L'Italia e la povertà, un caso da manuale

Nel corso di 12 anni, nonostante una spesa assistenziale pressoché raddoppiata, il numero di soggetti in condizione di povertà assoluta è aumentato arrivando a sfiorare nel 2021 i 5,6 milioni. Sorge spontanea una domanda: quanto fatto fin qui ha forse provocato un effetto distorsivo nei meccanismi di contrasto e generato una "trappola della povertà"?

Lorenzo Vaiani

Il 21° Rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale delinea un quadro tanto grave quanto allarmante. A fine 2021 si rilevano i medesimi dati fatti registrare nel corso del 2020: le famiglie in povertà assoluta sono 1,96 milioni (erano 2 milioni nel 2020), che corrispondono a 5,57 milioni di persone (5,60 nel 2020), ovvero il 9,4% della popolazione residente (equivalenti a tutti i cittadini del Veneto più quelli delle Marche). Un’analisi di maggior dettaglio evidenzia come tanto più si invecchia tanto minore è il rischio di essere in una condizione di povertà; infatti, la percentuale più alta di soggetti poveri si riscontra tra i minori (14,1%), incidenza che scende al 11,4% tra i 18-34enni e all’11,1% tra i 35-64enni, per poi crollare al 5,3% per gli over 65.

La figura 1 permette di osservare com'è mutata tra le diverse macroaree la percentuale di individui in povertà tra il 2019 e il 2021. Prima della pandemia da COVID-19 emergeva in modo chiaro una forte spaccatura fra le aree del Centro e del Nord, nelle quali si registravano valori tra il 5,6% e il 6,8%, e quelle del Mezzogiorno, con un’incidenza intorno al 10% (9,4% per le Isole e 10,5% per il Sud). Se il 2020, a fronte di un generalizzato incremento del numero di persone in stato di bisogno, ha funzionato come una livella, con l’aumento maggiore in termini di incidenza percentuale osservato nel Nord Italia,  il 2021 ha portato a un nuovo incremento della forbice. Tanto che, mentre il dato medio nazionale è rimasto invariato, ma lo stesso non si può dire per quello relativo alle diverse ripartizioni geografiche: il Nord è l’unica area a far registrare una riduzione dell’incidenza percentuale, che scende dal 9,3% al 8,2% (dato ancora lontano rispetto ai livelli prepandemia). Le regioni insulari rimangono stabili al 9,9% (sarebbe opportuno comprendere meglio come Sicilia e Sardegna siano riuscite in questi 2 anni a far crescere di solo mezzo punto percentuale numero di persone in stato di povertà); il Centro fa registrare una lieve crescita salendo al 7,3%; infine, vi sono le regioni del Sud nelle quali il dato aumenta passando dal 11,7% al 13,2% (quasi 3 punti percentuali sopra i livelli prepandemici). 

Figura 1 – Incidenza percentuale di soggetti in povertà assoluta per macroregioni, anni 2019-2021

Figura 1 – Incidenza percentuale di soggetti in povertà assoluta per macroregioni, anni 2019-2021

Fonte: elaborazione Itinerari Previdenziali su dati Caritas e Istat

La situazione fin qui descritta - con il forte monito lanciato da Caritas che, grazie a 2.800 Centri di Ascolto distribuiti in modo capillare sul territorio, ha fornito supporto informativo a quasi 230.000 persone - risulta essere estremamente critica e drammaticamente pericolosa per la tenuta del tessuto sociale. A questo punto, però, una domanda sorge spontanea, quali azioni ha messo in campo il nostro Paese per la lotta alla povertà e per arginare un fenomeno che pare, oramai, aver raggiunto le proporzioni di un fiume in piena?Ebbene, per provare a rispondere a questa domanda occorre fare un salto indietro di oltre una decade fino al (lontano) 2008. In quell’anno, il numero di famiglie in povertà assoluta era pari a 1,126 milioni, vale a dire poco più di 3,88 milioni di individui in condizione di povertà estrema (il 3,6% della popolazione); sempre nel 2008, il nostro Paese stanziava circa 73 miliardi di euro per la spesa assistenziale. 

