L'insostenibile lunghezza delle liste d'attesa

La lunghezza delle liste d'attesa è forse uno degli emblemi delle difficoltà del SSN e, di riflesso, dell'importanza di un modello multipilastro che sia in grado di affiancare efficacemente il servizio nazionale nel garantire l'accesso alle cure di tutti i cittadini 

Marco Vecchietti

Il Servizio Sanitario Nazionale continua a confermarsi decisamente saturo e sempre più spesso gli italiani si rivolgono al privato per ovviare al problema. Sono 31,6 milioni i cittadini che hanno avuto bisogno di almeno una prestazioni sanitaria e, a causa di liste di attesa troppo lunghe, hanno deciso di pagare di tasca propria le cure. Si tratta di un fenomeno, peraltro, che mostra un trend crescente e consolidato. Infatti tra il 2014-2017 per la gran parte delle prestazioni sanitarie analizzate si registra un allungamento costante delle liste di attesa.

Tabella – Andamento della lunghezza in gg. delle liste di attesa per alcune prestazioni sanitarie nel periodo 2014-2017

Fonte: VII Rapporto RBM - Censis

La lunghezza delle liste d’attesa è il paradigma delle difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale e il moltiplicatore della forza d’attrazione della sanità privata. Non a caso, il 54% degli italiani individua nella riduzione delle liste di attesa (il 62,6% dei 29-44enni, il 59,1% dei residenti al Sud) una delle principali priorità del Servizio Sanitario Nazionale. Da un punto di vista economico, peraltro, è interessante osservare come ogni giorno di attesa risparmiato in termini di lista di attesa presso il SSN corrisponda a un costo medio da pagare di tasca propria da parte del cittadino compreso mediamente tra i 10 e i 45 euro. Al riguardo l’ALPI (Attività Libero Professionale Intramuraria) non garantisce una soluzione al problema dal momento che tende a caratterizzarsi mediamente per costi mediamente superiori al “privato puro” e registra, comunque, tempi di attesa più lunghi. Si consideri che dalle rilevazioni condotte una visita cardiologica costa in media 113 euro con 7 giorni di attesa in intramoenia, 108 euro e 5 giorni di attesa nel” privato puro”. Una risonanza magnetica del ginocchio senza contrasto costa in intramoenia 152 euro con 11 giorni di attesa, 142 euro con 5 giorni di attesa nel “privato puro”. Una prima visita oculistica costa 105 euro con 12 giorni di attesa in intramoenia, 102 euro con 6 giorni di attesa nel “privato puro”.

Il fenomeno delle liste di attesa si conferma poi fortemente influenzato dal gradiente territoriale. Tra coloro che hanno deciso di ricorrere al privato a causa di liste di attesa troppo lunghe nel Servizio Sanitario Nazionale troviamo il 72,9% dei residenti al Sud-Isole, al 68,9% al Centro, al 54,3% al Nord-Est ed al 50,8% al Nord-Ovest. A fronte di un tempo medio di attesa per l’erogazione di prestazioni sanitarie da parte del Servizio Sanitario Nazionale di circa 55 giorni, risultano particolarmente significativi gli 83 giorni medi di attesa registrati nel Lazio, gli oltre 62 giorni medi riferibili alle Regioni del Sud e Isole, i 45 giorni medi della Lombardia (la Regione con il più elevato livello di assistiti) e la performance inferiore ai 33 giorni delle Regioni del Nord Est (incluse le Province Autonome di Trento e Bolzano). Nel contempo si rileva che le medesime prestazioni, se erogate in regime solvente/privato possono essere fruite, in tutte le Regioni, in un tempo medio di attesa di poco superiore ai 5 giorni.

Per quanto riguarda la tipologia di prestazione, si evidenzia invece che la maggiore incidenza delle criticità relative alle liste di attesa si concentra sulle prestazioni diagnostiche e sulle visite specialistiche. Scarsamente accessibili, poi, anche le prestazioni riabilitative. Pagare diventa sempre più spesso, anche per le persone con redditi bassi, la condizione per accedere alla prestazione in tempi compatibili. Il fenomeno non risparmia i più fragili: denunciano la scarsa accessibilità ai servizi sanitari il 64,7% dei non autosufficienti e il 72,6% delle famiglie con figli fino a 3 anni.

 
L’accessibilità alle cure si evidenzia dunque come uno dei principali elementi di disuguaglianza che caratterizzano l’attuale organizzazione del nostro sistema sanitario richiamando l’attenzione non solo sugli effetti immediati di questa situazione, ma anche sugli effetti prospettici in termini di salute complessiva dei cittadini.

