Disabilità: opportunità e non problema
Benché il nostro Paese sia tra quelli più esposti al tema della disabilità, l'inserimento lavorativo di persone con limitazioni della propria autonomia quotidiana continua a essere un obiettivo molto difficile da raggiungere
LItalia è uno dei Paesi più longevi al mondo, ma anche tra i più esposti al tema della disabilità. Secondo le stime Istat, oltre 3 milioni di persone convivono con limitazioni che riducono in modo significativo lautonomia quotidiana. Se allarghiamo lo sguardo a chi ha disabilità parziali o temporanee, il numero cresce ancora. Non si tratta quindi di una questione marginale: riguarda il tessuto stesso della nostra società, che dovrà sempre di più imparare a gestire la diversità come normalità.
In questo scenario, il lavoro assume un ruolo cruciale. Non è solo una fonte di reddito: è dignità, riconoscimento sociale, possibilità di contribuire al bene comune. Eppure, linserimento lavorativo delle persone con disabilità in Italia resta un obiettivo ancora lontano dallessere raggiunto. Oggi, meno di una persona con disabilità su tre in età lavorativa ha un impiego. Il confronto con il resto della popolazione è impietoso: quasi il doppio delle persone senza disabilità lavora. Ancora più preoccupante è il tasso di disoccupazione tra chi cerca un impiego: il doppio rispetto alla media nazionale. Dietro questi numeri ci sono storie di esclusione silenziosa: giovani che, terminati gli studi, si scontrano con porte chiuse; adulti che, dopo un infortunio o una malattia, si ritrovano a dover reinventare una carriera in un mercato che non concede seconde possibilità.
Dal 1999, con la Legge 68, lItalia ha introdotto il collocamento mirato, un modello pensato per superare il semplice concetto di quota obbligatoria e favorire un incontro più equo tra competenze e fabbisogni aziendali. In teoria, un cambio di paradigma: non più la persona inserita a forza in un contesto, ma un percorso costruito sulle sue abilità. In pratica, però, la realtà è spesso diversa. Molte aziende vivono ancora lassunzione di una persona con disabilità come un obbligo burocratico, da soddisfare con il minimo sforzo possibile. In alcuni casi, preferiscono pagare le multe piuttosto che rivedere lorganizzazione del lavoro. E così, la legge rimane sulla carta, senza trasformarsi in opportunità reale.
Negli ultimi anni non sono mancate politiche a sostegno dellinserimento. Regioni come Toscana, Lombardia e Veneto hanno messo a disposizione milioni di euro per finanziare assunzioni, tirocini e percorsi formativi. A livello nazionale, la legge 85/2023 ha introdotto un fondo dedicato ai giovani under 35 con disabilità, con incentivi economici per chi li assume a tempo indeterminato. Sono segnali importanti, che dimostrano una crescente sensibilità delle istituzioni. Ma da soli non bastano. Se mancano cultura aziendale e servizi territoriali efficienti, i fondi rischiano di rimanere sottoutilizzati.
Il decreto 62/2024 punta a dare una nuova definizione della condizione di disabilità e a un sistema più integrato di valutazione e presa in carico: «valutazione di base», «valutazione multidimensionale» e il cosiddetto Progetto di Vita individuale, personalizzato e partecipato. Si tratta di superare lattuale sistema frammentato tra sanitario, socio-sanitario e sociale, per mettere la persona con disabilità al centro, non solo come beneficiario ma come protagonista dei suoi bisogni e desideri o, ancora, di introdurre concetti importanti come laccomodamento ragionevole (adattamenti e misure per consentire la piena partecipazione) e un linguaggio più inclusivo.
Al di là delle leggi e degli incentivi, la barriera più grande è spesso culturale. Cè ancora lidea che una persona con disabilità sia meno produttiva, meno affidabile, più complicata da gestire. In realtà, esperienze di aziende virtuose dimostrano il contrario: con i giusti strumenti e con una mentalità aperta, i lavoratori con disabilità non solo svolgono con competenza le proprie mansioni, ma arricchiscono lambiente di lavoro con sensibilità e resilienza. Il problema, allora, è il passaggio da un modello assistenziale a uno inclusivo. Non ti assumo per farti un favore, ma ti assumo perché hai qualcosa di importante da dare.
Un altro nodo cruciale riguarda i servizi di collocamento. I Centri per lImpiego, che dovrebbero fare da ponte tra persone e aziende, spesso non hanno personale formato né strumenti adeguati ad accompagnare un inserimento mirato. Alcuni progetti pilota stanno sperimentando luso dellintelligenza artificiale per favorire il matching tra competenze e posizioni lavorative disponibili. È un segnale interessante: la tecnologia, se ben usata, può diventare un alleato nellinclusione.
Non basta dare un lavoro. Bisogna interrogarsi su quale tipo di lavoro. Troppo spesso, chi ha una disabilità viene confinato in mansioni marginali, prive di possibilità di crescita. Linclusione, invece, significa accesso a percorsi di carriera, formazione continua, smart working e accomodamenti ragionevoli che rendano lambiente realmente accessibile. Alla base di tutto, non ci sono solo numeri o incentivi economici: cè la dignità della persona. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità è chiara: il lavoro non è un favore, ma un diritto. E una società che esclude una parte dei suoi cittadini dal mondo produttivo è una società più fragile, che rinuncia a una ricchezza umana e professionale immensa.
Linserimento lavorativo delle persone con disabilità non è una questione che riguarda solo le aziende o i diretti interessati: riguarda tutti noi. È uno specchio del grado di civiltà di un Paese. La sfida, allora, è culturale prima ancora che normativa. Non si tratta di integrare chi è diverso, ma di riconoscere che la diversità è già parte del nostro tessuto sociale ed economico. Solo cambiando sguardo da obbligo a opportunità, da limite a risorsa potremo costruire un nuovo mondo in tema di disabilità.
Giuseppe Zingale per la Fondazione Anna Kuliscioff
17/11/2025
