Governi instabili e poco duraturi: un freno alla crescita del Paese

Lo scorso 21 luglio il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha rassegnato ufficialmente le proprie dimissioni, segnando così l'ennesima caduta anzitempo di un governo: un caso tutt'altro che isolato. Dati alla mano, quello dell'instabilità politica è infatti un problema che affligge l'Italia ormai da troppo tempo

Lorenzo Vaiani

Da quando è stata istituita la Repubblica italiana vi è stato un susseguirsi di governi come in nessun altro Stato europeo; un grave problema di instabilità politica che, molto spesso, ha comportato immobilismo e incapacità di prendere decisioni forti e necessarie nei momenti di bisogno. Volendo provare a ripercorrere la storia più recente, ovvero a partire dall’inizio della Seconda Repubblica, cominciata simbolicamente con le elezioni politiche del 1994, emerge sin da subito un dato allarmante: 17 esecutivi in 28 anni.

La figura sottostante aiuta meglio ad analizzare quello che è successo in quest’arco di tempo. In particolare, in blu viene riportata la durata di ciascun governo espressa in giorni e calcolata come differenza tra il giorno in cui il Presidente del Consiglio rassegna le proprie dimissioni e il giorno in cui avviene il passaggio di consegne con il governo precedente (il momento in cui viene passata la famosa campanella, per intenderci); in questo modo si “depura” la durata di ciascun esecutivo dal periodo caratterizzato dalla sola ordinaria amministrazione, fase nella quale non possono essere prese decisioni politiche o effettuate nomine di alcun tipo. L’area bianca con bordo blu indica invece la durata massima che una legislatura può avere, ovvero 1.860 giorni (l’equivalente di 5 anni ognuno formato da 12 mesi di 31 giorni), mentre le stanghette gialle riportano l’effettiva durata di ogni legislatura (le diverse legislature sono riportate sotto i nomi dei vari governi) calcolata come differenza - sempre espressa in giorni - tra il giorno antecedente l’insediamento del nuovo Parlamento e quello in cui la legislatura in questione è iniziata (ad esempio, la XII legislatura è finita l’8 maggio 1996 e iniziata il 15 aprile 1994). La linea arancione indica la durata media dei governi italiani dal 1994 a oggi e, infine, viene riportata la percentuale con cui ciascun governo ha coperto la legislatura di cui ha fatto parte.

Figura 1 – Durata dei governi italiani dal 1994 a oggi, in giorni

Figura 1 – Durata dei governi italiani dal 1994 a oggi, in giorni

Fonte: Elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Cominciando l’analisi dalla durata media, va rilevato come nel corso degli ultimi 28 anni i governi italiani siano durati mediamente 573 giorni, vale a dire 1 anno e 7 mesi. Se si escludesse il governo Berlusconi II - che, come si avrà modo di dire più approfonditamente in seguito, può essere considerato, usando un termine statistico, un outlier, ovvero un valore anomalo - il dato relativo alla durata media scende a 470 giorni, che corrispondono a poco più di 1 anno e 3 mesi. Già questi due dati potrebbero bastare per comprendere quanto nel nostro Paese ci sia un problema di fondo e strutturale. Inoltre, bisogna sempre tenere a mente che i primi 2 o 3 mesi da quando si insedia in nuovo governo sono di rodaggio, servono ai rispettivi ministri e sottosegretari per esaminare i vari dossier e rapporti lasciati dall’esecutivo precedente; pertanto, i vari ministeri in questa prima fase procedono a velocità ridotta e con una minor capacità decisionale rispetto a quando sono a pieno regime.

Guardando il grafico si evince poi a colpo d’occhio un’altra informazione: fatta eccezione per la XII, XV e XVIII legislatura, anche se quest’ultima è stata assai più "longeva" delle altre due, tutte le altre sono durate sostanzialmente 5 anni. La XV legislatura - oltre a essere stata, almeno fino a oggi, la più breve, con soli 732 giorni - è anche stata l’unica nel corso della quale è rimasto in carica un solo governo, il Prodi II (maggio 2006-maggio 2008). Il secondo governo Prodi è anche stato quello che ha coperto di più la propria legislatura, 617 giorni su 732, ovvero l’84%. La seconda legislatura più corta è stata la XII; in questo caso la scarsa durata è da ricondurre però, almeno parzialmente, alla fisiologica e necessaria fase di assestamento a seguito dello scandalo Manipulite

Spostando l’attenzione sui governi più longevi, si osserva immediatamente come il secondo governo Berlusconi (giugno 2001-aprile 2005) sia stato quello più duraturo, con ben 1.409 giorni. Con esclusione del periodo fascista, è stato non solo il governo più lungo da quando è nata la Repubblica ma addirittura da quando è stata costituita l’Italia unita: detto altrimenti, dal 1861 a oggi l’esecutivo più "resistente" è riuscito a resistere per circa 3 anni e 10 mesi. Il che significa che il governo con la durata maggiore non è nemmeno stato in grado di arrivare a 4 dei 5 anni previsti dalla Costituzione, un altro chiaro segnale d’allarme. Il Berlusconi II è anche stato il secondo governo per percentuale di copertura, essendo rimasto in carica per oltre il 78% dei giorni totali della XIV legislatura. 

