Cosa non va nel mercato del lavoro italiano
Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro ha assunto nel nostro Paese caratteristiche e dimensioni tali da rappresentare un freno allo sviluppo economico e sociale: il sintomo di un sistema che ha smarrito la capacità di coordinare formazione, innovazione e lavoro
Nel cuore dellEuropa industrializzata, lItalia continua a essere teatro di una contraddizione che si trascina da decenni: da un lato, milioni di persone in cerca di occupazione; dallaltro, migliaia di imprese che faticano a trovare lavoratori adeguati ai propri fabbisogni. Il fenomeno, noto con il termine mismatch, non è certo nuovo, ma negli ultimi anni ha assunto caratteristiche strutturali tali da rappresentare un vero e proprio ostacolo allo sviluppo economico e sociale del Paese.
Nonostante una disoccupazione ufficiale che si aggira intorno al 7,5% e una disoccupazione giovanile ancora oltre il 20%, quasi unimpresa su due segnala difficoltà nel reperire personale. A dichiararlo è lultimo bollettino Excelsior 2024, realizzato da Unioncamere in collaborazione con ANPAL, secondo cui circa il 47% delle posizioni aperte resta vacante per settimane, se non mesi. Un dato che mette in discussione lefficienza del mercato del lavoro italiano e impone una riflessione profonda sulle cause e sulle possibili soluzioni di questo disallineamento.
Un problema di competenze
Quando si parla di mismatch si tende, spesso, a ridurre il discorso a una questione di competenze non allineate. È certamente vero che molte posizioni rimangono scoperte perché i candidati non possiedono le qualifiche tecniche o trasversali richieste dalle imprese. Questo è particolarmente evidente settori tecnologici e digitali, dove la domanda supera di gran lunga lofferta: specialisti ICT, sviluppatori software, esperti di data science e cybersecurity sono tra i profili più difficili da trovare sul mercato.
Tuttavia, limitarsi a una lettura tecnica del problema significa non cogliere linterezza della questione. Il mismatch è anche (e forse soprattutto) un problema sistemico, che affonda le radici in un modello educativo distante dal mondo produttivo, in un sistema di orientamento scolastico debole, in un tessuto economico frammentato e poco propenso alla formazione continua. A ciò si aggiungono fattori geografici e demografici: lofferta di lavoro è spesso concentrata in aree diverse rispetto alla domanda con il Nord in cerca di manodopera e il Sud con una disoccupazione giovanile endemica e la popolazione attiva sta rapidamente invecchiando, riducendo ulteriormente il bacino occupabile. [ ]
Il disallineamento tra domanda e offerta non riguarda poi tutti i settori in egual misura. Alcuni comparti risultano sistematicamente più colpiti. La manifattura specializzata, ad esempio, lamenta da tempo la carenza di tecnici meccanici, operatori CNC e installatori impiantistici. Lo stesso vale per ledilizia, che, nonostante la ripresa trainata dagli incentivi del Superbonus, fatica a trovare carpentieri, muratori, elettricisti e idraulici qualificati.
Nel settore dei servizi, la sanità pubblica e privata è forse il caso più emblematico: il bisogno crescente di infermieri, medici e operatori socio-sanitari si scontra con le difficoltà di programmazione dei fabbisogni, i vincoli di assunzione e, non ultimo, lemigrazione dei professionisti verso Paesi più attrattivi sotto il profilo salariale e contrattuale. Anche il turismo e la ristorazione, storicamente importanti per leconomia italiana, sono oggi in crisi di offerta: camerieri, cuochi e receptionist mancano, soprattutto nelle stagioni estive, segnalando un problema non solo di formazione, ma anche di condizioni di lavoro poco competitive.
Un problema sociale prima ancora che economico
Limpatto del mismatch non si misura soltanto in termini economici. [ ] Il risultato è un progressivo scollamento tra formazione, aspettative e realtà, che contribuisce ad alimentare il malessere sociale, la sfiducia nelle istituzioni e, non da ultimo, lemigrazione dei talenti.
Il brain drain, ovvero la fuga di cervelli verso lestero, rappresenta una delle conseguenze più gravi di questo disallineamento. Medici, ingegneri, ricercatori e informatici trovano spesso allestero le opportunità che in Italia mancano, tanto per questioni retributive quanto per lassenza di prospettive di carriera. Un circolo vizioso che priva il Paese delle risorse umane più qualificate proprio nel momento in cui ne avrebbe più bisogno.
Quali strade seguire? Di fronte a una tale complessità, non esistono soluzioni semplici. Ma alcune linee di intervento appaiono ormai imprescindibili. In primo luogo, è necessario rivedere radicalmente il sistema dellorientamento scolastico e universitario, affinché possa guidare i giovani verso percorsi realmente spendibili sul mercato. Questo significa potenziare le discipline STEM, ma anche valorizzare gli istituti tecnici e professionali, oggi spesso percepiti come una scelta di ripiego.
Accanto alla formazione iniziale, è urgente investire sulla formazione continua, in particolare nelle piccole e medie imprese, che rappresentano lossatura del sistema produttivo ma sono spesso escluse dai percorsi di aggiornamento. In questo senso, le politiche attive del lavoro finora deboli e frammentate devono essere ripensate in chiave integrata, dotando i centri per limpiego e le agenzie private di strumenti reali per favorire lincontro tra domanda e offerta. Infine, non si può ignorare il nodo della mobilità geografica. Incentivare lo spostamento dei lavoratori verso le aree dove il lavoro cè (attraverso agevolazioni abitative, trasporti efficienti, strumenti di relocation) è condizione essenziale per superare il divario Nord-Sud, ma anche per garantire una più equa distribuzione delle opportunità.
Il mismatch tra domanda e offerta non è un destino inevitabile, ma il sintomo di un sistema che ha smarrito la capacità di coordinare formazione, innovazione e lavoro. Riconoscerne la portata non basta: serve un cambio di paradigma che coinvolga politica, scuola, imprese e cittadini. Solo così sarà possibile trasformare lattuale paradosso in unoccasione di crescita sostenibile, inclusiva e, soprattutto, coerente con le trasformazioni del XXI secolo.
Giuseppe Zingale per la Fondazione Anna Kuliscioff
19/9/2025