Pensioni ingiuste, è SOS per i "giovani"

Le attuali regole di accesso alla pensione tendono a svantaggiare i cosiddetti contributivi puri, vale a dire quanti hanno iniziato a lavorare dall'1 gennaio 1996, rispetto alle generazioni precedenti: le strade per il pensionamento e i possibili correttivi da applicare al sistema

Alberto Brambilla

Sono ormai passati quasi 26 anni dall’entrata in vigore della legge 335/95, la legge Dini-Treu, che ha introdotto il metodo di calcolo contributivo nella forma pro rata per i lavoratori che avevano meno di 18 anni di anzianità contributiva e totale per coloro che avrebbero iniziato a lavorare dal gennaio 1996. Le chiamiamo ancora le pensioni dei giovani ma, supponendo un ingresso medio nel mercato del lavoro a 24 anni di età, ora i primi soggetti interessati sono tutti cinquantenni, non più così giovani insomma.

Ma quali sono i requisiti per l'accesso alla pensione per questi lavoratori dopo la riforma Fornero? Per la pensione di vecchiaia occorre avere 67 anni di età (requisito valido a tutto il 2022) con almeno 20 anni di anzianità contributiva, a patto di aver maturato un importo minimo di pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale, (693,18 euro lordi mensili) indicizzato con la media mobile quinquennale del PIL nominale. Quest’ultimo vincolo viene meno al raggiungimento di un’età anagrafica superiore di 4 anni a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia (71 anni nel quadriennio 2019-2022): a questa età sarà liquidato l’assegno pensionistico maturato indipendentemente dal suo valore di calcolo, purché il soggetto possa comunque far valere almeno 5 anni di contribuzione effettiva. 

Per i contributivi puri è previsto un ulteriore canale di accesso al pensionamento, la pensione di vecchiaia anticipata, con un anticipo fino a un massimo di 3 anni rispetto all’età di vecchiaia (oggi 67 anni), se in possesso di almeno 20 anni di contribuzione e un importo minimo di pensione non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale, cioè una pensione di 1.294 euro lordi al mese che corrisponde in media a uno stipendio mensile lordo da lavoro di circa 1.850 euro. Non esattamente una cifra alla portata di tutti i lavoratori. Tale importo è indicizzato in base alla media mobile quinquennale del PIL nominale. Il vincolo di un importo minimo di pensione elevato sostituisce in pratica il requisito contributivo minimo di 35 anni previsto dalla normativa precedente per l’accesso al pensionamento anticipato nel regime contributivo. Da considerare poi un'ulteriore possibilità di pensionamento con età inferiore a quella prevista per la pensione di vecchiaia, cioè il cosiddetto "pensionamento anticipato" con 43 anni e 3 mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne) che il DL 4/2019, n. 4 ha bloccato fino al 2026 a 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva (un anno in meno per le donne) con una “finestra” di 3 mesi, sicché lo sconto effettivo è di soli 2 mesi. Ovviamente, per i contributivi puri questo obiettivo è lontano almeno 16 anni. 

D'altra parte, nel 2021 questi lavoratori possono beneficiare di altri strumenti di anticipo pensionistico solo se hanno almeno 62 anni di età anagrafica (60 anni fino al 2023 per l’isopensione) e un'anzianità contributiva di 20 anni: ciò significa che sono nati nel 1959 e che hanno iniziato a lavorare all’età di 36 anni nel 1996. Ovviamente queste regole valgono anche negli anni a venire: nel 2022 potranno accedere i nati nel 1960 che hanno iniziato a lavorare a 36 anni e così via. Si tratta dell’isopensione che consente ai lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti un anticipo fino a un massimo di 4 anni (7 anni fino al 2023), con costi e contributi figurativi interamente a carico delle aziende. Ci sono poi i contratti di espansione finanziati a tutto il 2021, ma con alta probabilità di rinnovo almeno per i prossimi anni, che prevedono una forma di ricambio generazionale con l’assunzione di un giovane ogni tot prepensionati per i dipendenti delle aziende con più di 250 addetti, tetto ridotto dal Decreto Sostegni bis a 100 addetti (anche qui, con oneri totalmente a carico delle imprese). Quindi, ci sono i fondi esubero o di solidarietà, oggi attivi per le banche e le assicurazioni e attivabili anche per industria, commercio, servizi, artigianato e agricoltura: come per i contratti di espansione, l’anticipo è di 5 anni rispetto ai requisiti di pensionamento, quindi di fatto una quota 82 (62 anni di età e 20 di contributi). Per questi contributivi puri non sono invece percorribili gli anticipi opzione donna (occorrono 35 anni di anni di contributi) e APE sociale (36 e 30 anni di contributi). 

Attenzione perché questi lavoratori, che pure a rigor di calcolo dovrebbero avere circa 26 anni di contribuzione, potrebbero non arrivare al requisito minimo di 20 anni a causa della crisi o di lavori intermittenti. Laureati triennali o magistrali possono però beneficiare del cosiddetto riscatto di laurea leggero, applicabile a tutti gli anni di studio - eccetto quelli fuori corso - anche antecedenti al 1996: per il 2021 è previsto un costo di 5.264,49 euro per ogni anno di laurea da riscattare, per cui l’importo complessivo, è di 26.322,45 euro per un corso di 5 anni e di 15.793,47 per il triennale. L’importo può essere rateizzato, senza applicazione di interessi, per un periodo massimo di 120 mesi (10 anni) ed è deducibile in quanto equiparato alla contribuzione obbligatoria.

Alla luce di quanto detto, considerate le condizioni più favorevoli dei retributivi e misti, diviene indispensabile equiparare la condizione dei contributivi puri, che la riforma Fornero ha molto svantaggiato, con quella degli altri lavoratori eliminando i vincoli di accesso alla pensione pari a 2,8 volte il minimo per la pensione di vecchiaia anticipata e di 1,5 volte il minimo per la vecchiaia e, di riflesso, riducendo anche il rischio di aumentare da 67 anni a 71 anni l’età di  pensionamento. Infine considerando che il metodo contributivo non contempla un'integrazione al trattamento minimo, di cui oggi beneficia circa il 25% dei pensionati (tra integrazione e maggiorazione sociale) e le cui pensioni attuali sono pagate proprio dai contributi di questi lavoratori, per motivi di equità intergenerazionale occorrerebbe prevederla anche per  “contributivi puri”, quantomeno su valori pari all’integrazione al minimo già prevista per le altre categorie di pensionati o alla maggiorazione sociale (tra 517 e 654 euro mese) e calcolati maggiorando la pensione a calcolo in base al numero di anni effettivamente lavorati.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

9/6/2021

L'articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera, L'Economia del 31/5/2021
 
 
 

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