Fondi pensione, dove guardare oltre al reddito fisso

Dopo un anno da dimenticare come il 2022, l'aumento dei rendimenti obbligazionari sembra aver quantomeno "ripristinato" la funzione di stabilizzatore di portafoglio del reddito fisso: alcune considerazioni alla luce delle ultime performance registrate dal Comparatore dei Fondi Itinerari Previdenziali

Leo Campagna

Il 2023 dei mercati finanziari sembra iniziato con un passo diverso rispetto a un 2022 da dimenticare. Che quello appena concluso sia stato un anno contraddistinto da un calo storico contemporaneo per azionario, obbligazionario e portafogli bilanciati lo si evince facilmente osservando le performance dei fondi pensione aperti censiti dal Comparatore dei Fondi di Itinerari Previdenziali. Tra gennaio e dicembre 2022, l’arretramento medio è del -10,5%, mentre quello dei comparti azionari è del -11,4% e quello dei garantiti del -9,8%, passando per i bilanciati (-11,3%), i bilanciati obbligazionari (-10,2%) e gli obbligazionari (-10,1%). 

Il forte aumento dei rendimenti obbligazionari sembra che abbia ripristinato almeno la funzione di stabilizzatore di portafoglio del reddito fisso. Adesso, alla luce di una probabile recessione in arrivo e ulteriori (ma contenuti) rialzi dei tassi, prevale la preferenza verso i titoli di Stato dei Paesi core (USA e Germania in primis) e per le obbligazioni con rating investment grade, in particolare quelle con scadenza compresa tra 1 e 5 anni che dovrebbero essere meno esposte a possibili ulteriori rialzi dei tassi da parte delle Banche Centrali. 

Nell’azionario, invece, sembra prevalere la prudenza. È vero che c’è stata una correzione dai massimi di inizio 2022 (soprattutto a Wall Street e ancora più in particolare nel segmento growth) ma il recupero dai minimi di ottobre ha riportato le valutazioni su livelli non più molto convenienti rispetto alla medie storiche. Almeno per quanto riguarda l’azionario statunitense che tratta ancora su un rapporto prezzo/utile prospettico di 17, ipotizzando un incremento dei profitti annuali del 6% dell’indice S&P 500. In realtà sono in molti a ritenere più probabile un taglio dei profitti 2023 delle aziende USA, taglio che proietterebbe il p/e dell’S&P 500 verso quota 19. Più promettente, invece, sembra il contesto per le azioni europee che hanno beneficiato del crollo dei prezzi dell’energia: quasi definitamente azzerati i dubbi sulle possibili restrizioni al sistema industriale europeo (tedesco e italiano in particolare). 

A questo proposito va ricordato che dal 2015 al 2020 la sottovalutazione relativa dell’azionario Europa (indice Stoxx 600) rispetto a Wall Street (indice S&P 500) è oscillata in un trading range compreso tra il 10% e il 20%. Dalla pandemia il divario si è rapidamente allargato portandosi a fine 2021 oltre il 35%. Solo nel corso del 2022 si è in parte riportato a -30% confermando quindi che l’azionario Europa è ancora sottovalutato rispetto a quello USA anche guardando alle medie storiche degli ultimi anni. 

  Leo Campagna      

3/2/2023

 
 

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