Sentiment e prospettive del mercato istituzionale italiano

Migliorano la diversificazione del patrimonio e la soddisfazione per la performance, si fortifica il ruolo dell'advisor, cambiano le preferenze in termini di asset class: il sentiment e le future intenzioni di investimento del mercato istituzionale italiano valutati su un arco temporale di 13 anni grazie all'indagine Itinerari Previdenziali dedicata a enti e gestori

Michaela Camilleri

Se il Report sugli investitori istituzionali italiani fotografa il mercato dal punto di vista quantitativo delle risorse gestite e della composizione degli investimenti, l’indagine annuale svolta da Itinerari Previdenziali su “Livelli di soddisfazione e prospettive su performance, investimenti, diversificazione dei patrimoni e rapporti con gestori e advisor” offre uno spaccato qualitativo, rilevando il sentiment degli enti, le relazioni che intercorrono tra i vari attori operanti e le strategie che in prospettiva verranno adottate alla luce delle dinamiche finanziarie rilevate. Inizialmente somministrata in occasione del tradizionale Itinerario Previdenziale ai principali enti previdenziali (Casse professionali di primo pilastro e fondi pensione), la survey è stata in seguito inclusa in altre pubblicazioni – il citato Report dapprima e il Quaderno ESG poi – e il campione esteso a Fondazioni di origine Bancaria e Compagnie di Assicurazione, arrivando a contare nel 2024 128 rispondenti per un patrimonio rappresentato di oltre 500 miliardi di euro.

L’indagine, che dal prossimo anno tornerà “indipendente”, propone 10 domande con l’obiettivo di reperire informazioni sulle caratteristiche generali dei soggetti investitori: la loro dimensione patrimoniale e gli strumenti di investimento utilizzati, nonché il loro livello di soddisfazione per le performance finanziarie realizzate e il rapporto con gli advisor

Una delle domande principali della survey condotta a partire dal 2011 riguarda il livello di diversificazione degli investimenti del patrimonio, aspetto che assume un ruolo cruciale nell’ottica dei rendimenti, ma ancora di più in chiave di controllo del rischio. A riprova di ciò, il quadro relativo ai giudizi raccolti dall’indagine denota segnali di costante miglioramento nel corso degli anni, confermando la percezione che la strada verso una diversificazione adeguata sia stata oggi pienamente intrapresa. Per il 2024, infatti il 59% dei rispondenti la ritiene “buona” e il 25% “ottima”, mentre solo il 10% la considera “discreta”, il 5% “sufficiente” e l’1% “insufficiente”. Il quadro non è stato però sempre così positivo. Se, infatti, fino al 2016 c’è stata una quota di rispondenti che giudicava insufficiente la diversificazione dei propri investimenti (in media il 20% circa, con punte del 24-25% nel 2011 e nel 2014), a partire dal 2019 questa componente è diventata residuale. In modo speculare è cresciuta nel tempo la percentuale di investitori che valutano molto positivamente la propria diversificazione: sommando infatti le risposte “ottima” e “buona” si arriva all’84% di giudizi positivi. 

Figura 1 – Come ritiene la diversificazione degli investimenti del patrimonio? 

Figura 1 – Come ritiene la diversificazione degli investimenti del patrimonio?

Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

L’evoluzione del giudizio relativo alla diversificazione degli investimenti è inevitabilmente connessa a quella circa la soddisfazione per la performance finanziaria ottenuta. Anche la valutazione dei rendimenti, infatti, è migliorata nel corso negli anni: dalla prima rilevazione nel 2011, la quota degli investitori che valuta positivamente la performance ottenuta è cresciuta, passando dal 66,7% del 2011 (dati riferiti al 2010) al 93% del 2024 (dati riferiti al 2023). Al netto di lievi scostamenti, l’unica eccezione significativa in questo trend è rappresentata dal 2022 a causa dei riflessi dell’andamento particolarmente negativo dei mercati finanziari. Il 93% del 2024 torna in linea con il 99% di investitori che si ritiene soddisfatto della performance finanziaria rilevato nel 2022 e riferito all’anno 2021, valore più alto mai registrato. Confrontando i risultati sembra emergere, dunque, una correlazione positiva tra diversificazione e performance

