Fondi pensione, la sfida tra obbligazioni societarie e dividendi azionari

Dopo un 2022 da dimenticare, la buona notizia per gli investitori (anche previdenziali) è che i rendimenti nel reddito fisso sono tornati su livelli interessanti. Cosa aspettarsi invece dal segmento azionario?

Leo Campagna

A fine novembre 2022 i fondi pensione aperti censiti dal Comparatore dei Fondi di Itinerari Previdenziali, segnalavano perdite medie da inizio anno tra il -7% e il -9%: dai comparti azionari (-8,8%) a quelli bilanciati (-8,9%), dai bilanciati obbligazionari (-7,7%) agli obbligazionari (-7,9%), passando per i garantiti (-8,4%).

Dopo un 2022 da dimenticare, la buona notizia per gli investitori è che i rendimenti nel reddito fisso sono tornati su livelli interessanti. In particolare, per la prima volta dal periodo tra il 2005 e la fine del 2008, i rendimenti delle obbligazioni societarie in euro risultano superiori alla media dei rendimenti ricavati dai dividendi azionari euro degli ultimi 12 mesi. Prima di addentrarsi in qualsiasi considerazione e confronto, vale la pena ricordarsi che si tratta di grandezze che, pur offrendo un certo rendimento annuo, sono strutturalmente diverse tra loro. Le obbligazioni hanno una scadenza e, per gli investitori che le mantengono in portafoglio fino al termine, l’unica preoccupazione è il rischio di insolvenza, eventualità che si verifica nel caso in cui l’emittente fallisca non riuscendo più restituire capitale e interessi.  I dividendi azionari, invece, rappresentano il reddito che una società riconosce ai propri azionisti per l’attività e i profitti annuali generati. 

Specificato questo, chi ritiene che l'inflazione dopo aver raggiunto il picco massimo negli Stati Uniti stia per farlo anche nella zona euro e che le recessioni, al di qua e al di là dell’Atlantico, saranno probabilmente relativamente lievi, limitando i rischi di default, può essere positivo sulle obbligazioni societarie dell'Eurozona in vista del 2023. Si può dire lo stesso per le azioni? 

Qui le considerazioni da fare sono due. Anche in caso di recessione lieve, i profitti aziendali diminuiranno e lo faranno probabilmente in misura maggiore di quanto incorporato dai prezzi correnti di Borsa. I tassi di interesse, se anche dovessero fermarsi nel corso del prossimo anno, si manterranno su livelli molto più alti dell’ultimo decennio (così come l’inflazione). Tutto questo dovrebbe comportare la conferma della prevalenza del value sul growth ma anche l’importanza della gestione attiva rispetto a quella passiva e indicizzata anche per ridurre il rischio di società che potrebbero tagliare (o addirittura azzerare) il dividendo. 

  Leo Campagna      

2/1/2023

 
 

Ti potrebbe interessare anche