Chi sono gli "eredi" che possono riscattare il fondo pensione del defunto?

Potrebbe apparire un tema caro solo agli operatori della previdenza complementare, ma quel che si andrà a raccontare può mettere in parte in discussione il fondo pensione come strumento di "pianificazione successoria"...

Alessandro Bugli

Procediamo con ordine e partiamo dalla regola generale. Se l’aderente a un fondo pensione muore prima del diritto alla pensione complementare (vuoi perché non ha i requisiti per l’accesso alla pensione pubblica o non ha maturato cinque anni complessivi di iscrizione continuativa ad una o più fondi pensione), il montante presente nella forma complementare è destinato, nell’ordine:

  1. al beneficiario designato (o ai designati, se più d’uno); 
  2. agli eredi; 
  3. al fondo stesso per le forme collettive o per finalità da individuarsi tramite apposito decreto per le individuali. 

La regola è contenuta all’art. 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005. La previsione era stata modificata di recente, per il tramite del decreto delegato di recepimento della direttiva IORP II (d.lgs. 147/2018). Ma sul punto non si registravano grandi stravolgimenti. Il lemma “beneficiari” è ora sostituito da “soggetti”. Detto questo la modifica non sembra, almeno all’apparenza, foriera di modifiche di impostazione. Infatti, il cambio da “beneficiari” a “soggetti” sembra da collegarsi all’introduzione di una definizione all’art. 1, comma 3, lett. c-quater, del d.lgs. 252/2005, sempre per il tramite dello stesso decreto di recepimento. Il lemma “beneficiario” ha infatti assunto un significato diverso rispetto al passato e con questo sembra doversi riferire ora al soggetto che abbia diritto alle prestazioni pensionistiche complementari e non più ai “soggetti” designati dall’iscritto e titolati al riscatto in caso di sua morte.

Sintetizzando, sino alla pronuncia di Cassazione su cui a breve si dirà (e, salvo, altri precedenti, non conosciuti), la regola era molto semplice:

  • l’iscritto al fondo poteva designare i soggetti che desiderava ricevessero i suoi risparmi in caso di sua morte prima della pensione. Questi soggetti ricevono a titolo proprio, cioè possono richiedere i risparmi presenti nel fondo pensione senza dover accettare l’eredità del defunto (ammesso che i “beneficiari” rientrino nella schiera dei successibili);
  • ove l’iscritto abbia omesso di indicare un “beneficiario”, saranno i suoi eredi testamentari o legittimi a poter incassare questi importi, con le regole di cui sopra. Cioè a titolo proprio e in quote uguali (salva diversa indicazione). Per poter incassare questi importi gli “eredi” non devono necessariamente accettare l’eredità, essendo sufficiente che siano individuati come “chiamati” a succedere. In sostanza, è sufficiente che il nominativo sia presente in un testamento valido o che lo stesso soggetto rivesta un grado di parentela o coniugio ai fini della successione legittima.

A riprova di questa impostazione, si legga (tra l’altro) la posizione di COVIP in riposta ad un quesito del 2009 (oltre all’Orientamento del 15 luglio 2008): “L’indicazione, contenuta nell’art.14, comma 3 del d.lgs.252/2005, degli eredi quali soggetti legittimati a riscattare la posizione dell’iscritto, in mancanza di designati, non vale, dunque, ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, atteso che tale norma concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte dell’iscritto, la qualità di chiamati all’eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell’eredità da parte degli stessi”. L’argomento sarebbe sorretto, tra l’altro, dall’applicazione analogica di altra disposizione di legge, quella valida per le assicurazioni vita (art. 1920, comma 3, c.c.) e relativa giurisprudenza. Cfr., ex multis, le seguenti statuizioni della Suprema Corte:

