Fondi pensione: prosegue il recupero dei rendimenti al traino dei comparti azionari

Nel 2024 è proseguito il recupero dei rendimenti dei fondi pensione dopo le forti perdite registrate nel 2022, con i comparti azionari che hanno messo a segno guadagni a doppia cifra. Secondo i dati COVIP, continua inoltre la progressiva diminuzione il peso delle linee garantite nelle scelte degli aderenti soprattutto tra i più giovani, tracciando una strada verso un miglior assetto dei portafogli previdenziali degli iscritti

Bruno Bernasconi

Anche nel 2024 gli iscritti e i contributi al sistema italiano di previdenza complementare hanno confermato la crescita degli ultimi anni, beneficiando inoltre dell’incremento delle risorse destinate alle prestazioni grazie al risultato positivo della gestione finanziaria. Secondo la relazione annuale COVIP, alla fine dello scorso anno le 291 forme pensionistiche complementari contavano 9,953 milioni di iscritti, il 4% in più rispetto al 2023, a cui corrispondono 11,128 milioni di posizioni in essere e con un tasso di partecipazione in rapporto alla forza lavoro del Paese pari al 38,3% (36,9% nel 2023). Nel dettaglio, le nuove adesioni sono state 800.500 rispetto alle 733.300 del 2023, di cui 543.400 sono iscrizioni esplicite (67,9%), 202.000 iscrizioni (25,2%) sono state raccolte tramite il meccanismo delle adesioni contrattuali e 55.100 (6,9%) attraverso il silenzio-assenso.

 

Il quadro generale tracciato da COVIP per il 2024

Approfondendo l’analisi della struttura dell’offerta previdenziale, ai fondi negoziali aderiscono in 4,109 milioni (+5,5% rispetto al 2023), i fondi aperti contano 2,034 milioni di iscritti (+7%) e i PIP “nuovi” 3,693 milioni (+2,5%). Includendo anche i 282.536 iscritti dei “vecchi” PIP ed escludendo le iscrizioni multiple riferite a una stessa persona, il segmento dei piani individuali di tipo assicurativo conta 3,7 milioni di aderenti. Completano il quadro i 660.620 iscritti ai fondi preesistenti.

La contribuzione media risulta essere di 2.890 euro, ancora lontana dal limite massimo di deducibilità annuale di 5.164 euro con l’eccezione dei fondi preesistenti che, potendo contare su platee più mature e su settori caratterizzati da retribuzioni più elevate, registrano un contributo medio di 8.560 euro. Come è ragionevole attendersi, a incidere sull’entità dei versamenti sono variabili come l’età, il genere e la regione di residenza, che rispecchiano fedelmente alcune delle principali caratteristiche – e debolezze – strutturali del mercato del lavoro italiano. Gli uomini contribuiscono in media più delle donne, 3.080 euro contro 2.590 euro, così come il contributo medio cresce all’aumentare dell’età risultando pari a 1.920 euro tra i 25 e i 34 anni e superando ampiamente i 3.000 euro oltre i 50 anni. Anche a livello geografico la distribuzione della contribuzione pro capite su base regionale rispecchia il dualismo territoriale che caratterizza l’economia nazionale: valori superiori alla media si registrano in quasi tutte le regioni del Nord Italia e anche in alcune regioni del Centro, mentre le regioni meridionali e le Isole sono caratterizzate da contribuzioni più basse della media.

Per quanto riguarda le risorse complessivamente destinate alle prestazioni sono cresciute dell’8,5% a 243,3 miliardi di euro, pari all’11,1% del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane, con un aumento rispetto al 2023 di 19 miliardi di euro determinato principalmente dal saldo positivo della gestione finanziaria, pari a 11,7 miliardi di euro, mentre la gestione previdenziale ha generato flussi positivi per 7,3 miliardi grazie a contributi per 20,5 miliardi a fronte di uscite per prestazioni per 13,2 miliardi. Rispetto all’inizio del 2007, anno di avvio della riforma della previdenza complementare, il totale delle risorse si è più che quadruplicato, per un incremento medio del 9% su base annua. 

 

Focus su linee di investimento e rendimenti 

Passando all’analisi delle linee di investimento, restano predominanti i profili con una quota azionaria bassa o addirittura nulla, anche per effetto di una età media degli iscritti di 47 anni (con gli aderenti over 55 anni che rappresentano il 33,4% del totale) che lascia presupporre una preferenza meno spiccata verso investimenti più rischiosi. È naturale, infatti, che più ci si avvicina all’età di pensionamento più si ha la tendenza a prediligere la conservazione del capitale piuttosto che la crescita, in considerazione del minor tempo a disposizione per recuperare eventuali perdite, favorendo quindi la scelta di comparti garantiti e obbligazionari. 

Figura 1 – Iscritti alle diverse forme pensionistiche complementari per profilo di investimento e classi di età
(anno 2024)

Figura 1 – Iscritti per profilo di investimento e classi di età

Fonte: Relazione annuale COVIP per l’anno 2024

Tuttavia, negli ultimi anni il peso dei profili garantiti è progressivamente sceso: rispetto al 2019, è diminuito di 6,8 punti percentuali a favore soprattutto dei profili più rischiosi come quelli azionari e bilanciati, rispettivamente 4,8 e 2,7% in più. In particolare, in rapporto alle nuove iscrizioni effettuate nel corso del 2024 emerge una maggiore preferenza per i profili di investimento più rischiosi: il 45,1% ha preferito profili bilanciati e il 21,6% azionari; a quelli garantiti si è iscritto il 24% del totale e ai profili obbligazionari il restante 9,2%. Dalla distribuzione degli iscritti per profilo di investimento ed età, inoltre, si osserva una propensione maggiore per i profili azionari e bilanciati nelle classi di età più giovani (fino a 29 anni), mentre nelle fasce centrali (30-54 anni) - dove si colloca la maggioranza degli iscritti - i profili a rischio più basso si mantengono su livelli tra il 45 e il 50%, di cui i tre quarti costituiti da garantiti. Come sottolineato in precedenza, questi ultimi assumono via via un peso predominante a partire dai 55 anni. 

