente sulla costruzione di reti multiattore. Tra i soggetti con cui vorrebbero in futuro rafforzare le collaborazioni spiccano le Università e altri soggetti non profit. Meno numerose le fondazioni interessate a incrementare le collaborazioni con istituzioni ed enti pubblici, un risultato che conferma quanto ancora si debba lavorare per sviluppare sinergie tra pubblico e non profit. Interessante, infine, che le fondazioni vogliano rafforzare la partnership con altre fondazioni di impresa con l’obiettivo di condividere buone pratiche e strumenti di lavoro, ad esempio nel campo della valutazione, e costruire progetti su larga scala e a lungo termine. La messa in rete delle fondazioni di impresa - tra di loro e con altri soggetti - potrebbe essere supportata e accompagnata da associazioni di imprese o di fondazioni che vogliano organizzare momenti di condivisione, scambio e progettazione focalizzandosi su specifici temi, target o aree territoriali. Questo permetterebbe anche di favorire “l’infrastrutturazione” del settore e aumentarne le capacità di advocacy.

Orlando De Gregorio, Ricercatore Laboratorio “Percorsi di secondo welfare”

Chiara Lodi Rizzini, Ricercatore Laboratorio “Percorsi di secondo welfare”

Franca Maino,  Direttrice Laboratorio "Percorsi di secondo welfare"
e Professore Associato Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche
 Università degli Studi di Milano


7/1/2020


[1] La ricerca si compone di una mappatura della popolazione delle FI attive, di una survey su un campione rappresentativo e di un approfondimento qualitativo su alcuni casi particolarmente significativi. Lo studio è disponibile online sui siti di Percorsi di secondo welfare, Fondazione Sodalitas e Fondazione Bracco

 

 
 

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