La crescente soddisfazione per il grado di diversificazione raggiunto e per i rendimenti ottenuti in questi anni potrebbe aver attenuato la ricerca di nuove soluzioni di investimento e nuovi gestori: soddisfazione e revisione dell’asset allocation sarebbero dunque da porre in correlazione inversa, ovvero al crescere dell’una (la soddisfazione) dovrebbe contrarsi l’altra (la revisione dell’asset allocation). I dati confermano una riduzione della percentuale di rispondenti che ritiene necessaria una revisione dell’asset allocation nel breve termine: si passa da 79% del 2011 al 40% del 2024. Nonostante le turbolenze sui mercati finanziari e le nuove finestre di opportunità di investimento che si aprono, tale indicazione rileva come nel tempo i portafogli degli investitori istituzionali siano stati costruiti in maniera sempre più efficiente e flessibile. In questo percorso, anche considerando la sempre più difficile lettura dei mercati, la figura dell’advisor ha rivestito un ruolo cruciale che si è consolidato nel tempo con l’82% dei rispondenti all’indagine 2024 che si avvale del supporto di almeno un advisor finanziario. Prosegue anche la tendenza a rivolgersi a più soggetti differenziando i contratti di consulenza per tipologia di servizio esternalizzato (rischio, asset allocation strategica, implementazione e monitoraggio delle politiche ESG, ecc.). 

Quali, dunque, le allocazioni attuali e le prospettive future? La survey fotografa le maggiori asset class in cui sono attualmente investiti enti previdenziali, Fondazioni e Compagnie di Assicurazione e fornisce un’indicazione circa le future intenzioni di investimento. Nell’ultima rilevazione si conferma la predominanza dei titoli obbligazionari come strumento di investimento attualmente più utilizzato e indicato dal 74% dei rispondenti contro il 56% del 2020, in aumento negli anni più recenti grazie al ritorno di rendimento dell’asset class dovuto al rialzo dei tassi di interesse da parte delle Banche Centrali. Seguono i fondi d’investimento alternativi con il 70% delle preferenze, seppur in lenta ma costante discesa dopo il picco del 2021, anno in cui la presenza in portafoglio veniva evidenziata dall’82% del campione. I titoli azionari sono la terza tipologia di strumento finanziario confermando, con il 68% delle indicazioni, una tendenza in crescita dal 2020. A seguire i fondi comuni tradizionali con il 66%, i mandati di gestione stabili attorno al 56%, seguiti dagli ETF con il 45% in costante crescita negli ultimi tre anni (40% nel 2022, 41% nel 2023) che recuperano terreno rispetto ai fondi immobiliari ancora in discesa al 43%. 

Figura 2 - In quali strumenti investe attualmente l'ente?

Figura 2 - In quali strumenti investe attualmente l'ente?

Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

 

Osservando il confronto con le risposte fornite negli anni precedenti, nell’esposizione attuale si evidenzia una lieve riduzione dei FIA e la costante ascesa sia dei titoli obbligazionari sia dei titoli azionari. Continua la progressiva riduzione del ricorso ai mandati di gestione rispetto all’acquisto diretto di fondi, così come continua la risalita degli ETF. 

Figura 3 – In quali strumenti l’Ente si propone di investire (o di aumentare l’esposizione) nel prossimo futuro?

Figura 3 – In quali strumenti l’Ente si propone di investire (o di aumentare l’esposizione) nel prossimo futuro?

Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Rivolgendo lo sguardo al futuro, gli investitori si propongono di investire e/o di aumentare il peso in portafoglio soprattutto in FIA, con il 56% dei rispondenti che dichiara di volersi esporre maggiormente nei private market, anche se con un costante ma leggero calo rispetto agli anni passati (era il 64% nel 2023, il 71% nel 2022 e il 91% nel 2021). Allo stesso modo, dall’ultima rilevazione emerge ancora più chiaramente rispetto all’anno scorso l’intenzione da parte degli investitori istituzionali, espressa dal 53% del campione, di aumentare il peso delle obbligazioni nei portafogli, tendenza in costante crescita negli ultimi 3 anni. Seguono fondi comuni tradizionali al 34% e i titoli azionari al 35% con un netto balzo in avanti rispetto al 23% del 2023. 

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

27/8/2024

 
 

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