Smart working, è arrivata la resa dei conti

L'Osservatorio sullo smart working curato dalla School of Management del Politecnico di Milano fornisce un quadro dettagliato e aggiornato sulla diffusione del lavoro agile tra aziende private e della pubblica amministrazione. Il futuro dei lavoratori italiani è davvero davanti a un bivio? 

Lorenzo Vaiani

L’ultima edizione del Rapporto dedicato allo studio dello smart working, frutto del lavoro di ricerca ormai decennale da parte della School of Management del Politecnico di Milano, riporta un titolo autoesplicativo, "Smart Working: il lavoro del futuro al bivio" e che fa ben intendere come ormai, con la fine della situazione emergenziale legata alla pandemia da COVID-19, tanto le imprese quanto la pubblica amministrazione si trovino di fronte a una scelta perentoria rispetto all’organizzazione e impostazione del modello lavorativo.

Occorre, innanzitutto, cominciare dalla disamina di alcuni, importanti, numeri riportati nello studio dell'Osservatorio Smart Working. Il primo è relativo al numero di dipendenti che hanno lavorato da remoto negli 2 due anni, rispettivamente 4.070.000 nel 2021 e 3.570.000 nel 2022. La figura 1 riporta per gli anni 2021-2023 il dato di dettaglio sia per le aziende, suddivise tra Grandi imprese (oltre 250 dipendenti), PMI (tra 10 e 249 dipendenti) e microimprese (meno di 10 dipendenti), sia per la Pubblica Amministrazione (PA).

Come si osserva dalla figura, dopo il picco registrato nel corso del 2021, anno nel quale tutte le diverse realtà analizzate sono state sostanzialmente costrette, laddove possibile, all’impiego del lavoro da remoto, l’ultimo anno è stato caratterizzato da un generale assestamento. Se per le imprese di maggiori dimensioni si rileva una lieve crescita, da 1,770 milioni di dipendenti che hanno lavorato da remoto a 1,840 milioni, per tutte le altre tipologie di aziende - così come per la PA -  si osserva una contrazione: pari  120.000 unità per le piccole e medie imprese, 160.000 per le microimprese e quasi 300.000 per la PA. Quanto alle ragioni, all’interno dello studio viene messo chiaramente in luce come a ostacolare l’introduzione delle iniziative vi siano soprattutto barriere di carattere culturale, più accentuate nelle realtà più piccole o locali, come la resistenza da parte dei vertici delle aziende e l'assenza di un approccio al lavoro basato non sulla presenza ma sul raggiungimento degli obiettivi.

Figura 1 – Numero di lavoratori che hanno lavorato da remoto nel 201 e nel 2022 e stima per l’anno 2023

Figura 1 – Numero di lavoratori che hanno lavorato da remoto nel 201 e nel 2022 e stima per l’anno 2023

Fonte: Osservatorio Smart Working 2022, School of Management Politecnico di Milano
 

Lavoro agile, quanto e come incidono le dimensioni aziendali 

Per il 2023 viene ipotizzato un trend generale in linea con quanto finora osservato. Da un lato, la continua riduzione che riguarderà le aziende di dimensioni più contenute con un numero di dipendenti che avrà la possibilità di lavorare da remoto intorno ai 500.000, comportando così un sostanziale allineamento tra PMI e microimprese; dall'altro, sul versante opposto, si conferma l’incremento nell’utilizzo di tale forma di lavoro da parte delle imprese di maggiori dimensioni, con un numero di potenziali smart worker che dovrebbe sfiorare i 2 milioni. L’unica eccezione rispetto a questo trend è costituita dall’inversione di tendenza dell’amministrazione pubblica, legata, almeno in parte, alla necessità di risparmio energetico (che, come si vedrà in seguito, può essere di notevole portata) imposta da guerra in Ucraina e spinta inflattiva. 

Due ulteriori elementi permettono di comprendere le importanti differenze che ci sono fra i diversi soggetti indagati: il numero di giorni al mese concessi in smart working o con lavoro da remoto e l’incidenza percentuale del numero di realtà che concede queste forme di lavoro.