  • “L’eventuale designazione dei terzi beneficiari con la categoria degli eredi legittimi dell’assicurato - contraente o con gli eredi testamentari non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, poiché, invece, tale designazione concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all’eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell’eredità da parte degli stessi” (Cass. 23 marzo 2006, n. 6531)
  • “Consegue che, al fine della determinazione concreta dei beneficiari de quibus, le norme sulla rinunzia e sull’accettazione dell’eredità non hanno alcuna rilevanza, decisiva essendo, invece, solo la qualifica, al momento della morte del contraente (l’assicurazione), di chiamato all’eredità: e ciò perché l’indennizzo non entra a far parte del patrimonio del defunto. E i beneficiari, così individuati, divengono titolari di un diritto autonomo, che rinviene la sua fonte direttamente nel contratto di assicurazione. La sentenza impugnata dev’essere pertanto cassata, e la causa va rinviata ad altro giudice, il quale si atterrà al seguente principio: nel contratto di assicurazione per il caso di morte il beneficiario designato diviene titolare di un diritto proprio alla prestazione cui è tenuto l'assicuratore, e cioè di un diritto che gli deriva dal contratto di assicurazione: consegue che la designazione la quale indichi gli ‘eredi legittimi o testamentari’ concreta mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, e costoro pertanto di vengono titolari di un diritto autonomo, che trova al sua fonte nel contratto (di assicurazione); essi vanno individuati in coloro che rivestano, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità di costui, e sono pertanto irrilevanti, al fine, la (successiva) rinunzia o accettazione dell’eredità da parte degli stessi” (Cass. 14 maggio 1996, n. 4484).

Già in passato si era già avuto di intervenire su questa impostazione, stante un revirement  della Cassazione  che – in ambito assicurativo e, quindi, analogicamente, aderendo al collegamento funzionale sostenuto da COVIP tra le due materie (polizze vita e fondo pensione) – aveva posto in dubbio la correttezza di liquidare il montante agli eredi legittimi in quote pari tra loro, sostenendo che dovesse farsi applicazione delle proporzioni contenute nel Codice Civile

Se, quindi, la regola è – e rimane – quella per cui i risparmi complementari del lavoratore non andranno persi in caso di premorienza rispetto alla pensione, sino a qui si era sicuri che questi sarebbero passati (indifferentemente che si trattasse dei beneficiari designati o, in assenza, degli eredi), a titolo proprio e in quote uguali in caso di più beneficiari e eredi. In più, ed è questo il tema che ci occupa, gli importi sarebbero stati conferiti ai “potenziali” eredi, in assenza di beneficiari, senza che questi fossero chiamati ad accettare l’eredità.

Con propria Ordinanza del 19 luglio 2019, n. 19571, la Corte di Cassazione (sez. Lavoro. Rel. Fernandes e Pres. Manna), all’esito di un lungo contenzioso con il coniuge di un iscritto  a previdenza complementare e deceduto, si è spesa in totalmente contrari rispetto all’impostazione data da COVIP, affermando che: “per eredi deve intendersi … coloro che, chiamati all’eredità l’abbiano accettata”. E, così, a questo punto, la lettura dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005, andrebbe rivista rispetto ai termini descritti, dovendosi affermare che: in caso di assenza di beneficiari designati, gli eredi potranno riscattare il montante presso il fondo pensione, solo nel caso in cui abbiano preventivamente accettato l’eredità.

Da quel che si può cogliere dal giudizio, il caso è emblematico. Alla morte del lavoratore, la moglie richiede l’integrale liquidazione del montante, asserendo di essere l’unica erede. La moglie era l’unica ad aver accettato l’eredità, rispetto ai quattro possibili eredi del lavoratore (gli altri tre non avevano accettato l’eredità o era decaduti dal diritto di accettarla).

Il fondo resisteva, anche in forza delle indicazioni date al mercato da COVIP, sostenendo che finché gli altri tre “eredi” non avessero rinunciato al loro diritto di riscatto e avessero perso tale diritto per prescrizione, alla moglie potesse liquidarsi solo un quarto del montante. La Corte, oltre a smentire nei termini detti la posizione del fondo, sentenziava: “Ovviamente non possono essere considerate cogenti in questa sede le indicazioni fornite dal presidente dell’autorità di vigilanza (COVIP) riportate dal ricorrente Fondo a sostegno del proprio assunto”. Insomma, il fatto di essersi adeguati alle indicazioni dell’Authority non può essere addotto come argomento per giustificare il proprio operato.

Game over, per il momento.

L’articolo 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005 (stante la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e salvo riuscire con altro giudizio a convincere la stessa o altra sezione a rimettere la questione alle Sezioni Unite) deve essere oggi così letto:

  1. alla morte del lavoratore, il montante si liquida ai “soggetti” designati, i quali ricevono a titolo proprio e in quote uguali (salva diversa indicazione dell’iscritto e salva la Cassazione richiamata in precedenza in caso di indicazione generica dei beneficiari con la formula “i miei eredi”);
  2. se non ci sono “soggetti” designati, allora il montante si liquida agli “eredi” (che abbiano accettato l’eredità) a titolo proprio e in quote uguali (così la Corte nella Ordinanza citata);
  3. nel caso non vi siano né gli uni né gli altri, allora si applicano le regole generali sulla devoluzione al fondo e domani, per le forme individuali, quelle dell’atteso decreto ex art. 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005.

