Fondi pensione, il ritratto dell'aderente tipo

Si discute ormai da tempo su come incentivare e indirizzare le adesioni alla previdenza complementare: ecco in quale modo le caratteristiche socio-demografiche e le preferenze in termini di investimento dell'aderente tipo possono fornire qualche indicazione utile

Michaela Camilleri

L’analisi trasversale dei dati relativi agli iscritti ai fondi pensione riportati nell’ultima Relazione COVIP consente di approfondirne le caratteristiche socio-demografiche (come ad esempio, l’età anagrafica, il genere e la condizione professionale) e le preferenze in termini di opzioni di investimento offerte. L’esercizio è utile a capire se il profilo che emerge è in linea con quello dei soggetti più bisognosi di previdenza complementare e, di conseguenza, a riflettere sulle possibili strategie, sia al livello di singolo fondo sia più in generale di sistema, utili a fine di incentivare e indirizzare le adesioni. 
 

L'età degli iscritti alla previdenza complementare

Partendo dal presupposto che prima si aderisce alla previdenza complementare e maggiori benefici si ottengono, dal punto di vista sia del capitale accumulato sia della fiscalità, i dati elaborati dall’Autorità di Vigilanza ci restituiscono la fotografia di una realtà ben diversa. Su 8,8 milioni di iscritti alla fine del 2021, solo il 17,8% ha meno di 35 anni, mentre il 50,3% appartiene alla fascia di età centrale (35-54 anni) e il 31,9% ha almeno 55 anni. Peraltro, dal 2017 al 2021 la percentuale della classe più giovane ha registrato una crescita modesta (0,4 punti percentuali), mentre si è assistito a un progressivo spostamento dalle classi di età centrali a favore di quelle più anziane, pari a circa 6 punti percentuali. Per questa ragione l’età media degli iscritti negli ultimi 5 anni è aumentata da 45,9 a 47 anni. Tra le diverse forme pensionistiche complementari, l’età media è più elevata per i fondi pensione preesistenti (50,7 anni), più bassa nei fondi pensione aperti (44,7 anni) e in linea con la media generale nei fondi negoziali e nei PIP.

È vero che le fasce d’età più giovani partecipano in misura minore al mercato del lavoro, obiezione che si potrebbe legittimamente muovere di fronte a questa scarsa adesione alla previdenza complementare: ad esempio, la fascia di età 25-34 anni registra un tasso di partecipazione alle forze di lavoro inferiore dell’8% rispetto a quello della fascia adiacente più anziana (35-44 anni); tuttavia, una volta parte delle forze di lavoro, la fascia di età più giovane fa registrare una partecipazione al sistema dei fondi pensione comunque inferiore del 21% rispetto a quella della fascia immediatamente più anziana. Le ragioni di questo “paradosso” potrebbero allora ricercarsi, da un lato, nella minor disponibilità economica in giovane età, disponibilità considerata troppo modesta per immaginare di destinarne anche solo una piccola parte al risparmio previdenziale e, dall’altro, nella tendenza a preoccuparsi di tematiche che appaiano molto lontane nel tempo. 

 

Genere e professione dell'aderente tipo

Per quanto riguarda il genere, mediamente le donne hanno carriere più discontinue rispetto a quelle degli uomini, motivo per cui sarebbe ancora più vantaggioso per loro iscriversi alla previdenza complementare. Eppure, nonostante l’evidenza rifletta in larga misura le differenze di genere nella partecipazione al mercato del lavoro, gli iscritti di sesso maschile rappresentano il 61,8% del totale degli aderenti e le donne il 38,2%. La proporzione tra i generi si mantiene simile nelle diverse fasce di età, ad eccezione della classe che raggruppa gli iscritti con meno di 19 anni, formata soprattutto da familiari a carico, nella quale le donne raggiungono il 45,8%. Anche per il genere vale lo stesso ragionamento fatto per le classi d’età: se è vero che la più bassa partecipazione delle donne alla previdenza complementare è spiegata in primo luogo dalla minore presenza tra le forze di lavoro, lo è altrettanto che la loro propensione è comunque del 18% inferiore a quella degli uomini, persistendo a loro sfavore divari salariali e carriere più discontinue.

