Riscatto della laurea o fondo pensione? Nessun dubbio

I costi previsti per la cosiddetta forma agevolata hanno sicuramente reso il ricorso al riscatto di laurea più conveniente che in passato: nonostante le recenti novità normative, il confronto con l'adesione a una forma pensionistica complementare sembra però ancora premiare i fondi pensione...

Stefano Sgalambro

Si sta discutendo tanto delle nuove condizioni per il riscatto degli anni di laurea in forma agevolata che concede la possibilità ai laureati di poter riscattare a 5.260 euro ogni anno del corso di laurea e fino a un massimo di 5 anni, argomento che ha quasi monopolizzato l’attenzione del mondo previdenziale. Sono stati frequenti i confronti tra due strumenti apparentemente simili poiché entrambi finalizzati ad avere un vantaggio in termini pensionistici: da una parte, il riscatto della laurea, dall’altra il fondo pensione

Si tratta in sostanza di confrontare l’effetto che produce il versamento all’INPS di una certa somma per l’ottenimento del riscatto degli anni del corso di laurea e l’effetto che produce un versamento di pari importo nella previdenza complementare. Vediamo le differenze e, solo successivamente, tiriamo le somme.

Tabella 1 - Riscatto di laurea (agevolato) e fondo pensione a confronto

                       Riscatto di laurea (agevolato) e fondo pensione a confronto

Facciamo un esempio confrontando due lavoratori con analoga situazione reddituale (reddito da lavoro pari a 30.000 euro lordi annui) e analoga proiezione pensionistica (reddito da pensione pari a 25.000 euro lordi annui). Uno dei due sceglie di riscattare quattro anni di laurea versando ogni anno 2.104 euro per 10 anni (totale di 21.040 euro, ovvero il prodotto tra 5.260 euro per i 4 anni del corso di laurea riscattati), mentre l’altro decide di versare annualmente una stessa somma al fondo pensione. L’IRPEF dovuta, in entrambi i casi, è pari a 7.720 euro che si riduce a 6.932 grazie alla deduzione dell’importo di 2.104 euro. Dopo 10 anni entrambe le posizioni, da una parte quella INPS dall’altra quella maturata nel fondo pensione, si sono accresciute di circa 21.000 euro al netto delle rivalutazioni. 

Senza entrare nel dettaglio dei rendimenti, poiché ogni fondo pensione e ogni suo comparto hanno maturato performance differenti, è necessario considerare che la rivalutazione delle somme versate per il riscatto degli anni di laurea è equiparata alla rivalutazione dei contributi pensionistici che si realizza sulla base del tasso comunicato dall’ISTAT e che, da svariati anni ormai, viaggia nell’ordine dell’1%. I rendimenti maturati dagli investimenti realizzati dai fondi pensione sono stati storicamente quasi sempre superiori (e non di poco).

Da un punto di vista fiscale, entrambi i versamenti sono deducibili dal reddito imponibile. Per il fondo pensione è previsto il tetto di deducibilità annuo di 5.164 euro, innalzato fino a 7.746 euro per i lavoratori che hanno cominciato a lavorare dopo il 2007, misura questa che riconosce un indiscutibile vantaggio ai più giovani. Le soglie indicate costituiscono un limite, ma bisogna considerare che per l’aderente alla previdenza complementare la deducibilità esaurirà i suoi effetti solo al momento dell’uscita dal fondo pensione. Dall’altra parte, per il riscatto della laurea le somme possono essere dedotte al massimo in dieci anni considerando altresì che le somme complessivamente deducibili saranno esattamente pari agli importi versati (circa 21.000 euro per un corso di laurea di 4 anni e circa 26.000 euro per un corso di laurea di 5 anni).

Quando queste somme verranno liquidate per il riscatto di laurea saranno soggette all’imposizione fiscale prevista dallo schema IRPEF (****), per un reddito di 25.000 euro al 27%, mentre le somme versate al fondo pensione verranno tassate con le ben più convenienti aliquote previste per la previdenza complementare (massimo 15%): il differimento dell’imposta determinerà regimi fiscali in fase di liquidazione delle somme macroscopicamente differenti. Inoltre, il lavoratore aderente alla previdenza complementare potrà vantare maggiori diritti di ricevere tali somme anche prima della maturazione del diritto a pensione e anche sotto forma di capitale potendo richiedere, al verificarsi di taluni eventi, riscatti, anticipazioni e liquidazioni per pensionamento in capitale (***). Le somme versate per il riscatto della laurea accresceranno il montante maturato per il calcolo della pensione di base e si tradurranno solo ed esclusivamente in un più elevato assegno pensionistico.

