No alla carne coltivata: e l'abuso sugli animali?

Il divieto sulla carne coltivata, che vede l'Italia unica per il momento in Europa, rappresenta in realtà una grande sconfitta per il nostro Paese, in chiave sia economica che scientifica. Senza trascurare la grande occasione persa anche per migliorare la sostenibilità dei nostri consumi...

Alberto Brambilla

L'approvazione parlamentare della legge presentata dal Ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare e da quello della Salute, offre di certo un'immagine né moderna né ecologica del nostro Paese, ormai già ultimo in tutte le classifiche positive di Eurostat. In particolare, l’articolo 2 vieta di produrre e vendere in Italia “alimenti e mangimi prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali”, cioè carne non prodotta da animali. L’articolo 3 è ancora più audace: si pone l’obiettivo di “tutelare il patrimonio zootecnico riconoscendo il suo elevato valore culturale, socio economico e ambientale” e, pertanto, vieta l’uso di denominazioni tipo “burger vegetali” “salmone o tonno vegetale”, e così via.

Sfugge forse ai ministeri, per non averlo mai visto, cosa succede negli allevamenti intensivi e neppure si conoscono i costi ambientali e sociali di questi allevamenti di massa. Ma soprattutto sappiamo, quando beviamo una tazza di latte o quando mangiamo una fettina di carne di vitello, in che modo ci sono stati forniti questi alimenti “ad alto valore culturale”?

Per il latte dovremmo ad esempio sapere che una mucca da latte in allevamento vive in media 5 anni, mentre in natura vivrebbe fino a 20 anni ma fa una vita che non augureremmo neppure al nostro peggior nemico.  Costretta a produrre in modo totalmente innaturale fino a 60 litri di latte al giorno, quando in natura ne produrrebbe forse 15, trasformata in “fabbrica del latte” con la vita stravolta e disumanizzata, costretta a gravidanze troppo numerose e troppo ravvicinate per produrre sempre di più, minandone il fisico tanto che in pochi anni spesso non si regge più in piedi e, come premio finale, viene portata di peso al macello, senza pietà per produrre ulteriore reddito per l’allevatore: ma è carne “sovrana”! Eppure gli animali sono esseri senzienti. Sentono anche loro il caldo, il freddo, la paura, l’ansia, il dolore. Quando partoriscono il vitellino è il loro figliolo, lo puliscono con affetto, lo allattano, lo amano! E, se il vitellino è maschio, quando lo portano via dalla mamma (lei è la mamma), soffre come tutte le mamme! Ma noi vogliamo il latte a basso costo e pure la fettina di vitello e allora i vitelli che in natura vivrebbero anche loro 20 anni, li lasciamo in vita per un massimo di 23 settimane, così consumano meno latte e ci danno la loro carne tenera.

E secondo voi questa è cultura? Umanità? Siamo esseri civili o siamo diventati insensibili cinici consumatori? I maiali (tranne i riproduttori) in media vivono 6 mesi in allevamento, mentre potrebbero vivere fino a 15 anni; le galline ovaiole in allevamento 1-2 anni, in natura fino a 8 anni; peggio va ai pulcini maschi uccisi il giorno dopo la nascita. I tacchini vivono in allevamento da 8 a 26 settimane contro i 10 anni in natura; il peggio capita agli agnelli e capretti che vengono macellati, salvo i riproduttori, dopo soli 3-6 mesi, mentre potrebbero pascolare fino a 12 anni. E mi fermo qui per non intristirvi troppo considerando che ormai è quasi scomparso l’accoppiamento naturale, sostituito dall’inseminazione artificiale dolorosa per maschi e femmine, l’alimentazione è sempre più innaturale e la mobilità quasi annullata per accelerare l’ingrasso corroborato da antibiotici e farmaci che certo peggiorano anche le condizioni di chi poi mangia questi poveri animali con il rischio, ormai evidenziato dalla scienza, di diventare tutti resistenti agli antibiotici e molto più vulnerabili ai virus. E così l’Italia si vanta di essere il primo Paese europeo a vietarne l’uso. Esulta Coldiretti, moderna luddista, con il suo presidente che - a, differenza di Ned Ludd, che sfasciava i telai con il martello perché a suo dire portavano via posti di lavorio - fa baruffe. Eppure, dovrebbe sapere come vivono i suoi animali.

In generale, si tratta di una legge inutile e dannosa. Inutile perché in Europa già non è possibile vendere e consumare carne “coltivata” nei bioreattori perché, sulla base del regolamento UE/1997 tuttora in vigore, si è in attesa di un iter autorizzativo complesso che deve ancora iniziare; tuttavia, sono in corso e sono consentite in Europa e nel mondo, ricerche e sperimentazioni che, con questa legge, sono impedite nel nostro Paese condannandoci a restare arretrati, come già in molti altri campi. Inoltre, quando l’UE dovesse autorizzarne commercializzazione e consumo, l’Italia si dovrà adeguare e sarà costretta dal mercato a importare e in breve anche gli allevatori nostrani ne soffriranno. Dannosa perché l’uso nelle etichette di denominazione come hamburger vegetale, tonno vegetale, burro veg, vegan salmone, latte di mandorle, di riso, di nocciole, polpette vegetali e così via, con la nuova normativa è vietato e punito attraverso un esercito di controllori (articolo 4), che però non devono generare nuovi oneri per lo Stato (articolo 7), con ammende (articoli 5 e 6) da 10 a 150mila euro nonché il sequestro delle merci. Per inciso, questi prodotti - che, per sensibilità verso gli animali o per motivi di salute o semplicemente per rispetto dell’ambiente, fortunatamente stanno avendo un grande successo anche nella mia generazione cresciuta a latte e carne - valgono già per la grande distribuzione e non solo quasi 700 milioni di euro di giro d’affari e fanno certamente bene alla salute e ai nostri produttori nostrani.

Sarebbe stato meno iconoclasta e più ragionevole prevedere una rigida sperimentazione sia nella produzione di latte sia di carne (pollo o bovina), che consiste nel prelevare cellule staminali muscolari bovine o di polli che si moltiplicano rapidamente centinaia di volte in bioreattori alimentati da un liquido speciale simulando il procedimento che avviene in natura negli animali. È certo che si arriverà a soluzioni di questo tipo anche perché la popolazione mondiale continuerà a crescere; e quando sarà avremo solo positivi risultati: riduzione dell'enorme sofferenza degli animali, che verranno trattati meglio perché quel tipo di carne costerà molto di più; il consumo di acqua si riduce di quasi cento volte, si annulla l’inquinamento da allevamenti intensivi che, secondo la FAO, generano il 14,5% delle emissioni totali di gas serra e si liberano ettari di coltivazioni di cibo per animali a favore di cereali per l’uomo.

E poi: voi lo mangereste il vostro gattino o il vostro cagnolino? Prima di rispondere, guardateli e guardate anche gli animali dietro le sbarre. 

Alberto Brambilla, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

8/1/2023

 
 
 

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