L'impatto dell'intelligenza artificiale sul mercato del lavoro

Sebbene il ricorso all'intelligenza artificiale sia ancora piuttosto modesto, diversi fattori suggeriscono che i Paesi OCSE siano ormai prossimi a una rivoluzione in ambito lavorativo. Senza allarmismi: gli studi condotti finora non mostrano legami diretti tra l'adozione di AI e riduzione della forza lavoro delle aziende

Bruno Bernasconi

Mentre in Europa proseguono i negoziati sull’AI Act, con l’obiettivo di essere la prima al mondo a dotarsi di una regolamentazione sul tema entro fine anno, cresce il dibattitto sull’impatto della tecnologia sull’occupazione. Tramite la raccolta di un’enorme quantità di dati, è possibile rendere le macchine in grado di compiere azioni e "ragionamenti" complessi, imparare dagli errori, e svolgere funzioni finora a esclusivo appannaggio dell'intelligenza umana (alcuni esempi possono essere l’assistenza legale e le diagnosi mediche), con il rischio di portare alla scomparsa di molti posti di lavoro. Secondo uno studio del Parlamento europeo, il 14% dei posti di lavoro nei Paesi dell’OCSE sono automatizzabili e un altro 32% dovrebbe affrontare cambiamenti sostanziali. Anche se verranno creati nuovi e migliori impieghi, è dunque necessario che ci sia l’adeguata formazione affinché i disoccupati possano accedervi e affinché ci sia una forza lavoro qualificata a lungo termine.

Nel suo ultimo rapporto annuale sul mercato del lavoro, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico sottolinea come la porzione di imprese che adotta l’intelligenza artificiale resti ancora limitata, complici soprattutto due principali ostacoli: in primis, i costi ancora elevati e, in secondo luogo, la mancanza di competenze specializzate. I costi di queste tecnologie stanno però rapidamente diminuendo e, al tempo stesso, cresce la disponibilità di lavoratori qualificati; fattori che, combinati al fatto che l’AI è una cosiddetta general-purpose technology, ossia in grado di impattare l’intera economia, indicano come l’intelligenza artificiale potrebbe presto permeare il mercato del lavoro, in tutti i settori e in tutti gli impieghi.

Una delle motivazioni principali per adottare l’AI è l’incremento della produttività: l’automazione, infatti, promette di generare notevoli risparmi di costi e di guadagnare in efficienza, ottenendo un vantaggio competitivo, con un aumento stimato della produttività del lavoro tra l’11% e il 37% entro il 2035 (studio del Parlamento europeo). Anche gli stessi lavoratori potrebbero trarne dei vantaggi, grazie all’eliminazione di compiti pericolosi o ripetitivi e alla creazione di ruoli più complessi e maggiormente retribuiti. Dall’altra parte, però, non è da trascurare il rischio di perdita di posti di lavoro nel prossimo decennio, complice anche la capacità dell’intelligenza artificiale di automatizzare mansioni non routinarie. 

 

I lavori a "rischio di automazione" 

L’utilizzo dell’AI generativa (come ChatGPT) sta trovando applicazioni in un numero sempre maggiore di processi produttivi, impattando un più ampio range occupazionale. Da un punto di vista teorico, l’intelligenza artificiale automatizzerà diversi compiti, creandone però al contempo di nuovi e aumentando la domanda di impieghi grazie agli incrementi di produttività.

Il potenziale impatto sul mercato del lavoro, quindi, resta ancora ambiguo, dipendendo da quale effetto sarà quello prevalente. In particolare, secondo lo studio OCSE, l’automazione generata dall’AI può portare a un incremento della domanda di lavoro se i risparmi di costi ottenuti grazie all’aumento della produttività avranno l’effetto di spingere la domanda di beni e servizi finali prodotti dall’azienda, portando a nuove assunzioni. Tale effetto produttività dovrà essere abbastanza forte da far sì che l’aumento di occupazione più che compensi la perdita di posti di lavoro a scapito dell’automazione. 

