Il futuro delle Fondazioni di Origine Bancaria tra identità e cambiamento

Il XXIV Congresso Nazionale Acri è l’occasione per fare il punto sul futuro delle Fondazioni di Origine Bancaria, protagoniste attive delle trasformazioni in atto nei sistemi di welfare italiano. Un’apertura al cambiamento che trova una sola decisa opposizione nella difesa della propria natura di soggetti autonomi e privati

Mara Guarino

La recente crisi finanziaria, ma anche fenomeni demografici quali il progressivo invecchiamento della popolazione e l'atomizzazione dei nuclei familiari, hanno indubbiamente messo a dura prova la tenuta economica e sociale del Paese, sollecitando tanto il pubblico quanto il privato sulla necessità di individuare nuovi modelli di welfare attraverso cui rispondere efficacemente ai bisogni dei cittadini, delle loro famiglie e delle comunità in cui sono inseriti. Una sfida complessa e ancora ben lontana dall’essere risolta, ma indubbiamente raccolta dalle Fondazioni di Origine Bancaria che, lungi dall’essere “semplici custodi di patrimoni azionari”, sono oggi chiamate - per loro missione istitutiva - a coniugare il proprio ruolo di investitori a lungo termine con una vocazione filantropica caratterizzata da un forte radicamento territoriale e da una notevole attenzione nei confronti dei fenomeni di innovazione, sociale certo, ma anche scientifica e tecnologica. 

All’interno di uno scenario socio-economico, e persino normativo, in costante mutamento come interpretare quindi, con uno sguardo proiettato al futuro, il ruolo delle Fondazioni di Origine Bancaria? Questo l’interrogativo da cui ha mosso le sue premesse l’annuale Congresso ACRI, in questa sua XXIV edizione dedicato al tema “identità e cambiamento”. Cambiamento come il percorso evolutivo che ha portato questi enti a farsi interpreti attivi delle evoluzioni socio-economiche in atto nel Paese, spesso svolgendo autentiche funzioni di integrazione e supplenza del settore pubblico; identità come la necessità di conciliare la capacità di modulare le proprie modalità di intervento sulla base delle effettive esigenze con la fedeltà ai propri valori istitutivi

A cominciare dalla loro natura privatistica, indipendente e autonoma, ritenuta conditio sine qua non per esercitare il proprio ruolo di corpi intermedi, vale a dire di soggetti che si pongono "tra istituzioni pubbliche e cittadini allo scopo di favorire la cittadinanza attiva, il pluralismo e la partecipazione al benessere della comunità". Una risposta concreta, secondo quanto evidenziato dalla relazione presentata dal Presidente Giuseppe Guzzetti, non solo al principio di sussidiarietà orizzontale introdotto dall’articolo 118 della Costituzione, ma anche all’esigenza di sperimentare soluzioni innovative - partecipative, complementari e sussidiarie rispetto a quelle di primo pilastro, sia a livello locale che nazionale - che solo la flessibilità tipica del privato può garantire. Un esempio virtuoso su tutti, il Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile che, raccolti 360 milioni di euro tra oltre 70 Fondazioni, ha a oggi già finanziato circa 170 progetti erogando nel complesso risorse per 135 milioni di euro: un’iniziativa indubbiamente ben accolta dalle istituzioni governative ma che può, secondo le Fondazioni, anche proporsi nei loro riguardi come utile sperimentazione da cui trarre orientamenti per introdurre politiche strutturali di intervento. 

Sarebbe quindi sbagliato pensare che la rivendicazione dell’autonomia delle Fondazioni sia una presa di distanza dai soggetti pubblici. Tanto che Acri, tra i principali obiettivi da perseguire nel futuro, pone proprio l’intensificazione di rapporti di collaborazione con enti pubblici e privati che ne condividano gli stessi obiettivi e, dunque, la creazione di un’autentica rete che possa intrecciarsi alle maglie del Terzo Settore, quale interlocutore privilegiato (ma non esclusivo).  Di qui, l’auspicio al compimento e al rafforzamento di quel processo di riforma ritenuto necessario a instaurare un contesto normativo e fiscale favorevole a corpi intermedi ed enti filantropici che si pongono come obiettivo la diffusione di sistemi di welfare di comunità e il contrasto alle diseguaglianze. Unica risposta a un contesto socio-economico sempre più complesso sembra infatti essere la proposta di un’azione corale e strutturata (più che un mero aumento della massa critica degli interventi) che, lungi dal limitarsi a fare erogazioni, sappia cogliere tutte le opportunità per accrescere il capitale sociale delle comunità del Paese. 

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Poste quindi le premesse per l’indirizzo futuro dell’attività fondazionale, con quali strumenti perseguire concretamente tali obiettivi? Partiamo da alcuni numeri proposti alla vigilia del Congresso come anticipazione del Rapporto che sarà diffuso nel prossimo luglio con riferimento all’esercizio chiuso nel dicembre 2017 e attinente ai risultati di 75 Fondazioni associate (rappresentative di oltre il 96% dell’aggregato patrimoniale del sistema): tra i dati più significativi emerge il notevole aumento dell’avanzo netto di gestione, pari a circa un miliardo e mezzo di euro, con una crescita superiore all’80% sul risultato 2016, mentre risultano d’altra parte più o meno in linea (-0,6%) con l’anno precedente le erogazioni deliberate per una cifra complessiva pari a 908,1 milioni di euro. Numeri quindi di grande interesse, ma che non mettono del tutto in luce alcuni degli aspetti che, sul fronte erogativo, hanno forse più di tutto caratterizzato la recente attività delle Fondazioni di Origine Bancaria, e sui cui si fonda anche il loro futuro. In primis, come evidenziato dal Presidente Acri Guzzetti, la varietà di strumenti messi in atto, dai bandi alle call for ideas passando per progettazioni proprie o partecipate e, dunque, l’attenzione ad accessibilità e valutazione di impatto, altrettanto essenziali per garantire interventi trasparenti, efficienti e sempre più efficaci. 

Se, inizialmente, l’origine bancaria è stata quindi talvolta imputata come un “peccato originale” che le Fondazioni erano chiamate a scontare, oggi ben evidente risulta il suo essere punto di partenza di un processo in cui il fine iniziale, vale a dire la gestione delle banche conferitarie, è diventato un mezzo per raggiungere la missione sociale e di sviluppo locale loro affidata. Basti del resto pensare che oltre il 40% delle Fondazioni non detiene più alcuna partecipazione nella banca conferitaria d’origine e ha pertanto rescisso ogni legame costitutivo. 

Al momento del resto si contano 88 Fondazioni, ma non altrettante (a seguito di processi aggregativi) sono le banche conferitarie, peraltro a ulteriore riprova della diversificazione patrimoniale che la maggior parte delle Fondazioni ha saputo mettere in atto. Proprio su questo versante restano però, tra gli altri, due importanti nodi da sciogliere, strettamente connessi al protocollo d’intesa Acri-Mef: se il primo è proprio la prosecuzione del processo di diversificazione patrimoniale, attraverso la dismissione di partecipazioni bancarie, secondo criteri che salvaguardino la tutela del patrimonio e diano sostegno all’economia locale, il secondo riguarda la possibilità di non ostacolare, ma anzi favorire, le aggregazioni tra Fondazioni. Una prospettiva di “fusione”, recentemente rilanciata dalle difficoltà vissute da alcune Fondazioni, che, senza metterne in discussione identità e valori più profondi, ne rilancia ancora una volta l’apertura al cambiamento. 

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

11/06/2018

 
 

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