Occupazione in crescita nel 2023, ma pesano mismatch e bassi salari

Nel 2023 il tasso d'occupazione italiano ha toccato un nuovo record del 61,5%, restando però ancora ben al di sotto della media europea, complice anche l'elevato numero di inattivi. Persiste poi il problema delle retribuzioni, inferiori in termini reali rispetto ai livelli del 2013, unico caso in Europa

Bruno Bernasconi

Nel suo Rapporto Annuale, l’Istat sottolinea come nel 2023 gli occupati in Italia siano aumentati del 2,1% (+481 mila unità), con una crescita che rimane robusta dopo il +2,4% nel 2022 e il +0,8% nel 2021 e toccando nuovi record per il nostro Paese. Il tasso di occupazione (61,5%) continua però a essere largamente inferiore rispetto a Germania (77,2%), Francia e Spagna (rispettivamente 68,4 e 65,3%) e, più in generale, alla media UE (70,4%). Ciò conferma come, se da una parte il numero di disoccupati si è ridotto significativamente nel corso degli ultimi anni con un tasso di disoccupazione 2023 al 7,7% (inferiore di 2,2 punti percentuali rispetto al 2019), dall’altro permane un elevato tasso di inattività, che riguarda circa un terzo della forza lavoro e in prevalenza riferibile a donne e giovani. Infatti, il tasso d’occupazione femminile è del 52,5% rispetto al 65,7% della media europeo, mentre quello giovanile (15-24 anni) è al 20,8% contro il 35,2% europeo.

Figura 1 - Tassi di occupazione a confronto (2023)

Figura 1- Tassi di occupazione a confronto (2023)

Fonte: Eurostat

È evidente, dunque, come nel confronto con gli altri principali Paesi europei, il mercato del lavoro italiano presenti ancora un notevole ritardo in termini di partecipazione. Nel 2023, il tasso di inattività della popolazione di 15-64 anni (33,3%) resta il più alto della media dei Paesi dell’UE27 (25%), di cui il 42,4% riferibile alla componente femminile e il 24,3% a quella maschile.  

Il divario nei tassi di occupazione dell’Italia rispetto alla media europea può essere integralmente ricondotto – sottolinea l’Istat - alla debolezza del mercato del lavoro delle regioni del Mezzogiorno (nel 2023 il 48,2% di occupati) e alla scarsa partecipazione della componente femminile (con un tasso di occupazione pari al 52,5%, a fronte del 65,7% della media europea). Per contro, le regioni del Nord mostrano tassi in linea con quelli medi europei (69,4%) o addirittura superiori per la componente maschile (76,3% rispetto al 75,1%). 

Figura 2 - Tassi di inattività a confronto (2023)

Fonte: Eurostat

È poi interessante notare come negli ultimi decenni le caratteristiche dell’occupazione siano cambiate, accompagnando l’evoluzione dell’economia e della società. La direzione di questi cambiamenti è stata quasi sempre simile nelle grandi economie europee, anche se spesso con ritmi diversi. In particolare, il nostro Paese sta attraversando una significativa transizione demografica che inevitabilmente coinvolge anche la struttura del mercato del lavoro, con un progressivo invecchiamento della forza lavoro. Inoltre, l’allungamento dei percorsi di istruzione posticipa l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani, mentre le folte generazioni ormai adulte permangono vi più a lungo anche per effetto delle riforme del sistema pensionistico che si sono succedute nel tempo. Tali fenomeni sono poi accompagnati da un processo di terziarizzazione che accomuna tutte le maggiori economie europee e che comporta un ridimensionamento dell’occupazione nei comparti agricolo e industriale.

Di conseguenza, nell'ultimo ventennio la composizione dell’occupazione in Italia è cambiata sia in termini di soggetti coinvolti sia di caratteristiche che la definiscono. Sul totale della popolazione in età attiva, il tasso di occupazione è aumentato di circa 4 punti percentuali (dal 57,4% del 2004 al 61,5% del 2023), come risultato di dinamiche differenti per fascia di età: al calo tra i 15-24enni (da 27,3% nel 2004 fino a 20,4% nell’ultimo anno) è corrisposto un forte aumento per i 50-64enni (dal 42,3 al 63,4%), in particolare per le donne (da meno del 30 al 52,9% per questa fascia di età).

Figura 3 - Evoluzione del tasso di occupazione

Figura 3 - Evoluzione del tasso di occupazione

Fonte: Eurostat


La dinamica salariale e il problema del mismatch

Nel complesso, se da una parte gli ultimi dati mostrano un mercato del lavoro in crescita, dall’altra permangono alcuni problemi strutturali, tra cui i bassi salari e il mismatch tra domanda e offerta.

Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni, infatti, l’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica, complice innanzitutto la crescita contenuta delle retribuzioni, la cui riduzione del potere di acquisto è accelerata negli ultimi anni a causa dell’impennata inflazionistica. Tra le altre cose, a incidere sulle basse retribuzioni concorrono la contenuta intensità lavorativa e la ridotta durata dei contratti, con la diffusione di tipologie contrattuali meno tutelate e di lavori atipici che coinvolge quote ancora elevate di donne, giovani e stranieri, con il risultato che permane un più alto rischio di povertà tra le famiglie residenti in Italia rispetto alla media europea.

Negli ultimi dieci anni le retribuzioni lorde per dipendente in termini nominali hanno mostrato una crescita molto contenuta: nel complesso, tra il 2013 e il 2023, l’incremento è stato di circa il 16%, un dato che rappresenta poco più della metà di quello registrato nella media UE27 (+30,8%).

Il divario delle retribuzioni in termini reali risulta ancora più ampio rispetto alle altre grandi economie e, nel 2023, l’Italia è risultata l’unico Paese con un livello medio inferiore al 2013. Lo scorso anno, il potere di acquisto delle retribuzioni lorde è cresciuto nella media Ue27 del 3%, mentre in Italia è diminuito del 4,5%. Se si guarda alla dinamica dell’ultimo biennio, caratterizzato da un’alta inflazione, l’Italia presenta la dinamica peggiore in termini reali (-6,4% rispetto al 2021) seguita dalla Germania (-4,1%); perdite più contenute si osservano in Francia e in Spagna (rispettivamente -1,5% e -1,9%).

Nel triennio 2021-2023, le retribuzioni contrattuali orarie sono cresciute a un ritmo decisamente inferiore a quello osservato per i prezzi: tra gennaio 2021 e dicembre 2023 i prezzi al consumo sono complessivamente aumentati del 17,3%, mentre le retribuzioni contrattuali sono cresciute del 4,7%. Dopo un periodo di quasi 3 anni, la dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali è tornata, a ottobre 2023, a superare quella dei prezzi, grazie alla continua decelerazione dell’inflazione. Tuttavia, nel complesso, lo scorso anno la crescita salariale è risultata ancora inferiore a quella dell’inflazione: le retribuzioni contrattuali orarie nel 2023 sono aumentate del 2,9%, a fronte di una crescita dei prezzi al consumo del 5,9% che ha determinato un’ulteriore diminuzione in termini reali delle retribuzioni. 

Altro problema strutturale del mercato del lavoro italiano è il cosiddetto mismatch, ossia la mancata corrispondenza tra le competenze possedute dagli individui e quelle richieste dal mondo del lavoro per l’esercizio delle diverse professioni: un fenomeno per cui un alto numero di disoccupati (1.850.000, a cui si potrebbero aggiungere i 12 milioni di inattivi) convive con un alto numero di posti di lavoro vacanti. Una particolare forma di mismatch è rappresentata da quella parte degli occupati che, pur disponendo di un titolo di studio elevato, non svolge un’occupazione adeguata, con riflessi inevitabili anche sulle retribuzioni percepite. In generale, il mismatch verticale (sottoistruzione o sovraistruzione) può essere sintomo di una lenta risposta del sistema di istruzione e formazione alle esigenze del mercato del lavoro e di una scarsa capacità di assorbire risorse umane qualificate da parte di aziende o istituzioni. Nel 2023, tra gli occupati laureati, circa 2 milioni di persone (il 34% del totale) risultano sovraistruite rispetto all’occupazione che svolgono. Tra i più giovani (25-34 anni), sono più frequentemente sovraistruiti gli stranieri (52% contro il 36,9% degli italiani) e le donne (39,8% rispetto al 34,5% degli uomini). 

Nel complesso, i dati sopra esposti hanno inevitabili e gravose conseguenze a livello economico, sociale e sulle finanze pubbliche, a cui la politica non sembra essere ancora riuscita a dare risposte concrete di lungo periodo. Appare evidente la necessità di formulare degli interventi strutturali in grado di ricucire il gap con gli altri paesi, riducendo altresì il bisogno di misure di integrazione al reddito e bonus vari che sembrano aver sortito più l’effetto di ingrossare il debito pubblico che di contrastare effettivamente il progressivo impoverimento di famiglie e lavoratori. Retribuzioni più competitive potrebbero inoltre contribuire a garantire assegni pensionistici più generosi una volta giunti nella fase di quiescenza, forte preoccupazione soprattutto per giovani e donne con carriere discontinue. È evidente, infatti, che bassi salari e un livello di occupazione non ottimale compromettono il patto intergenerazionale alla base del sistema pensionistico, in una situazione ulteriormente aggravata dall’attuale trend demografico. 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

8/7/2024 

 
 
 

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