Al momento, comunque, gli studi che hanno esaminato gli effetti dell’AI sull’occupazione aggregata non hanno portato a risultati significativi, sebbene le aziende più esposte all’intelligenza artificiale sembrino avere la tendenza ad assumere meno lavoratori senza competenze qualificate nel campo. Nonostante queste posizioni siano più esposte alla nuova tecnologia, infatti, diverse ricerche hanno concluso che i ruoli altamente qualificati hanno beneficiato di migliori prospettive occupazionali dopo l’introduzione dell’AI, mentre al contrario i lavoratori poco qualificati potrebbero trovare maggiori difficoltà a trovare un impiego.

In ogni caso, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale da parte delle aziende è ancora solo all’inizio e, nel complesso, i tassi di penetrazione sono ancora bassi (secondo Eurostat, nel 2021 solo l’8% delle aziende europee le utilizzava). I dati Eurostat mostrano che, tra i Paesi OCSE  dell’Unione, l’adozione dell’AI da parte delle imprese varia dal 23% in Irlanda, al 12% e 11% di Finlandia e Danimarca, fino al 3% di Ungheria e Slovenia e il 2% in Lettonia.  

Anche per quanto riguarda l’automazione, bisogna considerare che l’intelligenza artificiale, oltre a poter essere complementare al lavoro umano piuttosto che un sostituto, sia solo uno dei molti progressi tecnologici (ICT, robotica, ecc.) che potrebbero automatizzare i compiti svolti dalle persone, rendendo di conseguenza più difficile stimare l’impatto dell’AI sui livelli di occupazione. In media, tra i Paesi OCSE inclusi nel campione, i ruoli a maggior rischio di automazione contano per il 27% della forza lavoro, con il Lussemburgo che presenta la percentuale più bassa (17,7%) e l’Ungheria quella più alta (36,4%). L’Italia risulta nelle ultime posizioni tra i Paesi maggiormente sviluppati con il 30,1%, contro il 28,7% della Germania e il 27,4% della Francia. 

Figura 1 - Percentuale di occupazione a rischio di automazione 

Figura 1 - Percentuale di occupazione a rischio di automazione

Fonte: OCSE/Eurostat

Uno studio dell’Università di Trento, invece, ritiene che nei prossimi 15 anni in Italia i lavoratori a rischio di sostituzione tecnologica saranno 3,87 milioni (pari al 18% del totale) per quanto riguarda le singole mansioni, salendo a 7,12 milioni (33%) se si considerano invece le professioni automatizzabili nella loro interezza. 

Se da una parte gli studi cercano di misurare le sovrapposizioni di compiti tra uomo e quello che l’AI può teoricamente svolgere, dall’altra sembra molto più difficile prevedere quali tipi di mansioni verranno create dallo sviluppo tecnologico, sebbene anche in questo caso si possa intuire come presumibilmente riguarderanno lavori altamente qualificati. Per molti, invece, gli effetti dell’intelligenza artificiale saranno visibili non in termini di perdita del posto di lavoro, ma piuttosto nei cambiamenti dei compiti svolti e della qualità del lavoro. Per i lavoratori con competenze complementari all’AI, grazie all’effetto produttività, l’evoluzione delle mansioni dovrebbe essere accompagnata da un incremento dei salari, che potrebbero al contrario diminuire per chi svolge ruoli automatizzabili (effetto di sostituzione), con il rischio di accentuare ulteriormente le disuguaglianze nelle retribuzioni. Tuttavia, anche in questo caso, gli studi teorici dimostrano una certa ambiguità nei risultati, necessitando di più dati per trarre conclusioni più attendibili. 

Lo studio OCSE prosegue ribadendo che, benché i dati raccolti finora non sembrino dimostrare per il momento un impatto significativo dell’AI sull’occupazione, è probabile che gli effetti saranno maggiormente visibili sul lungo periodo, in particolare per quanto riguarda le competenze richieste per due ragioni principali: l’obsolescenza (soprattutto per compiti manuali e cognitivi) e la maggiore domanda di capacità di sviluppo e utilizzo dell’intelligenza artificiale. Sempre l'OCSE, in un lavoro precedente, evidenzia che le attività lavorative a rischio automazione sarebbero circa il 28% del totale, quasi il doppio rispetto a un report del 2018 pubblicato dalla stessa organizzazione, ma coinvolgerebbero meno del 10% della forza lavoro. Forza lavoro impiegata in prevalenza in settori legati alla produzione, alla costruzione, all’allevamento e all’agricoltura e al trasporto.

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

17/8/2023 

 
 

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