Quanta confusione sui (veri) importi delle pensioni italiane

Quando si parla di pensioni si incorre spesso in luoghi comuni e, tra i più duri a morire, quelli riguardanti gli importi delle prestazioni, in particolare sotto i mille euro. Falsi miti e imprecisioni che rischiano di minare la fiducia, in particolare dei più giovani, nei confronti del nostro sistema 

Michaela Camilleri

Quando si parla di pensioni si incorre spesso in luoghi comuni. Tra questi, quello relativo all’importo delle prestazioni pensionistiche è senza dubbio uno dei più diffusi. I dati dell'Osservatorio INPS sulle prestazioni pensionistiche e i beneficiari aggiornati al 2023 e diffusi negli scorsi giorni hanno fatto tornare in auge il tema, ripreso dai media sotto il profilo della crescente disuguaglianza tra pensionati “ricchi” e pensionati “poveri”. Eppure, i numeri presentati nel Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale Italiano curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali offrono una chiave di lettura diversa, provando a fare ancora una volta chiarezza sul tema.

Occorre innanzitutto considerare che, ai fini di una corretta informazione, è necessario distinguere tra importo medio della prestazione pensionistica e reddito pensionistico medio per pensionato perché entrambi sono valori fondamentali per valutare correttamente l’adeguatezza degli assegni. Le prestazioni del sistema pensionistico italiano vigenti al 31 dicembre 2023 sono 22.919.888, per un ammontare complessivo annuo pari a 347,032 miliardi di euro, che corrisponde a un importo medio per prestazione di 15.141,08 euro annui lordi (1.164,70 euro lordi al mese per 13 mensilità). Poiché i pensionati beneficiari di queste prestazioni sono 16.230.157, il reddito pensionistico medio pro capite è pari a 21.381,92 euro annui lordi (circa 17.381 euro annui netti), quindi 1.645 euro lordi mensili (circa 1.337 euro mensili netti), sempre per 13 mensilità. È proprio questo secondo dato, relativo al reddito pensionistico, da considerarsi il più corretto, anche se spesso viene diffuso impropriamente il primo, dividendo il valore totale della spesa previdenziale per il numero delle prestazioni e non per il numero dei pensionati.

Figura 1 – Prestazioni pensionistiche e beneficiari al 31 dicembre 2023
Figura 1 – Prestazioni pensionistiche e beneficiari al 31 dicembre 2023
Fonte: Casellario dei pensionati INPS

Scomponendo per classi di importo, le prestazioni fino a una volta il minimo (567,94 euro mensili) sono circa 7,503 milioni, ma i pensionati che poi ricevono effettivamente un reddito pensionistico fino a una volta il minimo sono circa 2,208 milioni su 16,230 milioni di pensionati totali. Anche alla successiva classe di importo (da 567,95 euro a 1.135,88 euro lordi mensili) appartengono 6,8 milioni di prestazioni, ma ne beneficiano solo 3,77 milioni di pensionati. Il fenomeno dipende dal fatto che un soggetto può essere beneficiario di più prestazioni (ad esempio, una pensione di importo medio-alto e uno o più trattamenti più bassi come un’indennità di accompagnamento o una pensione di reversibilità) che si cumulano tra loro, facendo sì che il pensionato si collochi in una classe di reddito più elevata rispetto a quella più bassa in cui si erano posizionate le singole prestazioni o pensioni. 

Dal rapporto tra numero di prestazioni su pensionati emerge infatti che, in media, ogni pensionato percepisce 1,412 prestazioni, mediamente quasi una pensione e mezza per ciascun pensionato. Nel dettaglio, il 68% dei pensionati percepisce 1 prestazione, il 24,1% ne percepisce 2, il 6,7% dei pensionati 3 prestazioni e l’1,2% 4 o più.

Figura 2 – Pensionati per numero di pensioni percepite

Figura 2 – Pensionati per numero di pensioni percepite

Fonte: Casellario dei pensionati INPS

È quindi certamente vero che le singole prestazioni fino a due volte il trattamento minimo (1.135,88 euro) sono circa 14,313 milioni, pari al 62,5% delle prestazioni in pagamento, ma lo è altrettanto che i pensionati corrispondenti sono circa 5,978 milioni (il 36,8% del totale pensionati), peraltro quasi tutti con pensioni di carattere assistenziale, in tutto o in parte non coperte da contributi. Sostenere dunque che circa un terzo del totale delle prestazioni pensionistiche è uguale o inferiore al minimo è sbagliato non solo dal punto di vista tecnico ma anche sotto il profilo comunicativo. 

Dal punto di vista sostanziale, quando si analizzano le distribuzioni per classi di reddito si dovrebbe far riferimento ai pensionati, cioè ai soggetti fisici che percepiscono una o più prestazioni, e non alle singole pensioni. Inoltre, nel calcolo degli importi medi dei singoli trattamenti pensionistici, bisognerebbe procedere per tipologia e analizzare separatamente le medie delle prestazioni assistenziali, delle rendite indennitarie, delle prestazioni dirette e di quelle ai superstiti, per evitare di mischiare prestazioni di natura non omogenea. In particolare, nel calcolo delle medie occorrerebbe eliminare dal computo le prestazioni assistenziali in quanto parzialmente o totalmente a carico della fiscalità generale, come ad esempio pensioni o assegni sociali, pensioni integrate al trattamento minimo, invalidità civili, assegni di accompagnamento o rendite indennitarie Inail: si avrebbe così un importo medio delle sole pensioni previdenziali, supportate da contributi. O, ancora, appare ad esempio poco ragionevole calcolare l’importo medio tra pensioni dirette e pensioni ai superstiti quando queste ultime nel Casellario INPS sono frazionate nelle aliquote di reversibilità spettanti a ciascun contitolare, che variano tra il 20% (aliquota del figlio contitolare) e il 30-60% (aliquote del coniuge che variano a seconda del reddito) dell’importo della pensione diretta. Tanto che, provando dunque a escludere le prime due classi di reddito pensionistico, che sono principalmente assistenziali, il reddito previdenziale medio ammonterebbe a 29.019 euro annui lordi (contro gli ufficiali 21.382 euro lordi) pari a circa 21.213 euro annui netti. Resta quindi vero che il 36,8% dei pensionati ha redditi pensionistici inferiori a 1.135,88 euro lordi al mese, ma molti di questi redditi non sono strettamente riconducibili a pensioni, quanto piuttosto prevalentemente a trattamenti assistenziali. Inoltre, come evidenziato nel Rapporto, in questa riclassificazione del reddito pensionistico medio occorrerebbe poi tener conto dell’età anagrafica del beneficiario, così da escludere i circa 550mila beneficiari di un trattamento assistenziale di invalidità civile con meno di 40 anni e i circa 32.000 superstiti orfani minori con una quota del 20% della pensione reversibile e il resto di giovani superstiti.

Al di là di tutti i perfezionamenti a livello di calcolo, l’errore più grave riguarda tuttavia la modalità di comunicazione di questi dati, con imprecisioni che rischiano di alimentare reazioni negative in termini di disuguaglianza percepita tra pensionati sia sensazioni di sfiducia nel sistema, soprattutto da parte delle giovani generazioni. Perché (si potrebbero chiedere i giovani) versare i contributi all’INPS per l’intera vita lavorativa se poi le prestazioni sono così misere?

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

20/11/2024

 
 

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