Investitori istituzionali e ripartenza economica: la sostanza conta più della forma

Le numerose ipotesi formulate riguardo la forma che assumerà la ripresa nel prossimo futuro testimoniano un'incertezza generalizzata tanto sul fronte macroeconomico quanto su quello finanziario: la gestione del rischio diventa allora la base per affrontare il domani

Niccolò De Rossi

Formulare ipotesi sul futuro è un compito arduo anche per gli esperti che si occupano della materia. Quando poi un cigno nero com’è stato COVID-19 si abbatte indistintamente a livello globale vengono minate le fondamenta che sorreggono le ipotesi stesse e il quadro generale si complica notevolmente. Il periodo che il mondo sta affrontando ne è una concreta testimonianza. Le previsioni iniziali per il 2020 erano più che positive, sia a livello macroeconomico sia per l’andamento dei mercati finanziari. Dopo il nefasto evento, ci si trova ora a dover formulare nuovi scenari per il futuro con un contesto estremamente mutato, fragile, incerto e di non semplice lettura.

Il nuovo coronavirus ha infatti portato a galla alcuni limiti che le varie economie non sono mai riuscite a limare. In Italia, se inizialmente la crisi è stata prettamente sanitaria (facendo emergere anche in questo contesto diverse debolezze nonostante un SSN generalmente considerato virtuoso), il ricorso alla chiusura forzata ha fatto il resto. Da emergenza sanitaria si è arrivati a dover fare i conti con indicatori economici in forte sofferenza e con una società molto indebolita, anche emotivamente. Di pari passo, anche i mercati finanziari che inizialmente rincorrevano i rispettivi massimi hanno conosciuto una delle più brusche inversioni di sempre, registrando, dallo scoppio della pandemia, ribassi prossimi al 40%. Se infatti gli ultimi anni hanno evidenziato uno scollamento sempre più netto tra la finanza (intesa come andamento dei mercati finanziari) e l’economia reale, il nuovo coronavirus si è dimostrato drammaticamente democratico in tal senso (almeno nelle sue prime battute), colpendo tanto la prima quanto la seconda.

Nonostante un consistente rimbalzo di alcune borse mondiali che sono tornate a crescere recuperando il terreno perso e riportandosi sulle valutazioni di inizio anno, le ipotesi riguardo la forma che assumerà la ripartenza sono numerose: U-V-W-L, tutte plausibili e differenti in base alle assunzioni e alla view che ciascuno fa sul domani. E tra coloro chiamati a ipotizzare le differenti tipologie di ripartenza non si possono non citare anche gli investitori istituzionali che, come tutti, sono stati investiti dalle conseguenze dell’emergenza. In particolare però, fondi pensione, Casse di Previdenza e Fondazioni di origine Bancaria, ciascuno in modo differente in funzione della propria mission, devono confrontarsi con un duplice effetto: da un lato, le drammatiche ripercussioni causate dal virus sul mondo del lavoro che si riflettono a propria volta sugli enti previdenziali, in particolare per le eventuali richieste di riscatti/anticipazioni o per l’erogazione di aiuti diretti a sostegno delle professioni; dall’altro, la necessità di far fronte al crollo dei mercati finanziari e tamponare le perdite sui rispettivi portafogli di investimento.

Il primo punto richiama evidentemente il ruolo sempre più di “rilevanza sociale” che gli enti previdenziali possono ricoprire, soprattutto in momenti di crisi come questo. Non è una novità che la crescita dimensionale dei fondi pensione e delle Casse previdenziali vada di pari passo con un’importante maturazione di sistema, incrementandone l’importanza nei confronti degli iscritti non solo dal punto di vista dell’erogazione delle prestazioni pensionistiche, ma anche nell’ottica di un welfare sempre più ampio e inclusivo. Per quanto concerne la gestione finanziaria, invece, si fa sempre più pressante soprattutto alla luce dell’attuale crisi il tema della diversificazione dei portafogli. Potendo infatti contare su orizzonti temporali di lungo periodo e masse in gestione che ormai hanno raggiunto una consistente percentuale sul PIL nazionale, vengono richieste agli investitori istituzionali una specializzazione e una sofisticazione sempre maggiori nell’effettuare le proprie scelte di investimento.

In particolare, la cosiddetta finanza alternativa può essere ormai considerata, almeno in parte, una prassi in via di consolidamento per molti di questi investitori. I benefici a livello di combinazione rischio/rendimento apportati ai portafogli sono ormai un’evidenza, come lo è il sostegno che può arrivare all’economia reale nazionale. La decorrelazione dei propri asset rispetto all’andamento dei “mercati tradizionali” si accompagna inoltre a una visione sempre più sostenibile (ESG) nell’approcciare la finanza. Le recenti crisi hanno in effetti spinto verso un nuovo modo di interpretare e considerare l’investimento finanziario, guardando non più solo alla ricerca di rendimento tout court ma anche a modalità attraverso cui generare ripercussioni positive su clima, imprese e territori.

Malgrado la fase delicata, gli investitori istituzionali italiani si confermano allora, ancora una volta di più, un punto fermo su cui il Paese può contare. Per il compito - “istituzionale”, per l’appunto - che rivestono nei confronti dei propri iscritti o territori di riferimento, e per il supporto finanziario sempre più spesso riservato all’economia reale nazionale.

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

16/9/2020

 
 

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