Grafico – Liste di attesa per Regione: tutte le prestazioni (escluse le analisi di laboratorio) 

Fonte: VII Rapporto RBM - Censis

Da questa analisi risulta evidente come il Sistema Sanitario debba essere riorganizzato sulla base di un modello multipilastro in grado di affiancare il SSN laddove quest'ultimo fatica a garantire l’accesso alle cure a tutti i cittadini. Governance pubblica e strumenti privati: questa la soluzione per la sostenibilità sociale e finanziaria del Sistema Sanitario nella misura in cui sottoscrivere una polizza sanitaria o aderire a un fondo Integrativo risulta più conveniente che continuare a pagare di tasca propria le cure private. Aggiungere un Secondo Pilastro sanitario aperto a tutti i cittadini non è poi in alcun modo in contrasto con l’aumento dei finanziamenti alla sanità pubblica, ma anzi è l’unica alternativa a lasciare soli gli italiani di fronte alla scelta tra pagare e curarsi. Non a caso, l'articolazione multipillar del sistema sanitario è già realtà in molti Paesi Europei (si pensi alla Gran Bretagna, alla Francia, alla Germania e all’Olanda) e ha coinvolto, in ambito OCSE, anche Paesi con sistemi di welfare, come il nostro, ovvero tradizionalmente incentrati sul principio fondante dell’universalismo (come la Gran Bretagna, il Canada e l’Australia).

In generale, infatti, la copertura di base garantita ai cittadini attraverso il Primo Pilastro (primary, forme sanitarie di base), attuata attraverso sistemi pubblici o sistemi assicurativi privati, copre una serie predefinita (“basket”) di cure ed assistenze con la previsione – nella quasi totalità dei casi – di quote di compartecipazione a carico dei cittadini. Nella maggior parte dei Paesi OCSE , al sistema di tutela sanitaria di base si affianca, su base “istituzionale” o “volontaria”, un Secondo Pilastro Sanitario aggiuntivo che ha l’obiettivo – a seconda delle policy di ciascun Paese, di rimborsare i costi sanitari rimasti a carico del cittadino (complementary private health insurance, forme sanitarie complementari), di integrare il basket di prestazioni sanitarie garantite dal Primo Pilastro (integrative private health insurance, forme sanitarie integrative) o di garantire un accesso più rapido alle cure e/o una più ampia scelta tra strutture sanitarie e medici (duplicate private health insurance, forme sanitarie sostitutive).

In Francia, in Belgio e in Germania il Primo Pilastro Sanitario è affiancato da un diffuso sistema di forme sanitarie complementari finalizzate a neutralizzare gli effetti sui redditi delle famiglie delle spese sanitarie che incidono direttamente sui redditi delle famiglie. In Olanda, invece, il sistema di tutele di base è integrato attraverso un Secondo Pilastro Sanitario, a gestione assicurativa, che si occupa di garantire la copertura per le spese relative alle spese odontoiatriche e ai farmaci, nonché a una serie predefinita di ulteriori prestazioni sanitarie non ricomprese nel perimetro assistenziale primario. In Irlanda, Spagna, Portogallo e Regno Unito,  il sistema sanitario pubblico è affiancato da forme sanitarie assicurative che hanno la finalità di garantire ai cittadini un più rapido accesso alle cure, rispetto alle liste di attesa gestite nel sistema pubblico, la possibilità di scelta della struttura sanitaria e dei medici di propria fiducia e il rimborso economico di alcune prestazioni sanitarie esplicitamente non ricomprese nei livelli assistenziali di base.

L’Italia è uno dei pochissimi Paesi a non aver ancora attuato un modello di Secondo Pilastro strutturato in Sanità. E gli effetti, che pure inorgogliscono i più accesi sostenitori dell’ortodossia del monopolio pubblico in sanità, sono tutt’altro che positivi sia in termini di sostenibilità sociale che economica. 

È per questo che, se davvero si vuole risolvere il problema dell’accessibilità alle cure, non si può continuare ad implementare policy che ignorano sistematicamente il ruolo e il contributo del privato in sanità. Con questo convincimento ci siamo rivolti al neo Ministro della Salute Giulia Grillo inviandole la proposta per l’istituzione di un Reddito di Salute che possa sostenere l’attivazione da parte di tutti i cittadini italiani di una Forma Sanitaria Integrativa, dopo che lei stessa aveva mostrato la sua preoccupazione in merito alle evidenze emerse dall’VIII Rapporto RBM-Censis presentato in occasione del recente Welfare Day 2018. Ci auguriamo che la nostra proposta non cada nel vuoto o che, comunque, stimoli il nuovo esecutivo a valutare concretamente le opportunità derivanti dall’avvio di un Secondo Pilastro Sanitario per tutti.

Marco Vecchietti, Amministratore Delegato e Direttore Generale RBM Assicurazione Salute

25/7/2018

 
 
 

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