Welfare aziendale, a che punto siamo? Limiti, criticità e prospettive

I vantaggi del welfare aziendale per imprese e dipendenti sono ormai noti, così come riconosciuto da parte dello Stato è anche il suo valore sociale: eppure, il settore in Italia non appare ancora pienamente maturo. Quali gli ostacoli da superare nel prossimo futuro? 

Mara Guarino

Benché sia persino impossibile trovarne una definizione univoca all’interno dell’ordinamento giuridico, il welfare aziendale è ormai una realtà in Italia. Il settore è ancora ben lontano dall’essere maturo, come dimostra un’adesione ancora piuttosto disomogenea sia a livello territoriale (la gran parte delle iniziative si concentra infatti nel Nord Italia) sia per settore e dimensione delle imprese coinvolte (ancora limitato il coinvolgimento delle PMI) ma, grazie alle agevolazioni introdotte negli ultimi anni e a una crescente attenzione – anche mediatica – sul tema, il welfare aziendale si trova oggi in una fase di progressiva crescita.

                

Fonte: elaborazioni Itinerari Previdenziali su dati del Ministero del Lavoro (a fine novembre 2018) 

Il crescente bisogno e la corrispondente offerta di welfare aziendale muovono del resto anche dalla consapevolezza dei limiti del sistema pubblico di protezione sociale che, difficilmente potrà permettersi di reagire alle rinnovate necessità di una società in cambiamento (da ricordare, fra tutti, l’allungamento dell’età media l’atomizzazione dei nuclei familiari), attraverso un ulteriore incremento della spesa. Un quadro complesso e in chiaroscuro all’interno del quale il welfare aziendale può fornire un grande aiuto a tutti gli attori coinvolti e, di riflesso, all’intero sistema Paese. Se le imprese possono infatti beneficiare di strumenti con cui gratificare i propri dipendenti a costi resi inferiori dalle agevolazioni fiscali, i lavoratori hanno la possibilità di disporre sia di risorse attraverso cui rientrare - almeno in parte - dei costi sostenuti in maniera funzionale al proprio impiego (buoni pasto, tragitto casa-lavoro, etc) sia di coperture aggiuntive a quelle offerte dallo Stato in ambito previdenziale o sanitario (previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa, coperture assicurative per il caso della non autosufficienza, etc).

Un’autentica “terza via del welfare integrato” e si spiega allora più facilmente il perché lo Stato, costretto d’altra parte a fare i conti con risorse sempre più risicate, abbia riconosciuto pieno valore alla valenza sociale del welfare aziendale. Però, ancor di più all’interno di uno scenario politico ed economico in mutamento, i ma non mancano. La Legge di Bilancio per il 2019 segna ad esempio una prima battuta d'arresto in una serie favorevole di interventi a favore del welfare aziendale, che avevano invece fortemente caratterizzato le tre precedenti manovre finanziarie: in assenza di misure specifiche, la legge 145/2018 si "limita" infatti a indicare anche iniziative di conciliazione vita-lavoro e "di welfare familiare aziendale" tra quelle che potranno beneficiare delle risorse stanziate attraverso il Fondo per le politiche della famiglia. 

Tra ampie prospettive di miglioramento e criticità che si insidiano all’orizzonte, il futuro del settore dipenderà allora da 3 fattori indissolubilmente intrecciati tra loro: quadro normativo, ruolo della contrattazione collettiva e di secondo livello, soluzioni offerte dal mercato. Un occhio di riguardo andrà quindi rivolto tanto a possibili ulteriori cambiamenti e incentivi (e non solo di natura puramente fiscale) da introdurre nella disciplina vigente quanto dalla sensibilità dei diversi stakeholder coinvolti.

Quali, in particolare, i possibili ambiti di miglioramento del sistema? Ne abbiamo parlato con il Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.

Primo punto da tenere in considerazione è ad esempio «la necessità di semplificare, con particolare attenzione nei confronti delle piccole-medie imprese, le procedure di accesso al welfare aziendale», oggi spesso scoraggiate dalla complessità della burocrazia riguardante i “premi di produttività o di risultato”. Non si può del resto dimenticare chi il tessuto imprenditoriale italiano si compone essenzialmente di microimprese, per le quali non solo le rappresentanze sindacali interne sono pressoché assenti, ma persino l’adesione ad associazioni di categoria non è da considerarsi scontata. Ed ecco allora che «la scelta di non contemplare tra le “fonti istitutive del piano di welfare aziendale” il regolamento aziendale nella formula dell’accordo plurisoggettivo (come previsto invece per la previdenza complementare) rappresenta un importante ostacolo alla diffusione del welfare aziendale, solo in parte risolta dalla possibilità di usare i contratti territoriali, non sempre disponibili o allineabili alle esigenze di produttività e di risultato delle singole imprese», spiega il Prof. Brambilla.

Accantonando momentaneamente i rischi connessi all’introduzione di una dual tax con aliquote fisse, che avrebbe potuto mettere in discussione il sistema di agevolazioni fiscali che hanno notevolmente contribuito allo sviluppo del settore (per il momento, più limitato il raggio d’azione delle disposizioni effettivamente contenute in Legge di Bilancio), un secondo elemento da non sottovalutare è poi «la finalizzazione del welfare aziendale»: per favorirne ulteriormente lo sviluppo come sostegno complementare e integrativo del welfare pubblico, servono certo ulteriori (e più semplici) stimoli, da concedere però solo a fronte di “paletti” che impediscano ai pur importanti servizi a favore di tempo libero e benessere di prendere il sopravvento su prestazioni di natura sociale (previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa, LTC e assicurazioni sociali), familiare (libri di testo, istruzione, vacanze studio estive per i figli) o di sostegno più o meno diretto alla professione stessa (trasporti, etc).

Il tutto senza infine trascurare un ultimo ingrediente fondamentale, l’informazione, essenziale – come evidenziato anche in occasione dell’ultimo "Welfare Italia Forum" promosso dal Gruppo Unipol – per stimolare un approccio più proattivo e consapevole dei cittadini ai temi del welfare, pubblico e integrativo. «Per avere un’idea dell’impatto, anche economico, di una conoscenza spesso non adeguata in materia, basti del resto pensare quanto gli italiani spendano ancora troppo e male ad esempio nell’ambito della sanità», chiosa il Professore: circa 40 miliardi la spesa per sanità privata sostenuta nel 2017, meno della metà la spesa che sarebbe stata invece sostenuta qualora fosse intervenuta la mediazione di fondi sanitari.

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

16/1/2019

 
 

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