In totale sono 5 i governi che hanno superato la soglia dei 573 giorni: l’ultimo governo Berlusconi (maggio 2008-novembre 2011), durato 1.283 giorni; il governo Renzi, con 1.019 giorni (febbraio 2014-dicembre 2016); il primo governo Prodi, con 874 giorni (maggio 1996-ottobre 1998) e i già citati governi Prodi I e Berlusconi II. Dal grafico risulta abbastanza chiaro come la soglia dei 573 giorni sia un importante spartiacque; infatti, una volta superato quel numero di giorni, eccezion fatta per il secondo governo Prodi, tutti gli altri esecutivi sono riusciti a rimanere in carica per un numero significativo di mesi. Un altro dato fa tuttavia capire la drammaticità della situazione: in ciascuna delle ultime 2 legislature si sono alternati 3 governi, per un totale di 6 esecutivi; tutti, escluso il governo Renzi, con durate esigue che oscillano tra i 10 e i 18 mesi. 

Governi così volatili non solo sono un problema interno al Paese, nella misura in cui il frenetico susseguirsi di ministri rischia di portare all’immobilismo o a varare norme mal scritte e politiche mal progettate a causa dell’ansia e frenesia dettata dal poco tempo a disposizione, ma creano anche difficoltà con il mondo esterno. Provate a immaginare un Ministro degli Esteri tedesco, inglese o francese che ogni anno e mezzo rischia di veder cambiare il suo omologo italiano. La politica e i rapporti internazionali si basano appunto sulle relazioni, che si costruiscono solo con il tempo. Come può il nostro Presidente del Consiglio essere ascoltato e rivestire un ruolo di primo piano all’interno del Consiglio europeo se cambia con una tale rapidità e frequenza? Il discorso ovviamente può e deve essere esteso anche agli investitori privati: uno dei principali motivi che dissuadono chi potrebbe, e magari anche vorrebbe, investire nel nostro Paese è dato dal fatto che l’Italia è caratterizzata da una fortissima incertezza politica. Ogni nuovo governo che sale al potere tende a cancellare, modificare o aggiungere nuove regole e norme; un contesto che spaventa e non è gradito agli investitori, i quali  solitamente cercano una stabilità che consenta loro di far fruttare quanto investito senza eccessivi rischi.

Le possibilità su cui riflettere per porre fine a questa emorragia di governi, per quanto né banali né prive di ulterori criticità, ci sono e spaziano dalle più radicali, come una riforma di sistema che preveda di fissare - sulla base del modello americano o francese una durata prestabilita e senza possibilità di sfiducia da parte del Parlamento se non in casi straordinari, a quelle più moderate e meno dirompenti, come una modifica al dettato costituzionale che introduca, prendendo spunto da quanto previsto nel sistema spagnolo, la cosiddetta sfiducia condizionata. Non è cioè possibile sfiduciare l'esecutivo in carica se non si è in grado di formare un nuovo governo. Ancora, ci sarebbero il tema della riforma elettorale, da più parti invocata ma ancora non concretizzata o la questione della soglia di sbarramento da elevare sia in fase di elezioni (intorno al 6-8%) sia per formare nuovi gruppi parlamentari (8-10%), così da evitare, almeno in parte, l’eccessiva granularità del Parlamento e le diverse fuoriuscite dai partiti al governo. Fuoriscite che non di rado portano alla formazione di microgruppi che, pur disponendo di un numero sufficiente di seggi da "tenere in pugno" esecutivi privi di una larga maggioranza (in fase di elezione, i futuri eletti facevano parte di un partito consistente), rischierebbero di non entrare in Parlamento in caso di nuove votazioni politiche. 

In conclusione, il prossimo 25 settembre saremo nuovamente chiamati a votare per dare il via alla XIX legislatura: la speranza è che possa uscire un esecutivo forte e solido in grado di restare al governo per diversi anni e che abbia la volontà, la forza e le competenze di proporre delle soluzioni, non più procrastinabili, per affrontare i problemi del Paese. Non ultimo (e al netto di personalismi o provvedimenti volti a favorire ora l'uno ora l'altro partito in base all'indice di gradimento del momento), anche quello dell'instabilità politica: occorre, infatti e senza dubbio, ridisegnare a larghe intese un sistema che - per come è impostato e per gli attori che lo compongono - si è rilevato negli anni troppo fragile. 

Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
 

22/8/2022

 
 

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