Dopo 12 anni, nel 2020 (ultimo anno per il quale è disponibile il dato relativo alla spesa assistenziale), la spesa per assistenza è praticamente raddoppiata arrivando a 144,8 miliardi (+98,3%). Verrebbe da supporre che un così ingente utilizzo di risorse abbia permesso, quantomeno, di mantenere l’incidenza percentuale ai livelli del 2008, purtroppo però così non è stato e il numero di soggetti in povertà è cresciuto del 95%, arrivando a poco meno di 5,6 milioni che, come già scritto, corrispondono al 9,4% della popolazione italiana. Discorso analogo se si considerano le famiglie in condizione di povertà assoluta: in questo caso il valore passa dai sopracitati 1,126 milioni di nuclei familiari a 2,007 milioni (+78%). Per l’anno 2021 il dato relativo alla spesa assistenziale è stato stimato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali come stabile rispetto al 2020 (anche se con ogni probabilità è ulteriormente cresciuto rispetto al 2020) così come è rimasta invariata, secondo Istat e Caritas, la percentuale di persone in condizione di povertà assestandosi al 9,4%.

Si arriva così al paradosso per cui più si aumenta la spesa per le misure volte al contrasto della povertà più cresce anche il numero di soggetti in stato di bisogno, con un incremento al margine per ogni milione in più speso di 38 nuovi individui in condizione di povertà. Pare allora evidente che l’intervento pubblico stia, almeno in parte, generando una distorsione nei meccanismi di lotta alla povertà e nota in letteratura economico-scientifica come dilemma del samaritano trappola della povertà. Vediamo in modo più preciso a che cosa ci si riferisce con queste due espressioni.

In una situazione nella quale un individuo altruista (lo Stato) trasferirà delle risorse a un beneficiario qualora quest’ultimo si trovi in una situazione di bisogno/povertà, costui sarà portato ad anticipare il comportamento dello Stato prendendo decisioni che aumentano il rischio di finire in una condizione di povertà (situazione di moral hazard). Ciò genera una situazione di inconsistenza temporale delle politiche pubbliche, poiché gli incentivi ex ante non sono allineati a quelli ex post. Infatti, anche qualora lo Stato decidesse ex ante di non voler aiutare ulteriormente chi si trova in una situazione di bisogno sarà costretto, ex post, a intervenire dato che non può non aiutare un soggetto che si trova in una condizione di povertà. Il che porta al verificarsi della cosiddetta trappola della povertà, ovvero una situazione nella quale gli istituti assistenziali messi in essere dal decisore pubblico disincentivano le persone dalla ricerca di un posto di lavoro e dal trovare soluzioni efficaci rispetto alla condizione di disagio. Non a caso, dunque, se si confrontano il dato relativo alla ripartizione geografica dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza e le aree dove si rilevano i livelli più elevati di povertà emerge un'inconfutabile relazione: oltre il 70% delle famiglie che percepiscono la misura si trova in una regione del Mezzogiorno, vale a dire l’area del Paese con la più alta incidenza percentuale di famiglie (nonché persone) in condizione di povertà assoluta.

Insomma, quanto accaduto in Italia in quest’ultimi due lustri sembrerebbe essere il classico caso da manuale, quello che viene riportato nei volumi universitari come esempio per far comprendere agli studenti in maniera chiara e precisa il concetto teorico. 

Naturalmente, quanto scritto non vuol essere un atto di stigma sociale verso le milioni di persone in uno stato di povertà o un'accusa di colpevolezza nei confronti di quanti si trovino in una condizione di biosgno. Si tratta semmai di un monito al decisore pubblico affinché si adoperi per mettere in campo non tanto misure di erogazione monetaria quanto politiche di formazione e riqualificazione professionale, corsi di orientamento per il mercato del lavoro e un’integrata e connessa rete di centri per l’impiego, prendendo spunto da quanto realizzato da alcune virtuose realtà private, per favorire l’incontro tra domanda e offerta. 

Figura 2 – Spesa assistenziale e incidenza percentuale di soggetti in povertà assolta, anni 2008-2021

Figura 2 – Spesa assistenziale e incidenza percentuale di soggetti in povertà assolta, anni 2008-2021

Fonte: elaborazione Itinerari Previdenziali su dati Istat e Nono Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano
Nota: il dato relativo alla spesa per l’assistenza del 2021 è stato stimato


Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

8/11/2022

 
 
 

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