Fondi pensione negoziali, la sfida infinita con il TFR

Destinare il TFR al fondo pensione o lasciarlo in azienda? Un dubbio ricorrente per i lavoratori italiani: a partire dal Comparatore dei Fondi Itinerari Previdenziali e dalle simulazioni Fonchim, ecco qualche dato utile a una scelta più consapevole

Leo Campagna

Ad aprile le 101 linee dei fondi pensione negoziali censiti dal Comparatore dei Fondi Itinerari Previdenziali hanno registrato un rialzo medio dello 0,4%. Un risultato che porta a +1,6% il rendimento medio da inizio anno e cha va ad aggiungersi al +3,2% accumulato nell’intero 2020: una performance media che si colloca su un livello più che doppio rispetto al TFR dello scorso anno.

Nonostante la pandemia che ha inizialmente provocato perdite profonde sui mercati finanziari, i fondi pensione negoziali sono riusciti a conseguire risultati positivi grazie soprattutto alle azioni dei Paesi sviluppati ex euro. Nell’ambito del reddito fisso, i risultati più significativi si sono registrati nell’investimento governativo e corporate statunitense e nell’ambito dei titoli di stato dei Paesi emergenti. Positivo, ma di più modesta entità, anche il rendimento ottenuto dalle obbligazioni governative e corporate europee, sia nominali sia collegate all’inflazione.

A proposito di inflazione, nella sfida infinita tra fondi pensione e TFR c’è da registrare un ulteriore allungo a favore della previdenza complementare. Un esempio concreto lo fornisce Fonchim che ha aggiornato al 31 dicembre 2020 il confronto tra il primo iscritto (in data 14 marzo 1997) e l'ipotetico gemello che, alla stessa data, aveva invece deciso di non iscriversi al comparto Stabilità, quello con la maggior anzianità e di gran lunga il più rilevante in termini di risorse gestite. Ebbene, come si legge nel confronto pubblicato sul sito del fondo pensione dedicato ai lavoratori dell’ industria chimica e farmaceutica, dall’inizio (1998) il rendimento medio annuo del comparto Stabilità è stato pari al 3,54%, dato sensibilmente superiore al risultato ottenuto dal TFR in azienda (2,32%) e al tasso di inflazione (1,51%) nel medesimo periodo. A prima vista potrebbero sembrare differenze minime e, quindi, trascurabili. Tuttavia, per effetto del rendimento composto un investimento che in 23 anni registra un tasso medio del 3,54% si trasforma in un rendimento complessivo finale del +122,6%: un tasso medio del 2,32% equivale a un +69,5% e un tasso medio dell’1,5% vale complessivamente a un +40,8%. 

Tabella 1 - Posizioni a confronto (valori al 31 dicembre 2020,
iscrittosi al fondo dal marzo 1997 e senza alcun cambio di comparto nell'intero periodo)

Fonte: Fonchim 

In termini pratici, si può constatare come a parità delle altre condizioni, emerga una differenza di 27.637 euro per il contributo aziendale (che non spetta a chi lascia il TFR in azienda senza aderire al fondo pensione) e, soprattutto, una differenza in termini di rendimento. Infatti, dal 14 marzo 1997 (data di iscrizione del primo aderente al comparto) al 31 dicembre 2020, il rendimento del fondo si è tradotto in 48.876 euro, contro i 13.698 euro prodotti dalla rivalutazione del TFR nello stesso periodo. In totale, l’aderente al comparto Stabilità conterebbe 184.559 euro complessivi contro 121.744 euro del suo ipotetico "gemello" che ha deciso di non iscriversi al comparto Stabilità. 

Leo Campagna

11/6/2021

 
 

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