Se tra le aziende più grandi l’incidenza percentuale di quelle che concedono questa possibilità ai propri dipendenti è passata dall’81% del 2021 al 91% del 2022, tra le PMI e le microimprese il valore è sceso dal 53% al 48%, riduzione ancora maggiore considerando la pubblica amministrazione, che vede l’incidenza passare dal 67% al 57%. Va poi considerato che tra PA e imprese di dimensioni contentute è diffusa principalmente la possibilità di usufruire non tanto dello smart working “puro” quanto piuttosto del lavoro da remoto, forma di flessibilità di luogo concordata con la propria organizzazione che preveda la possibilità di lavorare da luoghi diversi dalla sede di lavoro abituale per una parte del tempo. Viceversa, tra le grandi imprese è più diffuso lo smart working in senso stretto, vale a dire un modello organizzativo, fondato sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

Oltre a una maggiore incidenza percentuale, nelle aziende di maggiori dimensioni è più elevato anche il numero di giorni di lavoro concessi in remoto, in media 9,5 al mese; dato che si riduce a 8 nella PA (numero di giorni raccomandato agli enti dal Ministero per la Pubblica Amministrazione) e addirittura a 4,5 nelle realtà private più piccole.

 

Smart working e possibili vantaggi... anche per l'ambiente! 

Si diceva in precedenza dei (notevoli) vantaggi legati al risparmio energetico per le organizzazioni che permettono ai propri dipendenti di lavorare da remoto. Punto rispetto al quale l’Osservatorio fornisce un’interessante stima sia per quanto riguarda gli impatti economici che quelli ambientali. 

Il modello elaborato utilizza come ipotesi base l’impiego del lavoro da remoto (in questo caso non è importante la differenza tra smart working e telelavoro) da parte di un dipendente per 2 giorni alla settimana, quindi circa 8 giorni al mese (vale a dire il valore a oggi indicato come ottimale dal Ministero per la Pubblica Amministrazione per gli enti pubblici). In questo scenario, dal punto di vista dell’impatto economico, il risparmio annuo netto per il dipendente sarebbe pari a circa 600 euro, valore che deriva dal minor costo legato allo spostamento casa-lavoro (stimato in una riduzione dei costi di circa 1.000 euro/anno) e compensato da un maggior costo legato all’aumento dei consumi domestici (circa 400 euro/anno in più). Anche per le organizzazioni ci sarebbero importanti vantaggi di natura economica, stimati in circa 500 euro/anno per postazione grazie all’ottimizzazione nell’utilizzo degli spazi e conseguente riduzione dei consumi.

I benefici, tuttavia, non finirebbero qui. Infatti, anche a livello ambientale i guadagni sarebbero di entità significativa e legati alla riduzione delle emissioni di CO2. Lo studio ha calcolato in particolare una diminuzione delle stesse di circa 450 Kg per persona, così stimata: una riduzione legata al minor spostamento casa-lavoro (circa 350 Kg di CO2) e un’ulteriore riduzione grazie alle minori emissioni prodotte dalle sedi di lavoro (circa 450Kg), compensate in negativo da un aumento delle emissioni domestiche (circa 300 Kg di CO2). A livello di sistema, considerando gli attuali 3,570 milioni di smart worker, si genererebbe una riduzione delle emissioni pari a 1,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica. 

 

In conclusione... 

Dati alla mano, l’utilizzo del lavoro da remoto genera importanti e innegabili vantaggi sia in termini economici che ambientali, e di cui potrebbero beneficiare in egual misura sia i dipendenti che le stesse organizzazioni; inoltre, l’adozione dello smart working consentirebbe di attrarre e trattenere maggiormente i talenti, oltre a generare un miglior benessere psicologico e relazionale, a differenza, invece, di quanto non accada ad esempio nel caso del "semplice" lavoro da remoto (per un'analisi di maggior dettaglio su questi aspetti si rimanda alla ricerca del Politecnico).

Ecco allora che il titolo dello studio appena sinteticamente commentato "Smart Working: il lavoro del futuro al bivio" fa venire alla mente, almeno a chi scrive, la poesia di Robert Frost La strada non presa che recita: “Divergevano due strade in un bosco ingiallito […] ed io presi la meno battuta, e di qui tutta la differenza è venuta”. Così come il protagonista dell’opera dell’autore americano anche le organizzazioni del nostro Paese, pubbliche o private che siano, si trovano di fronte a un bivio: da un lato la strada maggiormente battuta (e anche di più facile attuazione), ovvero l’implementazione di uno smart working “di facciata”, e che sarebbe meglio chiamare telelavoro, che preveda solamente la possibilità per i dipendenti di lavorare da remoto, con l’unico e pur significativo obiettivo di migliorare il loro work-life balance; dall’altro, vi è la strada meno battuta (e di più complessa realizzazione), vale a dire la costruzione di un “vero” progetto di smart working, che comporterebbe un profondo cambiamento dell’attuale disegno della sfera professionale, con lo sviluppo del lavoro per obiettivi e di una digitalizzazione "intelligente" delle attività, che consenta una quasi totale autonomia nella gestione sia dei propri spazi che dei propri tempi. 

 Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali      

22/11/2022

 
 
 

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