Figura 1 – Iscritti ai fondi pensione per genere ed età, valori percentuali

Figura 1 – Iscritti ai fondi pensione per genere ed età, valori percentuali

Fonte: Relazione per l’anno 2021, COVIP

Considerando la condizione professionale, proseguendo nel ragionamento sulla base del quale i lavoratori che versano meno per la previdenza obbligatoria, come ad esempio i lavoratori autonomi con circa il 24% di aliquota contributiva rispetto al 33% dei dipendenti, sono quelli che necessitano maggiormente di costruirsi una pensione complementare, ancora una volta i dati mostrano un’evidenza diversa: 6,3 milioni di iscritti sono lavoratori dipendenti, che si concentrano per lo più nei fondi negoziali e preesistenti (3,6 milioni). I lavoratori autonomi sono invece 1,15 milioni, per la quasi totalità concentrati nei PIP “nuovi” e nei fondi aperti. Vi è poi un numero elevato, circa 1,3 milioni, di cosiddetti “altri iscritti”, ovvero soggetti diversi dai lavoratori, quali i soggetti fiscalmente a carico, coloro che hanno perso i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica per perdita o cambio di lavoro ovvero per pensionamento obbligatorio e, soprattutto, altri soggetti non classificati per i quali la forma pensionistica non dispone di informazioni aggiornate sulla situazione occupazionale.

 

Le scelte di investimento: quale coerenza con il profilo dell'iscritto? 

Anche l’analisi relativa alle scelte del profilo di investimento degli aderenti restituisce un quadro diverso da quello che si potrebbe auspicare. Indipendentemente dall’età anagrafica, si osserva la prevalenza dei comparti caratterizzati da una quota azionaria bassa o addirittura nulla e, di conseguenza, da un profilo di rischio/rendimento più basso: i garantiti si confermano preminenti con il 39,5% degli iscritti, gli obbligazionari concentrano un ulteriore 12,8%, nei bilanciati si colloca il 39% degli iscritti e più esiguo (8,7%) il peso degli azionari. Il che potrebbe apparire coerente con i risultati relativi all’età anagrafica degli iscritti: se l’aderente è vicino all’età di pensionamento è tendenzialmente portato a scegliere linee di investimento meno rischiose.

Tuttavia, da un’analisi più approfondita emerge come la quota azionaria nelle età di lavoro più basse sia da considerare subottimale se paragonata alla lunghezza dell’orizzonte temporale mancante al pensionamento. Tanto che, per rendere più coerente il profilo di investimento scelto con l’età anagrafica, sono state introdotte, soprattutto nei fondi aperti, logiche life-cycle nella costruzione del portafoglio previdenziale: si parte cioè dal presupposto di un maggior peso della componente azionaria nei primi anni della carriera lavorativa, componente azionaria che tende poi gradualmente a ridursi o annullarsi in prossimità dell’età di pensionamento.

Figura 2 – Iscritti ai fondi pensione per profilo di investimento e classi di età, valori percentuali

Figura 2 – Iscritti ai fondi pensione per profilo di investimento e classi di età, valori percentuali

Fonte: Relazione per l’anno 2021, COVIP

L’analisi fin qui condotta conferma ancora una volta la necessità sempre più stringente, sia a livello di sistema che di singolo fondo, di intraprendere adeguate campagne informative. Non solo al fine di incentivare le adesioni, specialmente dei soggetti più scoperti, ma anche allo scopo di indirizzare e consigliare al meglio i soggetti già iscritti alla previdenza complementare riguardo le proprie scelte di investimento.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

12/7/2022

 
 

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