Fondi pensione, cosa ci insegnano le performance degli ultimi 15 anni

Quanto ha reso l'adesione alla previdenza complementare negli ultimi 15 anni? Alcuni spunti di riflessione, e alcune ipotesi sui possibili scenari futuri, a partire dai rendimenti dei comparti censiti dal Comparatore dei Fondi Itinerari Previdenziali

Leo Campagna

In fasi come questa, in cui i mercati finanziari evidenziano una certa instabilità, si sente spesso ripetere il concetto che gli investitori dovrebbero guardare al di là delle turbolenze momentanee. Occorre cioè basarsi sulle effettive personali esigenze e, in funzione della propensione al rischio, affidarsi a portafogli durevoli per il lungo termine (10-15 anni). Questo è ancora più valido per i fondi pensione, la cui mission è proprio quella di accumulare negli anni un capitale che servirà a determinare alla fine dell’attività lavorativa l’assegno integrativo alla pensione statale.

Ma quanto hanno reso i fondi pensione negli ultimi 15 anni? Dal 31 dicembre 2006 al 28 febbraio 2022 il rendimento medio di tutte le linee dei fondi pensione aperti censite dal Comparatore dei Fondi Itinerari Previdenziali si è attestato al +46,1% (ovvero al +2,6% annuo composto). Al di sopra delle media si collocano i fondi pensione aperti azionari (+60,2%, ovvero il 3,2% annuo), quelli bilanciati (+52,4%, pari al +2,9% annuo), e quelli bilanciati obbligazionari (+48,1%, cioè il 2,7% annuo). Sotto la media, invece, sia i fondi pensione aperti obbligazionari (+37,1%, ovvero il 2,1% annuo) che quelli garantiti (+29,1%, pari all’1,7% annuo).

Fare previsioni per i prossimi 15 anni è piuttosto complesso. Tuttavia qualche ragionamento si può fare. Intanto, per i prossimi 2-3 anni (almeno) l’inflazione resterà sostenuta e, negli anni successivi, dovrebbe attestarsi su livelli molto superiori a quelli medi degli ultimi 10-15 anni. Infatti, come hanno avuto modo di sottolineare di recente alcuni importanti asset manager statunitensi, l’invasione russa dell’Ucraina ha sancito la fine della globalizzazione. Di conseguenza, gran parte dei vantaggi, in termini di efficienza dei costi aziendali, derivanti dalle catene di approvvigionamento globali, cesseranno.

In secondo, luogo le quotazioni azionarie stazionano su valutazioni piuttosto tirate, anche rispetto a quelle di 15 anni fa. In terzo luogo, il mercato obbligazionario difficilmente potrà ripercorrere quanto fatto negli ultimi anni, quando i tassi di molti emittenti (compresi anche i titoli di Stato italiani) sono precipitati in territorio negativo. Basti pensare che il Treasury decennale USA 15 anni fa mostrava un rendimento del 4,6%  per poi scendere nel corso degli anni successivi fino allo 0,6% dell’estate 2020. Attualmente si attesta al 2,4% ed è molto probabile che possa salire ancora nei prossimi trimestri.

Insomma, per gli investitori è sempre più difficile scegliere il comparto più appropriato alle proprie esigenze ma anche capace di fornire un rendimento reale (al netto cioè dell’inflazione) positivo nei prossimi anni. In quest’ottica, servirà farsi assistere da un consulente di fiducia per evitare di vedere depauperati gli sforzi di risparmio per costruirsi una pensione di scorta.

Leo Campagna

15/4/2022

 
 

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