Allarme debito pubblico globale: qual è il piano Italia per ridurre il deficit?
Il FMI lancia l'allarme sul debito pubblico globale, previsto oltre i 100mila miliardi di dollari quest'anno e destinato a raggiungere il 100% del PIL entro il 2030. Per avviare un percorso di riduzione sostenibile, servono quindi interventi correttivi, soprattutto in quei Paesi (come l'Italia), per i quali la Commisione europea ha chiesto la procedura per deficit eccessivo
Gli ultimi anni hanno visto il verificarsi di una serie di eventi straordinari che hanno alimentato un clima di incertezza sui mercati finanziari: dalla pandemia al ritorno dellinflazione e al conseguente repentino rialzo dei tassi di interesse, fino ad arrivare alla drammatica escalation delle tensioni geopolitiche con lo scoppio della guerra in Ucraina prima e il progressivo allargarsi del conflitto in Medio Oriente poi. Il tutto inserito allinterno del quadro delle grandi transizioni demografica, ecologica e digitale che stiamo attraversando, in grado di esacerbare ulteriormente il contesto di incertezza e una sempre maggiore polarizzazione del mondo diviso tra lOccidente e il peso crescente dei BRICS allargati.
Tra il sempre maggiore interesse per lintelligenza artificiale e la rivoluzione tecnologia, le preoccupazioni per il cambiamento climatico e le implicazioni legate allinvecchiamento della popolazione, sembra però esserci un rischio passato parzialmente sotto traccia, almeno tra i non addetti ai lavori, ossia quello di una crisi del debito. A lanciare nuovamente lallarme è stato il Fondo Monetario Internazionale che, allinterno del suo Fiscal Monitor, ha sottolineato come il debito pubblico globale sia molto elevato e atteso superare questanno la soglia dei 100.000 miliardi di dollari. Una cifra che rappresenta il 93% del PIL mondiale e destinata a raggiungere il 100% entro il 2030 (ossia 10 punti percentuali sopra i livelli pre-COVID del 2019), se non addirittura il 115% già nel 2026 nello scenario peggiore causato da crisi improvvise. Una situazione aggravata ulteriormente dal forte aumento dei tassi di interesse degli ultimi due anni e dalla possibilità che rimangano su livelli elevati per un periodo più lungo del previsto, a cui si aggiungono una nuova era di bassa crescita economica per i Paesi avanzati e alle crescenti esigenze di spesa legate alle sopra citate transizioni.
Il FMI sottolinea poi che lo scenario sopra descritto potrebbe essere anche essere peggiore del previsto in diversi Paesi a causa delle crescenti pressioni di spesa: negli ultimi anni la narrazione politica in tema fiscale si è sempre più orientata verso la necessità di incrementare la spesa pubblica, talvolta travisando o esacerbando la teoria keynesiana sullintervento statale, alimentata nel più recente passato dallesigenza di far fronte agli impegni della transizione verde, alle implicazioni dellinvecchiamento demografico e alle preoccupazioni in tema di difesa e sicurezza dovute allinasprimento delle tensioni geopolitiche. Inoltre, lesperienza passata insegna come le proiezioni tendano a sottostimare i futuri livelli di debito anche con ampio margine, sia a causa della tendenza dei governi a essere troppo ottimisti sulle previsioni di crescita sia perché le riforme di bilancio spesso non vengono completamente realizzate.
Listituto di Washington invita dunque a implementare manovre correttive, ricordando come un debito elevato comprometta la capacità di rispondere a periodi di crisi, riduca la possibilità di effettuare gli investimenti necessari alla crescita e aumenti il rischio di stress finanziari. Non solo, ritardare un intervento sarebbe dispendioso, dato che le correzioni richieste aumentano con il passare del tempo soprattutto in quei Paesi in cui si prevede un ulteriore incremento del debito - tra cui lItalia insieme a Brasile, Francia, Sud Africa, Regno Unito e Stati Uniti - mentre la storia che insegna che elevati livelli di indebitamento e lassenza di piani fiscali credibili possono innescare reazioni avverse dei mercati e limitare lo spazio di manovra per affrontare schock negativi. Secondo il FMI è quindi necessario un aggiustamento del 3%-4,5% del PIL ogni anno entro la fine del decennio rispetto all1% previsto finora, mettendo però in guardia sul rischio che un intervento di tale entità, se non ben calibrato, potrebbe danneggiare la crescita indebolendo la domanda. È dunque importante la scelta di quali misure fiscali applicare, poiché i relativi impatti possono variare e implicano dei trade-off: ad esempio, un taglio degli investimenti pubblici comporta le maggiori perdite in termini di output e deteriora le prospettive di crescita a lungo termine, mentre ridurre i trasferimenti sociali colpisce le famiglie più a basso reddito aumentando le disuguaglianze.
