L'impatto dell'intelligenza artificiale sul mercato del lavoro
Sebbene il ricorso all'intelligenza artificiale sia ancora piuttosto modesto, diversi fattori suggeriscono che i Paesi OCSE siano ormai prossimi a una rivoluzione in ambito lavorativo. Senza allarmismi: gli studi condotti finora non mostrano legami diretti tra l'adozione di AI e riduzione della forza lavoro delle aziende
Mentre in Europa proseguono i negoziati sullAI Act, con lobiettivo di essere la prima al mondo a dotarsi di una regolamentazione sul tema entro fine anno, cresce il dibattitto sullimpatto della tecnologia sulloccupazione. Tramite la raccolta di unenorme quantità di dati, è possibile rendere le macchine in grado di compiere azioni e "ragionamenti" complessi, imparare dagli errori, e svolgere funzioni finora a esclusivo appannaggio dell'intelligenza umana (alcuni esempi possono essere lassistenza legale e le diagnosi mediche), con il rischio di portare alla scomparsa di molti posti di lavoro. Secondo uno studio del Parlamento europeo, il 14% dei posti di lavoro nei Paesi dellOCSE sono automatizzabili e un altro 32% dovrebbe affrontare cambiamenti sostanziali. Anche se verranno creati nuovi e migliori impieghi, è dunque necessario che ci sia ladeguata formazione affinché i disoccupati possano accedervi e affinché ci sia una forza lavoro qualificata a lungo termine.
Nel suo ultimo rapporto annuale sul mercato del lavoro, lOrganizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico sottolinea come la porzione di imprese che adotta lintelligenza artificiale resti ancora limitata, complici soprattutto due principali ostacoli: in primis, i costi ancora elevati e, in secondo luogo, la mancanza di competenze specializzate. I costi di queste tecnologie stanno però rapidamente diminuendo e, al tempo stesso, cresce la disponibilità di lavoratori qualificati; fattori che, combinati al fatto che lAI è una cosiddetta general-purpose technology, ossia in grado di impattare lintera economia, indicano come lintelligenza artificiale potrebbe presto permeare il mercato del lavoro, in tutti i settori e in tutti gli impieghi.
Una delle motivazioni principali per adottare lAI è lincremento della produttività: lautomazione, infatti, promette di generare notevoli risparmi di costi e di guadagnare in efficienza, ottenendo un vantaggio competitivo, con un aumento stimato della produttività del lavoro tra l11% e il 37% entro il 2035 (studio del Parlamento europeo). Anche gli stessi lavoratori potrebbero trarne dei vantaggi, grazie alleliminazione di compiti pericolosi o ripetitivi e alla creazione di ruoli più complessi e maggiormente retribuiti. Dallaltra parte, però, non è da trascurare il rischio di perdita di posti di lavoro nel prossimo decennio, complice anche la capacità dellintelligenza artificiale di automatizzare mansioni non routinarie.
I lavori a "rischio di automazione"
Lutilizzo dellAI generativa (come ChatGPT) sta trovando applicazioni in un numero sempre maggiore di processi produttivi, impattando un più ampio range occupazionale. Da un punto di vista teorico, lintelligenza artificiale automatizzerà diversi compiti, creandone però al contempo di nuovi e aumentando la domanda di impieghi grazie agli incrementi di produttività.
Il potenziale impatto sul mercato del lavoro, quindi, resta ancora ambiguo, dipendendo da quale effetto sarà quello prevalente. In particolare, secondo lo studio OCSE, lautomazione generata dallAI può portare a un incremento della domanda di lavoro se i risparmi di costi ottenuti grazie allaumento della produttività avranno leffetto di spingere la domanda di beni e servizi finali prodotti dallazienda, portando a nuove assunzioni. Tale effetto produttività dovrà essere abbastanza forte da far sì che laumento di occupazione più che compensi la perdita di posti di lavoro a scapito dellautomazione.