Non si creda neanche per un momento che la differenza di cui al punto 2 di cui sopra rispetto al passato sia tema da “Azzeccagar(B)ugli”.

Se gli “eredi” devono accettare l’eredità per riscattare il montante, oltre alle complessità operative di cui si dirà, la funzione di pianificazione successoria del fondo pensione viene ad essere parzialmente compromessa. Per capirci, uno degli argomenti che in passato avrebbero dovuto essere valorizzati (al di là del quasi unico riferimento ai benefici fiscali) per stimolare le adesioni vi era proprio quello di consentire – anche in assenza di designazione – ai propri eredi di ricevere gli importi, senza necessariamente accettare l’eredità, di modo da poter avvantaggiarsi del risparmio del proprio caro, evitando ad esempio di succedere negli eventuali debiti di quest’ultimo (cosa che accadrebbe accettando l’eredità). Il papà o la mamma tramite i propri risparmi previdenziali potevano (e, possono ancor oggi, ma solo nel modo che diremo) garantire un sostentamento ai propri eredi, anche in presenza di creditori terzi (banche, istituzioni o altro). Gli eredi avrebbero comunque avuto accesso al montante, senza per questo impelagarsi in travagliate vicende successorie e nelle relative indagini, spesso anticipate da accettazioni con beneficio di inventario.

Non è questa la sede per commentare in termini tecnici l’intervento della Corte, essendo questo pezzo finalizzato prevalentemente a dare atto della novità e dei suoi impatti (pur riservandomi di tornare in argomento), ma alcune brevi considerazioni si rendono comunque necessarie:

  1. l’impostazione della Corte sembra a tutti gli effetti coerente con quanto avviene per altre materie e disposizioni di legge. A ben vedere, la materia assicurativa non affianca mai alla figura del beneficiario quella dell’erede, e quindi una lettura sistematica ci porterebbe a dire che la lettura della Corte sia attenta a valorizzare questo differenziale e, così, le considerazioni di COVIP resterebbero effettivamente valide e sostenibili, ma solo per la parte della norma che fa riferimento al “beneficiario” designato (oggi “soggetto” designato). Riprendendo la più attenta e autorevole dottrina civilistica (v. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato) si ricorda come: “…talvolta la legge attribuisce un dato diritto ad un soggetto solo in quanto questi sia erede del titolare del diritto stesso già defunto: l’acquisto del diritto non è dunque mortis causa, ma l’accettazione dell’eredità è condicio sine qua non per l’acquisto del diritto”. A sostegno di questa lettura, l’Autore richiama gli esempi dell’art. 2284 c.c., in materia di società semplice e morte del socio, o dell’art. 6 della L. 392/1978, in tema di morta le conduttore e successione degli eredi. Seguendo questa impostazione, la Corte sembrerebbe essersi mossa in coerenza agli esempi (senza tuttavia svolgere per espresso alcun esercizio logico in tal senso) e avere valorizzato la lettura dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005 nei termini detti;
     