Per lItalia il tema delleccessivo indebitamento non è certo una novità, dopo aver fatto registrare un incremento di oltre 1.000 miliardi in poco più di 10 anni, ben oltre laumento del PIL nello stesso periodo, fino ad arrivare a sfiorare la soglia dei 3.000 miliardi di euro. Già negli scorsi mesi il Fmi aveva avvisato sulla necessità di uninversione di rotta nella politica fiscale espansiva che, pur avendo contribuito alla ripresa post-COVID, ha tenuto il deficit e il debito pubblico a livelli molto alti, facendo aumentare i rischi per lItalia e agendo come freno per gli investimenti privati. Indicazioni in linea a quelle della nuova governance economica dellUnione europea, che pongono laccento sui tetti massimi di aumento della spesa con lobiettivo di garantire la diminuzione del deficit necessaria a rispettare i parametri comunitari e soprattutto a riportare il rapporto debito/PIL su un sentiero sostenibile di riduzione. A tal fine, il governo ha recentemente presentato il Piano Strutturale di Bilancio, un documento che ha un orizzonte pari alla durata ordinaria della legislatura (nel caso dellItalia 5 anni) e che potrà essere rivisto prima del termine solo in caso di circostanze oggettive che ne impediscano lattuazione o in seguito a un cambio di esecutivo. Coerentemente con le nuove regole europee, il governo italiano ha scelto di distribuire laggiustamento della finanza pubblica su 7 anni (anziché 4), a fronte di un impegno a proseguire il percorso di riforme e investimenti previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Nel quadro programmatico, il Piano indica per questanno un deficit al 3,8% rispetto al 7,2% del 2023, e al 3,3% nel 2025, per poi scendere sotto la soglia critica del 3% nel 2026 e proseguire il percorso di riduzione fino all1,8% nel 2029. Il rapporto debito/PIL, invece, è atteso questanno al 135,8% (134,8% nel 2023) e al 136,9% nel 2025, per poi toccare un picco del 137,8% nel 2026 e iniziare una discesa fino a livelli dello scorso anno nel 2029.
Figura 1 - Evoluzione rapporto debito/PIL nel tempo
Fonte: Piano Strutturale di Bilancio
La variabile chiave da tenere sotto controllo è il saldo primario strutturale, ovvero il saldo di bilancio della Pubblica Amministrazione (PA) esclusi i pagamenti per interessi e al netto di effetti ciclici e misure temporanee o una tantum, in rapporto al PIL, per cui è previsto una correzione annua dello 0,55% del PIL nel 2025 e nel 2026 e una correzione media sui 7 anni del Piano pari allo 0,53%. Tale indicatore è previsto tornare in avanzo questanno, seppur di poco (0,1% del PIL), per la prima volta dal 2019, fino a raggiungere il 2,4% nel 2029, a cui corrisponde un tasso di crescita medio della spesa netta pari a circa l1,5% nellarco di piano.
È evidente che, soprattutto in presenza di bassi tassi di crescita economica, il percorso di risanamento dei conti passa necessariamente attraverso laumento delle entrate o il contenimento delle uscite. Una strada certamente impopolare in un Paese nel quale la narrazione prevalente racconta di uneccessiva pressione fiscale e di un welfare carente, nonostante uno sguardo più approfondito ai dati riveli che siamo ai primi posti nelle classifiche europee per protezione sociale, pagata per la maggior parte da una quota ridotta di contribuenti. Vale la pena sottolineare, infatti, che in Italia oltre la metà della spesa pubblica totale è composta dalle uscite per prestazioni sociale - ossia pensioni, sanità e assistenza - e che quindi, a meno di non voler intervenire eccessivamente sulle prime due voci, occorre un ripensamento dellalveo di bonus e sussidi che hanno contribuito a far esplodere la spesa assistenziale negli ultimi anni, provocando inoltre alcune distorsioni sulloccupazione e sulle entrate fiscali. Ciò non toglie che saranno necessarie azioni anche in tema di previdenza e sanità, magari favorendo una maggiore integrazione tra pubblico e privato per arrivare a una più sostenibile forma di welfare mix.
Lapproccio prudente nella gestione della finanza pubblica dovrà poi essere comunque accompagnato da un programma di riforme e investimenti capace di innalzare il potenziale di crescita economica. Su questo fronte, senza tuttavia fornire un sufficiente grado di dettaglio su tempi e modalità di attuazione, il Piano indica ambiti rilevanti per le prospettive future delleconomia italiana e che affrontano alcuni dei principali problemi strutturali del Paese, come giustizia, Pubblica Amministrazione, ambiente imprenditoriale, fisco e appunto controllo della spesa, anche se molto dipenderà da come le misure di riforma saranno effettivamente disegnate.
Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
28/10/2024