Al momento, comunque, gli studi che hanno esaminato gli effetti dellAI sulloccupazione aggregata non hanno portato a risultati significativi, sebbene le aziende più esposte allintelligenza artificiale sembrino avere la tendenza ad assumere meno lavoratori senza competenze qualificate nel campo. Nonostante queste posizioni siano più esposte alla nuova tecnologia, infatti, diverse ricerche hanno concluso che i ruoli altamente qualificati hanno beneficiato di migliori prospettive occupazionali dopo lintroduzione dellAI, mentre al contrario i lavoratori poco qualificati potrebbero trovare maggiori difficoltà a trovare un impiego.
In ogni caso, lutilizzo dellintelligenza artificiale da parte delle aziende è ancora solo allinizio e, nel complesso, i tassi di penetrazione sono ancora bassi (secondo Eurostat, nel 2021 solo l8% delle aziende europee le utilizzava). I dati Eurostat mostrano che, tra i Paesi OCSE dellUnione, ladozione dellAI da parte delle imprese varia dal 23% in Irlanda, al 12% e 11% di Finlandia e Danimarca, fino al 3% di Ungheria e Slovenia e il 2% in Lettonia.
Anche per quanto riguarda lautomazione, bisogna considerare che lintelligenza artificiale, oltre a poter essere complementare al lavoro umano piuttosto che un sostituto, sia solo uno dei molti progressi tecnologici (ICT, robotica, ecc.) che potrebbero automatizzare i compiti svolti dalle persone, rendendo di conseguenza più difficile stimare limpatto dellAI sui livelli di occupazione. In media, tra i Paesi OCSE inclusi nel campione, i ruoli a maggior rischio di automazione contano per il 27% della forza lavoro, con il Lussemburgo che presenta la percentuale più bassa (17,7%) e lUngheria quella più alta (36,4%). LItalia risulta nelle ultime posizioni tra i Paesi maggiormente sviluppati con il 30,1%, contro il 28,7% della Germania e il 27,4% della Francia.
Figura 1 - Percentuale di occupazione a rischio di automazione
Fonte: OCSE/Eurostat
Uno studio dellUniversità di Trento, invece, ritiene che nei prossimi 15 anni in Italia i lavoratori a rischio di sostituzione tecnologica saranno 3,87 milioni (pari al 18% del totale) per quanto riguarda le singole mansioni, salendo a 7,12 milioni (33%) se si considerano invece le professioni automatizzabili nella loro interezza.
Se da una parte gli studi cercano di misurare le sovrapposizioni di compiti tra uomo e quello che lAI può teoricamente svolgere, dallaltra sembra molto più difficile prevedere quali tipi di mansioni verranno create dallo sviluppo tecnologico, sebbene anche in questo caso si possa intuire come presumibilmente riguarderanno lavori altamente qualificati. Per molti, invece, gli effetti dellintelligenza artificiale saranno visibili non in termini di perdita del posto di lavoro, ma piuttosto nei cambiamenti dei compiti svolti e della qualità del lavoro. Per i lavoratori con competenze complementari allAI, grazie alleffetto produttività, levoluzione delle mansioni dovrebbe essere accompagnata da un incremento dei salari, che potrebbero al contrario diminuire per chi svolge ruoli automatizzabili (effetto di sostituzione), con il rischio di accentuare ulteriormente le disuguaglianze nelle retribuzioni. Tuttavia, anche in questo caso, gli studi teorici dimostrano una certa ambiguità nei risultati, necessitando di più dati per trarre conclusioni più attendibili.
Lo studio OCSE prosegue ribadendo che, benché i dati raccolti finora non sembrino dimostrare per il momento un impatto significativo dellAI sulloccupazione, è probabile che gli effetti saranno maggiormente visibili sul lungo periodo, in particolare per quanto riguarda le competenze richieste per due ragioni principali: lobsolescenza (soprattutto per compiti manuali e cognitivi) e la maggiore domanda di capacità di sviluppo e utilizzo dellintelligenza artificiale. Sempre l'OCSE, in un lavoro precedente, evidenzia che le attività lavorative a rischio automazione sarebbero circa il 28% del totale, quasi il doppio rispetto a un report del 2018 pubblicato dalla stessa organizzazione, ma coinvolgerebbero meno del 10% della forza lavoro. Forza lavoro impiegata in prevalenza in settori legati alla produzione, alla costruzione, allallevamento e allagricoltura e al trasporto.
Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
17/8/2023