Nuove tecnologie, potere di controllo datoriale e privacy del lavoratore

Pur vietando tuttora il controllo indiscriminato sull'attività dei dipendenti, la normativa che vigila sulla limitazione della privacy in ambito professionale si sta evolvendo di pari passo con le possibilità offerte dall'innovazione della tecnologia: come si restringe dunque il perimetro della riservatezza del lavoratore?

Gabriele Fava

Il potere di controllo in capo al datore di lavoro ha sempre trovato il proprio fondamento nella carta fondamentale, laddove - all’articolo 41 - è riconosciuta la libertà di iniziativa economica, purché questa venga esercitata nel rispetto della libertà e della dignità umana. L’intento della norma è chiaro: i limiti al suddetto potere devono contemperarsi con altri diritti meritevoli di tutela, quale ad esempio il diritto del lavoratore alla propria riservatezza. Con tale norma il costituente ha infatti voluto realizzare una chiara sintesi tra la libertà di iniziativa economica e la necessità che questa non sia assoluta ma che - esercitata in un’ ottica solidaristica - tenga conto dei limiti di legge.

Tuttavia, il bilanciamento di tali contrapposti diritti, da sempre esistente nello storico e conflittuale rapporto datore di lavoro/lavoratore, ha negli ultimi tempi subìto forti stravolgimenti a seguito dell’introduzione, nel modo dell’imprenditoria, di tecnologie sempre più avanzate. Oggi l’automazione è infatti entrata a far parte delle vite di tutti, diventando non solo un fenomeno legato alla sfera umana ma soprattutto al luogo di lavoro.

Di conseguenza, anche lo Statuto dei lavoratori ha subìto nel tempo modificazioni per l’effetto dell'innovazione tecnologica che ne ha sovvertito le logiche anche sotto il profilo del trattamento dei dati sensibili del lavoratore e della sua sfera riservata. E, invero, il D.lgs. n. 151 del 14 settembre del 2015 ha in pratica riscritto l’art. 4 della L. n. 300/1970, baluardo del diritto alla riservatezza in ambito lavoristico. In buona sostanza, il legislatore della riforma ha eliminato l’esplicito divieto di controllo a distanza dell’attività del dipendente - presente invece nella previgente formulazione dell’art. 4 cit. - introducendo la possibilità, per l’imprenditore, di utilizzare, a certe condizioni, apparecchi che consentono di controllare la prestazione lavorativa.

Nello specifico, con riferimento a quegli strumenti che consentono il controllo del lavoratore anche in maniera indiretta (si pensi ad esempio ai sistemi beacon, alle bodycam, ai sistemi di geo-localizzazione, etc.), l’art. 23 del D.lgs.del 2015 ha previsto la possibilità di un loro utilizzo esclusivamente per esigenze organizzative e produttive dell’imprenditore, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, subordinando la loro installazione a un ulteriore passaggio necessario: la sottoscrizione di un accordo collettivo con le RSA o RSU aziendali (o, in mancanza di questo, la previa autorizzazione da parte del competente Ispettorato Territoriale del Lavoro); ciò per il fatto che dall’implementazione di alcune forme di tecnologia, a volte fin troppo invasive, potrebbe giocoforza derivare un possibile controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Inoltre, ai sensi del nuovo articolo 4 cit., le informazioni raccolte tramite il suddetto sistema potranno ora essere utilizzate a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro - inclusi quelli disciplinari - a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nel rispetto del codice privacy e del Regolamento UE n. 679 del 2016.

In pratica, i controlli a distanza, ammessi a seguito delle modifiche disposte con l’art. 23 cit., pur non consentendo un controllo (anche indiretto) indiscriminato sull’attività dei dipendenti, ha di gran lunga ristretto il perimetro della riservatezza del lavoratore che, ante riforma, godeva di tutela in senso assoluto. Al contempo, però, tale drastica riduzione appare essere oggi un “male necessario” sempre più in crescita. Questo ad esempio il caso di alcuni strumenti tecnologici assai all’avanguardia - e che troveranno sempre più implementazione nelle nuove tecnologie aziendali in grado di percepire la fatica o l’emotività del lavoratore o, addirittura, a registrare dati appartenenti alla sua sfera intima, con ogni conseguenza in termini di utilizzo di tali informazioni sotto il profilo disciplinare. A tale riguardo, basti pensare ai werable device, capaci di monitorare lo stato di salute e l'attività fisica dei lavoratori o, ancora, ai rilevatori di stanchezza applicabili alla tastiera del computer connesso al luogo di lavoro.

Al momento tale strumentazione non trova disciplina nell’art. 4 dello Statuto né nel Regolamento UE 679 del 2016; tuttavia, non si tratta di soluzioni fantasiose e la rapidità con cui le nuove tecnologie entrano nel lavoro imporrà al nostro legislatore un ulteriore sforzo al cambiamento. Nell’attesa occorre però essere consapevoli che l’utilizzo degli strumenti tecnologici assume centrale importanza non solo perché questo ha riflessi notevoli sull’organizzazione delle imprese, ma, soprattutto, perché incide fortemente sulla sfera personale e più intima del lavoratore.

Gabriele Fava, Socio Fondatore e Presidente dello Studio legale Fava & Associati​​​

18/7/2019 

 
 

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