APE volontaria, addio!

Mancato rinnovo per l'APE volontaria. La Legge di Bilancio per il 2020, pur prorogando l'anticipo pensionistico nella sua versione "sociale" per un ulteriore anno, non si esprime sull'APE volontaria (e aziendale), ponendo di fatto termine alla sperimentazione nonostante si trattasse di un'opportunità a costo zero per lo Stato

Michaela Camilleri

Che il nostro sistema pensionistico necessiti di ulteriori forme di flessibilità è un fatto ormai ampiamente riconosciuto. Al contempo, intervenire per porre rimedio alle rigidità introdotte dalla riforma Monti-Fornero e proporre una soluzione credibile, e soprattutto sostenibile dal punto di vista finanziario, implica uno sforzo economico non indifferente. Mentre si discute quotidianamente di quale sarà la prossima “Quota” (102, 103, 41, mamma?), è passato quasi inosservato il mancato rinnovo dell’anticipo pensionistico volontario e aziendale: un’opportunità per agevolare il pensionamento anticipato dei lavoratori senza alcun esborso per lo Stato.

La Legge di Bilancio per l’anno 2020 ha infatti prorogato l’APE sociale ma non ha previsto il rinnovo dell’anticipo nelle sue versioni volontaria e aziendale. Eppure, a differenza della prima soluzione – comunque meritevole di attenzione perché dedicata a particolari categorie di lavoratori, come ad esempio disoccupati involontari o soggetti che assistono parenti in condizioni di handicap – queste ultime due opzioni non comportano alcun aggravio di costi per le finanze pubbliche.

Ricordando brevemente di cosa si tratta, l’APE, introdotta dalla Legge di Bilancio per l’anno 2017, è una misura di flessibilità pensata per consentire a chi ha raggiunto almeno i 63 anni di età di ritirarsi anticipatamente dal lavoro. Non si tratta di una prestazione pensionistica vera e propria, piuttosto è un “reddito ponte”, erogato dall’INPS o dalle banche che accompagna il lavoratore prossimo alla pensione fino all’effettivo pensionamento.

L’APE volontaria, in particolare, è un prestito erogato da un istituto di credito in rate mensili e restituito dal richiedente tramite un piano di ammortamento ventennale che prevede una trattenuta sulla pensione di vecchiaia comprensiva dei relativi interessi. La misura è rivolta ai lavoratori dipendenti pubblici e privati, ai lavoratori autonomi e agli iscritti alla Gestione Separata INPS (sono quindi esclusi i liberi professionisti iscritti alle Casse private) che rispondano ai seguenti requisiti: 

  • almeno 63 anni di età (63 anni e 5 mesi nel 2019) e almeno 20 anni di contributi; 
  • importo stimato della futura pensione mensile pari o superiore a 1,4 volte il trattamento minimo INPS (per i contributivi “puri” importo di pensione non inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale); 
  • non essere titolare di pensione diretta o di assegno ordinario di invalidità. 

Il prestito può durare dai 6 ai 43 mesi e l’importo varia tra un minimo di 150 euro mensili e un massimo calcolato tra il 75% e il 90% della pensione netta maturata al momento della domanda, a seconda dei mesi di anticipo richiesto. Un’altra caratteristica importante di questa soluzione di anticipo è che non obbliga il richiedente a cessare l’attività lavorativa, per cui il lavoratore può anche proseguire nel versamento dei contributi.

Nella sua declinazione aziendale, l’anticipo pensionistico prevede la possibilità che i datori di lavoro sostengano il costo dell’APE volontaria dei propri dipendenti. Si tratta, in altre parole, di una misura per agevolare il pensionamento dei lavoratori più anziani attraverso un contributo economico tale da far incrementare la pensione futura del richiedente e contenere di conseguenza la rata di ammortamento del prestito finanziario

Nello specifico, i datori di lavoro (escluse le pubbliche amministrazioni), gli enti bilaterali o i fondi di solidarietà settoriali possono, con il consenso del lavoratore, incrementare il montante contributivo individuale da lui maturato, versando all’INPS un contributo per ciascun anno o sua frazione di anticipo rispetto alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, non inferiore all’importo della contribuzione volontaria riferita alla retribuzione percepita prima del pensionamento. Prima del versamento contributivo occorre redigere un accordo scritto con il lavoratore, liberamente redatto e concordato, che non richiede il coinvolgimento sindacale o alcun requisito concernete la dimensione dell’azienda. Il datore di lavoro può dunque fornire al dipendente che accende all’APE volontaria una dote contributiva con una soglia minima (ma non un importo massimo), da versare una tantum entro la scadenza del versamento dei contributi del primo mese di erogazione dell’anticipo di pensione. 

Questo breve riepilogo degli aspetti peculiari dell’APE volontaria ci è utile per evidenziarne l’utilità, come peraltro già sostenuto dal Professor Alberto Brambilla all’entrata in vigore della misura. Nonostante possa sembrare costosa, si tratta(va) di una possibilità in più che il legislatore mette(va) a disposizione dei lavoratori che preferiscono anticipare il pensionamento anche a patto di vedersi ridurre la pensione futura (naturalmente non è un’operazione a costo zero per il lavoratore che deve restituire il prestito comprensivo degli interessi), ma che non costa nulla allo Stato.

Certo, la misura sarebbe stata senza dubbio migliorabile, riducendo ad esempio il costo dell’assicurazione, ma resta una “via d’uscita alternativa” in un sistema gravemente ingessato. Nella sua versione aziendale, poi, offre la facoltà di avvalersi del supporto di enti bilaterali e fondi di solidarietà settoriali, soggetti che in passato hanno ricoperto un ruolo fondamentale nell’agevolare l’esodo dei lavoratori del settore bancario e assicurativo, scaricando così anche il datore di lavoro dal costo diretto dell’operazione. Insomma… un’opportunità persa, anzi due!

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

27/1/2020

 
 
 

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