  2. se questa fosse la lettura più corretta e sistematica della materia, resterebbe da chiedersi se veramente questa possa dirsi coerente con la ratio legis che deve infiltrare (nella nuova lettura dell’art. 12 delle Preleggi) anche testi apparentemente chiari nel loro dettato (e sulla chiarezza dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005 si può comunque dubitare). Recita l’art. 12 citato: “Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. Si dubita che il passaggio dal d.lgs. 124/1993 al d.lgs. 252/2005 avesse in animo di introdurre regole così articolate e francamente prive di “mordente” in termini di finalità. Sembrerebbe  più rispondente alla volontà del Legislatore la finalità di fornire un criterio semplice per la liquidazione del riscatto in caso di mancata individuazione nominativa dei beneficiari; in altre parole, facendo riferimento agli eredi sarebbe possibile superare il problema, appunto, della mancata designazione di specifici individui, in modo che il fondo pensione possa procedere a ripartire le prestazioni previdenziali in modo certo ed in tempi rapidi. Ciò in linea con altra pronuncia storica della Corte, che mosse anche IVASS a rendere (di fatto) la sentanza a regola per l’intero settore assicurativo, per snellire e velocizzare la liquidazione evitando “cocktail giugulatori”. Si veda: Cass. 17024/2015, allora e ancora non condivisa da chi scrive. A ben vedere, nel vecchio testo di legge si distingueva tra fondi collettivi e fondi individuali, cambiando solo i destinatari. Per i primi (i collettivi): il coniuge ovvero dai figli ovvero, se già viventi a carico dell'iscritto, dai genitori; per i secondi (quelli individuali): genericamente gli eredi. Anche allora, si sarebbe dovuto quindi sostenere (e, se lo si è fatto, si è sbagliato, essendovi tra i fondi individuali anche le polizze vita per cui vale la regola del beneficio anche generico: es. “i miei eredi”) che nei fondi collettivi, i parenti e il coniuge ricevevano il montante senza necessità di accettare l’eredità, mentre negli individuali il riscatto necessitava l’accettazione dell’eredità. Una discriminazione priva di senso, stante l’identico fine previdenziale di tutte le forme in commento. Così, nell’evoluzione della normativa di settore, si dovrebbe ritenere che il lemma “erede” non abbia cambiato casacca. Non convincerebbe quindi del tutto fare riferimento, anche se la Cassazione non vi ha nemmeno tentato, essendo apodittica sul punto, alle norme richiamate al pungo a. Tutte quelle disposizioni non consentono in alcun modo al de cuius di modificare potestativamente l’ordine dei successbili. Per capirci, è la legge a dire chi succederà nella società semplice e nella locazione, senza lasciare alcuna discrezionalità al soggetto di interesse. Non così nel caso dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005, dove si intuisce pianamente la volontà del legislatore di premiare, prima di tutto la volontà del de cuius. Se, quindi, il designato può ricevere gli importi, limitandosi a subire la trattenuta fiscale, perché obbligare finalisticamente gli eredi di quest’ultimo a dover accettare l’eredità (e, quindi, anche i potenziali debiti dell’iscritto)? Il tutto al netto di quanto si dirà al punto “d”. L’unico argomento speso dalla Cassazione è poi quello che meno convince. La Corte giustifica la sua lettura sulla considerazione che: “… che la norma intenda riferirsi a coloro che hanno acquistato la qualidicia di eredi è dimostrato dalla previsione in esso contenuta secondo cui solo nell’ipotesi in cui l’aderente non abbia indicato dei beneficiari e non vi siano eredi è prevista la devoluzione dell’intera posizione individuale maturata – e non di una parte – a finalità sociali”. Salvo disporre di un testo di decreto non aggiornato, non è dato rinvenire questo riferimento alla liquidazione dell’ “intera” posizione (v. art. 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005: “In caso  di  morte  dell'aderente  ad  una  forma  pensionistica complementare prima della maturazione del  diritto  alla  prestazione pensionistica l'intera posizione individuale maturata  è riscattata dagli eredi ovvero dai diversi soggetti dallo  stesso  designati, siano  essi  persone  fisiche  o  giuridiche.  In  mancanza  di  tali soggetti,  la  posizione,  limitatamente  alle  forme  pensionistiche complementari individuali, viene  devoluta  a  finalità  sociali secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro  e delle politiche sociali.  Nelle forme  pensionistiche  complementari collettive,  la  suddetta  posizione  resta  acquisita  al  fondo pensione”). Il lemma “intera” è utilizzato con riferimento al diritto alla prestazione dei soggetti designati e degli eredi e non è richiamato in caso di devoluzione al fondo e francamente non sembra afferire ad una logica di necessaria unitarietà della prestazione, quanto invece al diritto dei soggetti indicati di riscattare tutto il montante (a patto di averne diritto). Si immagini, a riprova di questa considerazione, il caso in cui si proceda alla seguente designazione: “il montante è riscattabile in caso di morte per metà da parte di Tizio e per l’altra metà da parte di Caio”. Se Caio non fosse più vivo e non avesse eredi, nel ragionamento della Corte, il 50% del montante di cui si discute andrebbe liquidato a Tizio e non invece agli eredi o al fondo; data una asserita indivisibilità del montante stesso. Il che francamente non convince;
     