A livello di rendimenti, infine, nonostante le persistenti tensioni geopolitiche, nel 2024 l’andamento dei mercati finanziari ha beneficiato del progressivo calo dell’inflazione e del conseguente allentamento delle politiche monetarie restrittive messe in atto dalle principali Banche Centrali. In tale contesto, i risultati delle forme pensionistiche complementari sono stati ampiamente positivi, proseguendo il recupero iniziato nel 2023 dopo le forti perdite registrate nell’annus horribilis 2022. I rendimenti medi aggregati hanno visto i fondi negoziali guadagnare il 6% (+6,7% nel 2023), i fondi aperti il 6,5% (+7,9% nel 2023) e le gestioni unit linked di ramo III dei PIP il 9% (+8,4% nel 2023), rispetto a un tasso di rivalutazione del TFR del +1,9%. 

Figura 2 – Rendimenti netti medi annui delle diverse forme pensionistiche complementari (anno 2024)

Figura 2 – Rendimenti netti medi annui delle forme pensionistiche complementari

Fonte: Relazione annuale COVIP per l’anno 2024

I comparti azionari hanno registrato le performance migliori, con rendimenti in media pari al 10,4% nei fondi negoziali e nei fondi aperti e al 12,9% nei PIP. Le linee bilanciate hanno in media reso il 6,4% nei fondi negoziali, il 6,6% nei fondi aperti e il 7% nei PIP. Le linee obbligazionarie miste hanno guadagnato il 5,7% nei fondi negoziali, il 2,9% nei fondi aperti e il 2% nei PIP di ramo III; quelle obbligazionarie pure hanno registrato rendimenti del 3% nei fondi negoziali e del 2% nei fondi aperti. Infine, le gestioni separate di ramo I dei PIP hanno limitato il guadagno all’1,4%. Le forti perdite registrate nel 2022 - anno in cui la forte impennata inflazionistica e il conseguente rapido ciclo restrittivo messo in atto delle Banche Centrali ha messo in crisi tanto i comparti azionari quanto quelli obbligazionari - continuano però a incidere sui rendimenti dell’ultimo triennio, soprattutto se confrontati con i benchmark del TFR e dell’inflazione: a fronte di una rivalutazione del TFR del 3,9% e di un tasso di inflazione del 4,2%, nel 2021-2024 i pensione fondi negoziali hanno ottenuto un rendimento medio dello 0,7%, i fondi aperti dello 0,9% e i PIP dell’1,5%, con i comparti azionari che spaziano dal +2,3% dei fondi negoziali al +3% dei PIP e quelli obbligazionari che presentano risultati ancora negativi per i fondi aperti. 

Ampliando ulteriormente il periodo di analisi, più in linea per una corretta valutazione della redditività del risparmio previdenziale dati gli orizzonti temporali più lunghi in ragione degli obiettivi perseguiti, nel decennio 2014-2024 i rendimenti medi annui composti delle linee a maggiore contenuto azionario si collocano, per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,4% e il 4,7%. Viceversa, le linee garantite e quelle obbligazionarie mostrano rendimenti medi poco superiori allo zero; le linee bilanciate registrano infine rendimenti medi che vanno dall’1,9% dei PIP di tipo unit linked al 2,5% dei fondi negoziali e al 2,7% dei fondi aperti. Nel periodo di tempo considerato, dunque, le linee azionarie registrano quasi tutte rendimenti superiori anche al tasso di rivalutazione del TFR, pari nel decennio considerato al 2,4% medio annuo composto, mentre per le altre tipologie di linee di investimento il confronto appare meno favorevole.  Appare quindi evidente come la scelta della linea di investimento da parte degli iscritti, unita alle contribuzioni versate e agli anni di partecipazione alla forma pensionistica, costituisca una variabile che incide significativamente sull’accumulazione della propria posizione previdenziale, con l’orizzonte di lungo periodo che caratterizza questa tipologia di investimento che consente l’adozione di un maggior grado di rischio soprattutto per gli aderenti più giovani, salvo poi ridurne progressivamente la quota con l’avanzare degli anni. 

I dati COVIP rivelano che per  classi di età molto giovani e inferiori a 25 anni, comunque poco numerose e formate per lo più da soggetti fiscalmente a carico, la quota azionaria si posiziona su valori più elevati, in media superiori al 40%, mentre nelle fasce di età centrali il peso delle azioni è più basso e si mantiene intorno al 25-30%. Nelle classi più anziane la diminuzione delle azioni è via via più pronunciata fino ad attestarsi intorno al 10-15% oltre i 60 anni di età. 

I minori rendimenti ottenuti dalle linee garantite rispetto a quelle a maggiore contenuto azionario e la tendenza da parte degli iscritti a rimanere nello stesso comparto possono quindi determinare un assetto subottimale del portafoglio previdenziale. Anche in quest’ottica, una soluzione può essere ad esempio quella di adottare piani di life-cycle, ossia dei meccanismi che prevedono la graduale riduzione dell’esposizione al rischio finanziario all’aumentare dell’età dell’aderente e alla distanza dal pensionamento. 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

30/6/2025

 
 
 

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