Dai numeri le prime conferme sul "Decreto Dignità": preoccupazioni giustificate?

I recenti dati sul mercato del lavoro INPS e ISTAT sembrano confermare le iniziali perplessità sul Decreto Dignità che, malgrado intenzioni opposte sulla carta, potrebbe costituire un serio elemento di ostacolo alle assunzioni durante l'attuale congiuntura negativa, e ancor di più in recessione 

Claudio Negro

Sono usciti quasi in contemporanea i dati sul mercato del lavoro di INPS e ISTAT. I primi sono dati di flusso, relativi a quanti avviamenti al lavoro e quante cessazioni sono state rilevate nel periodo considerato; i secondi dati di stock, ossia quanti occupati/disoccupati sono stati misurati al termine del periodo stesso. C'è una lieve sfasatura temporale, perchè i dati INPS sono aggiornati a novembre 2018 e quelli ISTAT a dicembre ma, utilizzando qualche cautela, si possono lo stesso estrarre indicazioni molto significative.

Il governo enfatizza i dati ISTAT di dicembre che segnalano un incremento dell'occupazione rispetto a novembre. In realtà, l'aumento è modesto (+0,1%) e non consente di riportare il numero degli occupati ai massimi toccati nel periodo maggio-aprile-giugno (a maggio 23.345.000 occupati, contro i 23.269.000 di dicembre). Il dato tendenziale (anno su anno) è certamente positivo  (+0,9%), ma è dovuto essenzialmente all'andamento dei primi 6 mesi: il secondo semestre si è assestato su una media inferiore.

L'aspetto più rilevante è la variazione di stock rispetto alla tipologia dell'occupazione: dopo due mesi (ottobre e novembre) nei quali il saldo dei contratti a termine (avviamenti meno cessazioni e trasformazioni) era stata modesto, anche se positivo (circa 16.000 al mese), a dicembre lo stock è schizzato a +47.000. In parte, la cosa è spiegabile col fatto che a dicembre nel comparto del commercio c'è esigenza di assunzioni temporanee per far fronte alle vendite del periodo natalizio. Tuttavia, contemporaneamente cala lo stock di contratti a tempo indeterminato (-35.000) e questo dopo un periodo di 11 mesi nei quali il saldo di questi contratti (nuove assunzioni più trasformazioni meno cessazioni) era stato largamente positivo (tranne nei mesi di giugno e agosto).

Tutto ciò nonostante il Decreto Dignità si ponesse esattamente obiettivi opposti. In realtà, a partire da agosto, quindi in coincidenza con l'entrata in vigore del Decreto, si è registrato un calo di occupati - i tempi determinati sono calati in misura maggiore di quanto  siano aumentati gli indeterminati - e soltanto una piccola ripresa occupazionale a dicembre, grazie paradossalmente ai contratti a termine! Sarà opportuno valutare i dati di gennaio, ma se la congiuntura continuerà a essere negativa difficilmente aumenterà l'occupazione, e in particolare quella stabile: anzi, aver reso difficoltoso il ricorso al lavoro a termine comporterà il forte rischio che il saldo occupazionale sia significativamente negativo.

In sostanza, ill Decreto Dignità non solo ha contribuito paradossalmente a invertire il tasso di crescita occupazionale, che fino alla sua entrata in vigore era in aumento, ma ragionevolmente costituirà un elemento di ostacolo alle assunzioni durante la congiuntura negativa, e ancor più in recessione.

Infine, sarebbe utile sapere quanto ha contribuito al calo dell'occupazione dipendente a tempo indeterminato l'incentivazione oggettiva alla trasformazione di contratti stabili in partite IVA grazie al trattamento fiscale agevolato: basterebbe una piccola analisi costruita seguendo le tracce dei codici fiscali  per vedere quanti lavoratori dipendenti siano passati a partita IVA.  A dicembre i contratti a tempo indeterminato in essere calano di 35.000 unità, ma aumentano di 11.000 i lavoratori indipendenti, confermando una tendenza che dura ormai da ottobre. 

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff

12/2/2019

 
 

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