Immigrazione e ideologia, un binomio che non funziona

Il contributo dei lavoratori stranieri all'equilibrio del sistema previdenziale italiano e ai conti pubblici del Paese è davvero fondamentale, così come sostenuto da molti studi sul tema? Non esattamente, almeno se si sceglie di guardare ai dati al netto di posizioni ideologiche sul tema

Alberto Brambilla e Natale Forlani

Se all’ideologia si sostituisse la compassione e comprensione dei fenomeni per quello che realmente sono, e non come appaiono (filosofia buddhista), molti fatti potrebbero essere affrontati con umanità. Pensando agli immigrati non si può che provare un grande dolore per le vittime di naufragi e di viaggi della speranza ma, al contempo, non si può sottacere che la gran parte di questa nuova migrazione è promossa dai “moderni mercenari di uomini”, che fanno soldi sulla pelle di questa povera gente.

Chi è stato in Africa sa bene che se si dispone di 6-8mila dollari (il prezzo del viaggio) si può vivere anche senza lavorare per anni,  dato che bastano due dollari al giorno; e se si vuole migliorare la propria posizione si chiedono i visti per studio o lavoro e si viene regolarmente. Solo per i rifugiati politici si possono creare canali umanitari. Ma in Italia niente di tutto questo (accordi bilaterali, piano UE o ONU per i rifugiati) viene fatto: solo continue sanatorie, che altro non fanno che aumentare gli appetiti dei mercanti di schiavi e le morti di tante persone. Le prese di posizione del ministro degli Interni Lamorgese e l’abolizione dei tetti triennali all’immigrazione sono del resto un enorme incentivo.

Neppure le ultime statistiche su povertà e alta disoccupazione scalfiscono un'ideologia che continua a magnificare i presunti benefici e le immanenti necessità di molta immigrazione. Ne è un esempio il Rapporto annuale 2020 della Fondazione Leone Moressa, i cui dati vengono ripresi nei report della Caritas e di Migrantes, dove si afferma che “gli stranieri tra tasse e contributi pagano circa 18 miliardi e hanno un basso impatto sulla spesa pubblica, con un saldo attivo di 500 milioni”. Sempre secondo il Rapporto, la sanatoria 2020 produrrebbe addirittura un gettito potenziale di 360 milioni annui e, infine, i circa 2,5 milioni di occupati stranieri contribuirebbero al PIL italico per circa il 9,5%, pari a 147 milioni di euro. Mezzo punto in più rispetto al 2018 ma potrebbe essere molto di più, dice la Fondazione Moressa, se non ci fosse tra gli stranieri molto lavoro nero e irregolare.

Nel Rapporto sponsorizzato dalla CGIA di Mestre e con i patrocini dei ministeri degli Esteri, dell'Economia e dell'Università Cà Foscari di Venezia, ci sono però molte incongruenze prodotte dalla ideologia che permea i lavori di queste organizzazioni, fan dell’immigrazione a tutti i costi, che non si rendono conto dei rischi che nuove ondate di immigrati potrebbero produrre sulla debole economia italiana, sul nostro esile mercato del lavoro e soprattutto sugli stessi immigrati regolari. A parte qualche errore sul PIL 2019, si afferma che ogni straniero avrebbe prodotto 68.000 euro di PIL, cifra non compatibile con i restanti 20,876 milioni di lavoratori italiani che hanno retribuzioni mediamente superiori del 35% a quelle degli stranieri. Quanto all’impatto sulla spesa pubblica, considerando per i 5,255 milioni di immigrati regolarmente residenti (ai quali però dovremmo sommare i circa 500-600mila irregolari) la sola spesa sanitaria il cui costo pro capite nel 2019 è di 1.886,5 euro, si otterrebbe una spesa di circa 10 miliardi. Per la scuola ci vorrebbero almeno altri 1,1 miliardi e per l’assistenza altri 3,4; poi c’è tutto il resto. Immaginare addirittura un saldo positivo, quando il tutto il mondo l’immigrazione è un investimento, e come tale costa tanti soldi, sa molto di ideologia.

Infine, è utile qualche considerazione sui 17,9 miliardi di tasse, addizionali locali e contributi previdenziali prodotti (dice il Rapporto) dai 2,29 milioni di contribuenti stranieri nel 2019 (anche se gli occupati in realtà sono 2,5 milioni): a) lo studio afferma che gli stranieri hanno dichiarato redditi per 29,08 miliardi con una media di 12.700 euro l’anno, molto al di sopra dei dati forniti dall’INPS (14.287 euro per i lavoratori dipendenti e circa 7.500 euro quella dei lavoratori domestici e agricoli, che sono però circa il 40%), e hanno versato IRPEF per 3,66 miliardi, pari a un'aliquota di circa il 13%, che è più elevata di quella pagata dal 70% dei contribuenti italiani. Il che rende il dato poco credibile visto che la maggior parte degli immigrati è poco sopra la no tax area e, con deduzioni e detrazioni, è difficile che paghi imposte. b) Quanto ai contributi sociali è bene specificare che sono un credito per chi versa (italiani o stranieri) che poi determinerà una pensione e, quindi, non sono un contributo alla crescita del Paese; anche ipotizzando un’aliquota media elevata non si arriva ai 7 miliardi di contributi che, sommati ai 2,29 miliardi di IRPEF e altri 4,3 miliardi di imposte indirette, non possono arrivare a quota 17,9 miliardi, considerando oltretutto che lo stesso Rapporto definisce l’occupazione immigrata concentrata nelle professioni meno qualificate (oltre la metà ha la licenza media).

Stupisce infine che, da un lato, il Rapporto affermi che l'Italia ha di fatto “chiuso la porta agli immigrati extra-comunitari in cerca di lavoro che per entrare nel Paese hanno potuto usare solo i ricongiungimenti familiari o le richieste d'asilo” e, dall’altro, che gli occupati stranieri negli ultimi dieci anni sono aumentati di 600mila unità (+31% dal 2010) e che dal 2010 a oggi gli immigrati sono passati da 3,65 a 5,26 milioni (+44%), arrivando a rappresentare l'8,7% della popolazione e superando il 10% in alcune regioni e città. Nel solo 2019 gli stranieri sono aumentati di 111mila unità al netto delle 127mila nuove cittadinanze rilasciate: la maggior parte degli arrivi non riguardano lavoratori ma ricongiungimenti familiari, quindi soggetti che non producono redditi ma beneficiano di tutti i nostri servizi di welfare, INPS compresa.

Ne servivano di più? Siamo sicuri che continuando con questi proclami facciamo il bene degli italiani e degli stessi immigrati? L’Istat ci dice che nel 2019 gran parte della povertà è immigrata: il 31% dei nuclei composti da soli stranieri versa in condizioni di povertà assoluta rispetto al 6,3% di quelli italiani; quasi il doppio quelli in povertà relativa, con il 40% dei minori coinvolti. Davvero è il caso di proseguire così per interesse e ideologia o forse è il caso di smettere di incentivare gli arrivi e procedere a una seria integrazione? Il rischio è che l’attuale politica, combinate con l’assoluta incapacità amministrativa di governare il fenomeno, incentivi continui flussi di migranti, con i drammatici risultati in termini di vite umane da piangere.

Alberto BrambillaPresidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Natale Forlani, Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali

13/1/2021

 
 
 

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