Fondi pensione, con la crisi di Credit Suisse vacilla un'altra fonte di rendimento

La crisi di Credit Suisse e le successive decisioni del governo svizzero hanno provocato un forte ribasso del mercato degli AT1: in un contesto economico-finanziario già complesso, quali ripercussioni per gestori di fondi e investitori previdenziali?

Leo Campagna

Da inizio anno a fine febbraio i fondi pensione negoziali  censiti dal Comparatore dei Fondi Itinerari Previdenziali hanno guadagnato in media l’1%, i fondi pensione aperti l’1,8% e le unit linked legate ai PIP il 3,1%. Dopo una partenza a razzo in gennaio, i mercati finanziari hanno rallentato a febbraio per poi correggere la rotta a marzo a seguito delle crisi bancarie della Silicon Valley Bank e di Credit Suisse. 

Se il forte rialzo dei rendimenti obbligazionari negli ultimi 12 mesi ha riportato l’appeal nel reddito fisso (in particolare quello governativo e quello degli emittenti con rating più elevato e scadenze brevi e medie), gli asset più rischiosi (high yield, mercati emergenti e azionario) sembrano ancora non offrire un valido punto di equilibrio tra rendimento atteso e rischiosità a breve. Tradotto in pratica, per i gestori di portafoglio (anche quelli previdenziali) rimane prioritaria la caccia al rendimento: un esercizio reso appunto ancora più arduo dalla crisi di Credit Suisse (e dalla successiva speculazione sui titoli Deutsche Bank), che ha messo in discussione la preziosa fonte di rendimento dei titoli obbligazioni additional Tier 1 (AT1).

L'operazione di acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS mediata dal governo svizzero nei giorni scorsi ha infatti infranto tutte le regole, salvaguardando gli azionisti a scapito dei titolari di bond AT1. Si tratta di una decisione che va anche contro l'ordine della struttura del capitale poiché il capitale AT1 si trova al di sopra del patrimonio netto, il che significa che dovrebbero sempre essere gli azionisti ad assorbire tutte le perdite prima che affluiscano ai detentori del capitale AT1.

Una decisione che ha provocato un forte ribasso del mercato degli AT1, ribasso calcolato in 250 miliardi di dollari. Così facendo, le autorità svizzere non solo hanno instillato forti dubbi tra gli operatori ma hanno provocato anche conseguenze a lungo termine per tutti gli istituti bancari europei, con un aumento del costo del capitale. E, per i gestori di fondi, hanno messo in discussione un’altra preziosa fonte di rendimento. A titolo puramente indicativo, in base ai calcoli di una casa d’investimento statunitense, negli ultimi 12 anni mentre un portafoglio diversificato in obbligazioni ordinarie delle banche USA è cresciuto in media del 4,1% all’anno, quello in bond bancari americani Tier 2 è salito in media del 6,6% l’anno e quello in titoli AT1 bancari USA del 10,9% annuo.

  Leo Campagna      

14/4/2023

 
 

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