Previdenza complementare, perché evitare l'errore degli investitori in fondi comuni

Nel primo trimestre 2019 i sottoscrittori di fondi comuni hanno adottato un (comprensibile) atteggiamento più prudente del solito, che potrebbe tuttavia non pagare nel caso della previdenza complementare. Per due importanti ragioni: l'orizzonte di investimento di lungo termine e la natura periodica dei versamenti

Leo Campagna

Nel primo trimestre di quest’anno la stretta relazione che di solito si instaura tra i flussi di investimento nei fondi comuni e l’andamento dei mercati finanziari non è stata rispettata. Di norma, in passato, nel momento in cui i mercati finanziari registrano una trend rialzista s'innesca anche una tendenza dei flussi di sottoscrizione verso i fondi comuni, e viceversa. Analizzando i dati di Assogestioni relativi alla raccolta netta nei primi tre mesi di quest’anno dell’industria italiana del risparmio gestito, emergono invece segnali che appaiono in controtendenza con quest'attitudine dei risparmiatori italiani.

Da un lato, ci sono i fondi obbligazionari che hanno totalizzato un saldo trimestrale di raccolta netta positiva per 743 milioni di euro, mentre, dall’altro, i fondi azionari hanno accusato deflussi netti tra gennaio e marzo per 1,7 miliardi di euro. La divergenza non trova spiegazione nelle performance. Infatti sia i fondi obbligazionari sia quelli azionari hanno subito perdite nel quarto trimestre 2018 e un importante recupero nel primo trimestre di quest’anno. In particolare, l’indice dei fondi obbligazionari ha perso in media l’1,5% tra settembre e dicembre 2018 per poi guadagnare il 2,6% tra gennaio e marzo 2019, mentre l’indice dei fondi azionari, che ha lasciato sul terreno il 13,6% nel quarto trimestre 2018, ha guadagnato il 12,8%.

Probabile che i risparmiatori italiani nei primi tre mesi di quest’anno abbiano adottato un approccio ancora più prudente del solito. Nel quarto trimestre 2018 la correzione dei mercati è stata tanto improvvisa quanto profonda e sembra aver provocato ferite nei portafogli e nella mente di molti: non si deve biasimare che siano preferiti i fondi obbligazionari (che presentano un più ridotto profilo di rischio) rispetto a quelli azionari (senza dubbio più rischiosi). In pratica, si preferisce rinunciare a una parte, anche consistente, del rendimento atteso perché non si tollerano eventuali cadute temporanee di valore del portafoglio.

Si tratta di un atteggiamento, quello tenuto dai sottoscrittori di fondi comuni, che  può avere un senso alla luce del fatto che il ciclo economico è nella sua fase finale, le valutazioni azionarie sono piuttosto tirate e il picco di profitti aziendali sembra essere alle spalle. Un po’ di prudenza non guasta. Diverso, tuttavia, il discorso per i versamenti per la previdenza complementare. Per due importanti ragioni: l’orizzonte d’investimento di lungo termine e i versamenti periodici.

Come si può constatare dalle analisi storiche, sebbene le azioni registrino spesso risultati negativi durante le recessioni o in prossimità della fine del ciclo, cercare di anticipare il mercato alleggerendo o azzerando l’esposizione in Borsa può essere un approccio avventato: al contrario, è consigliabile mantenere l’investimento verso la componente azionaria proprio per evitare di perdere una fase di rialzo, assicurandosi il rendimento tendenzialmente superiore della azioni rispetto al reddito fisso e alla  liquidità nel lungo periodo. In secondo luogo, va considerato che i versamenti periodici effettuati dagli aderenti a fondi pensione e PIP permettono di mediare i prezzi di acquisto e di trasformare le correzioni dei mercati in acquisti a sconto.  

Leo Campagna 

18/6/2019

 
 
 

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