Gestori inglesi, fondi pensione e Brexit: note su un divorzio temuto ma evitabile

Il 30 marzo 2019 i gestori inglesi di fondi negoziali diventeranno soggetti extracomunitari e, in quanto tali, non più abilitati a gestire i fondi negoziali. Tuttavia, un'interpretazione innovativa e per nulla forzata delle norme in materia potrebbe rendere possibile la continuazione dei (molti) mandati affidati in questi anni a gestori britannici

Francesco P. Crocenzi

Fino a oggi, l’interpretazione data alla norma su chi potesse gestire i fondi pensione negoziali (l’art. 6 del D. Lgs 252/2005) ha previsto che tali soggetti fossero solo, da un lato, le SIM, le banche, le SGR o le assicurazioni italiane, oppure, dall’altro, gli asset manager di altri Paesi comunitari. Se questa interpretazione fosse mantenuta, sorgerebbero allora grossi problemi quando il Regno Unito uscirà dall'Unione Europea, in quanto i suoi intermediari diventeranno improvvisamente extracomunitari.

Chi avrebbe molto da perdere da questo stato di cose sarebbero i fondi pensione gestiti da società inglesi. Infatti, in assenza di adeguate misure, tali fondi potrebbero subire interruzioni della gestione, oppure l’asset manager potrebbe cedere i contratti ad altre società comunitarie del suo gruppo che non necessariamente hanno lo stesso team di gestione (e forse simili cessioni non sarebbero neanche legali, poiché i mandati dei fondi pensione sono assegnati con gara a una specifica società).

La soluzione per evitare questi pericoli sembra quindi una sola: permettere alle società inglesi di continuare la gestione dei fondi pensione per i quali avevano vinto il mandato. Nessuna norma lo vieta, a condizione che ci sia l’autorizzazione della Consob.

In particolare, l'articolo 6 del D. Leg. 252 non esclude a priori i gestori extracomunitari. Infatti, quando indica chi può gestire i fondi pensione, tale norma menziona (oltre alle società UE), i “soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività” di gestione di patrimoni su base individuale in Italia. Il punto fondamentale è che tali “soggetti autorizzati” non sono solo SIM, SGR, banche e compagnie assicurative italiane, ma anche i soggetti extra-UE che siano stati autorizzati a prestare servizi di investimento in Italia. Questi ultimi infatti, se vogliono operare nella Penisola, sono soggetti a una procedura autorizzativa da parte di Consob o della Banca d’Italia analoga, se non più onerosa, di quella applicabile a SIM e SGR italiane. 

Una simile lettura del D. Leg 252 non è mai stata proposta per un motivo molto semplice: nessuna entità extra-UE sana di mente avrebbe mai sognato di chiedere l’autorizzazione ad aprire una succursale italiana perché la relativa procedura sarebbe stata infinitamente più lunga, complessa, incerta e costosa rispetto all’apertura in Italia di una succursale di una SIM comunitaria – spesso inglese – che tutti i player più importanti avevano e hanno. 

Venendo a oggi, il recepimento nell’agosto 2017 della MiFID II (la Direttiva sui servizi di investimento) ha comportato anche l’aggiunta al Testo Unico della Finanza di un articolo che chiarisce termini e condizioni per concedere alle imprese di investimento extra UE l’autorizzazione a prestare dal loro Paese (“cross-border”) servizi di investimento a clienti professionali italiani. Per cui, nella misura in cui un fondo pensione negoziale italiano è un cliente professionale di diritto, un'impresa di investimento inglese nello scenario post-Brexit potrebbe chiedere alla Consob di essere autorizzata a operare in Italia su base cross-border in favore di tale cliente e, una volta concessa tale autorizzazione (dopo 120 giorni), l’intermediario inglese diventerebbe a tutti gli effetti uno dei “soggetti autorizzati allo svolgimento” della gestione di portafogli di investimento su base individuale che l’articolo 6 del D. Lgs 252 abilita a gestire gli asset dei fondi pensione negoziali. 

Ammesso che la COVIP faccia propria questa interpretazione, occorrerebbe comunque un periodo transitorio per far sì che le imprese di investimento inglesi che alla mezzanotte del 30 marzo 2019 gestiscono dei fondi pensione negoziali italiani possano mettersi in regola con l’autorizzazione Consob che, come detto, viene concessa in quattro mesi. Quindi, dei due l’uno: o si applica una prorogatio dei mandati alle società inglesi considerando solo il loro status alla data della stipula del contatto di gestione (anteriore a Brexit), o la Consob applica una corsia preferenziale per dare rapidamente l’autorizzazione a operare cross-border a soggetti che, fino al giorno prima, beneficiavano del mutuo riconoscimento.

La questione non è di poco conto, non tanto per facilitare delle imprese straniere, quanto per evitare pericolosi iati nella gestione di una componente sempre più importante del sistema previdenziale italiano. Per cui si confida che la COVIP consideri quest'interpretazione innovativa dell’articolo 6 del D. Lgs 252 che, da parte sua, non sarà modificato - nella parte d'interesse per questo tema - dal recepimento della direttiva IORP sul mercato europeo dei fondi pensione, e che tale autorità trovi inoltre un adeguato coordinamento con la Consob.

Altrimenti, come direbbero gli inglesi… mind the gap!

Francesco P. Crocenzi, Studio Legale Crocenzi e Associati

3/1/2019

 
 
 

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