  3. un siffatto rigore formalistico (se non ripensato o in assenza di modifica di legge) raggiunge l’assurdo quando l’iscritto dovesse genericamente designare come “soggetti” deputati al riscatto i suoi “eredi”. In quel caso, che si dovrebbe fare? Applicare la stessa regola valida per i prodotti assicurativi (PIP, in primis) a tutti i fondi e quindi liquidare senza necessaria accettazione dell’eredità, oppure trattare i fondi chiusi e aperti in modo diverso? Si capirà la stranezza di una simile lettura;
     
  4. Così, aderendo all’impostazione per cui se gli eredi sono indicati come “soggetti” beneficiari, allora questi possono ricevere anche senza accettazione dell’eredità, sarebbe sufficiente cambiare la modulistica e chiarire che in caso di mancata indicazione del “beneficiario”, si intenderà designato come tale l’erede o gli eredi legittimi o testamentari (o, meglio ancora, il “chiamato” all’eredità). Qui la liquidazione non sarebbe più data ai sensi di legge, ma di contratto, con possibile superamento delle criticità esposte dalla Corte. Il lemma erede assumerebbe la valenza di indicazione “per genere” dei designati, senza applicazione della prima parte dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. 252/2005, per cui in assenza di designazione, si liquida agli eredi (qui, si ripete, la designazione vi sarebbe per fatti concludenti, a patto di essere molto chiari con gli aderenti). Resta naturalmente il tema delle iscrizioni c.d. “contrattuali” fatte dal datore e i conferimenti taciti di TFR, qui non si è al cospetto di un’adesione con sottoscrizione da parte dell’interessato e, quindi, il gioco della designazione per fatti concludenti potrebbe non tenere. Ma, ancora, una volta, richiamando la disciplina del contratto a favore di terzi, quando si presenti l’avvenuta iscrizione per legge o per contratto collettivo, si potrà comunicare all’iscritto che si sono designati quali beneficiari, nel suo interesse e in attesa di eventuale modifica da parte del lavoratore, i suoi eredi testamentari o legittimi;
     
  5. Senza che questo tema possa interessare la Cassazione, le complicazioni operative date per i fondi di gestire e attendere il compimento delle vicende successorie potrebbe essere particolarmente complesso. Si immaginino le tematiche legate alla presenza o meno di un testamento. Alla sua eventuale impugnazione. Alle liti sul titolo di erede o meno di un determinato soggetto. L’unica via sarebbe quella di depositare gli importi su un conto dedicato e lasciare che si sia prudenzialmente definita l’intera vicenda successoria, pena liquidare oltre il termine semestrale di legge. I termini per accettare l’eredità, pur se contenibili con inviti ad accettare, sono lunghi;
     
  6. Detto questo, vi è anche un tema di responsabilità del fondo che, ove effettuasse in modo scorretto la liquidazione rimarrebbe esposta in proprio verso uno o più degli eredi, salve azioni di recupero (altrettanto lunghe e complesse) sui soggetti che abbiano ingiustamente percepito questi importi;
     
  7. Veniamo, poi, ad un tema delicato. Il passato. L’apertura della Cassazione può mettere in discussione le liquidazioni effettuate e riaprire la via a richieste di pagamento non prescritte da parte di soggetti come la controricorrente nel giudizio citato. Un rischio non trascurabile e peraltro sconosciuto al settore, essendosi adeguati alle linee guida COVIP. Sebbene si condivida l’impostazione data dalla Commissione, pur se per ragioni diverse da quelle poste a fondamento della sua originaria impostazione e qui solo accennate.

Come si vede, trattasi di temi non trascurabili che imporrebbero (GDPR a parte) di comprendere se esistano giudizi in essere di questo tipo e cercare di orientare diversamente la giurisprudenza (magari agendo in prevenzione, per un accertamento negativo a fronte di un eventuale reclamo) o intervenire altrimenti per via legislativa. Nel frattempo, ovviamente, la Commissione di Vigilanza sarà chiamata a esprimersi sul se e come procedere.

Si tornerà in argomento.

Alessandro Bugli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Studio Legale Taurini&Hazan

23/9/2019 

Si ringrazia il Fondo Pensione Laborfonds, fondo pensione complementare per i lavoratori dipendenti dai datori di lavoro operanti nel territorio del Trentino-Alto Adige, per il prezioso contributo all’ideazione del presente articolo

 
 
 

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