Infine, non è assolutamente certo che il riscatto della laurea potrà garantire al lavoratore una maggiore flessibilità di uscita. Viene da pensare a coloro che cominciano a lavorare tardi o a coloro che hanno linee contributive non piene causate ad esempio da periodi di disoccupazione: per questi lavoratori la prima finestra pensionistica di uscita potrebbe corrispondere con la maturazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia non avendo maturato anzianità contributiva sufficiente per far valere diritti pensionistici diversi (e precedenti) rispetto alla vecchiaia. Viceversa, chi aderisce alla previdenza complementare gode di una straordinaria e certa flessibilità di uscita potendo far ricorso alla RITA.

Qual è la conclusione? Certamente convenienti le nuove condizioni previste per il riscatto della laurea ma, a conti fatti, il riscatto della laurea non offre vantaggi esclusivi che non siano già previsti – e anche in misura di gran lunga maggiore - per gli aderenti a un fondo pensione:

  1. poter ambire a una maggiore flessibilità di uscita dal mondo del lavoro;
  2. aumentare i redditi pensionistici; 
  3. godere di vantaggi fiscali (che, come detto, per il riscatto della laurea si sostanzia esclusivamente nel differimento dell’imposta che verrà tuttavia applicata secondo le stesse aliquote previste per i redditi da lavoro).

Non è appunto un coincidenza che, nella tabella, ogni volta che il riscatto della laurea segna un punto, lo stesso punto viene segnato anche dal fondo pensione. Si fa poi tanto rumore sulle nuove regole del riscatto di laurea riservato a pochi privilegiati e si dimentica che il fondo pensione può essere destinato a tutti, lavoratori e non, laureati e non, iscritti alla gestione previdenziale INPS e non. Senza alcun dubbio chi aderisce al fondo pensione e versa somme “vicine” alla soglia di deducibilità accresce ancor di più il suo vantaggio rispetto a chi riscatta gli anni di laurea.

Chi ha un fondo pensione ha un tesoro che spesso non conosce! Viene da pensare alla RITA, introdotta ben dopo la famosa riforma del 2007, della quale si è parlato davvero molto poco ma che attribuisce vantaggi unici. Non sorprende quindi che molti lavoratori, anche aderenti ai fondi pensione, non sappiano cosa sia. Un consiglio? Versare i propri risparmi in un fondo pensione per sostenere i propri interessi e le proprie necessità future ma anche presenti. 

Ricominciamo a parlare di previdenza complementare.

Stefano Sgalambro, Responsabile comunicazione e marketing Fondo Pensione Fondapi​

3/3/2020


(*) la RITA (Rendita integrativa temporanea anticipata) è una prestazione erogata dal fondo pensione in rendita e ha le seguenti caratteristiche:

  • cessa di essere erogata al conseguimento della pensione di vecchiaia
  • a discrezione del lavoratore può essere richiesta per tutto o solo quota parte del montante maturato
  • viene erogata in rate con frequenza massima trimestrale (mensile, bimestrale o trimestrale)
  • può essere richiesta al fondo pensione dall’aderente che vanta almeno 5 anni di anzianità di iscrizione al sistema della previdenza complementare.

Requisiti per la RITA:

1. Con anticipo di massimo 10 anni rispetto alla decorrenza della pensione di vecchiaia e con almeno 2 anni di inoccupazione; 

2. Con anticipo di massimo 5 anni alla pensione di vecchiaia, cessazione l’attività lavorativa (senza il requisito dei due anni di inoccupazione) e almeno 20 anni di iscrizione a previdenza obbligatoria. 

(**) Per i montanti maturati dopo il 2007 il pensionamento, ma anche per la RITA e altre fattispecie di liquidazione (anticipi per spese mediche, riscatto per inoccupazione superiore a uno o quattro anni, mobilità, cassa integrazione, decesso e invalidità con riduzione della capacità lavorativa a meno di in terzo), l’aderente a previdenza complementare subisce una imposizione del 15%. Per ogni anno di iscrizione superiore al quindicesimo, l’aliquota si riduce dello 0,30%, fino a un minimo del 9% che si realizza dopo 35 anni di iscrizione (avendo ridotto per 20 anni ogni anno lo 0,30% dal tetto del 15%). Quindi, a titolo esemplificativo, il lavoratore che va in pensione dopo 18 anni di iscrizione subisce una imposizione del 14,10% (15% - 0.30% ridotto al 16° anno - 0.30% ridotto al 17° anno - 0.30% ridotto al 18° anno). 

(***) Gli aderenti alla previdenza complementare possono riscattare le somme maturate ancor prima della maturazione del diritto a pensione ad esempio per cessazione dell’attività lavorativa. Hanno inoltre il diritto di poter richiedere anticipi fino al 75% per spese sanitarie (sue, del coniuge e dei figli), fino al 75% per acquisto o ristrutturazione della prima casa (anche dei figli) o fino al 30% per ulteriori esigenze da non giustificare. Infine l’obbligo della rendita interviene solo per le posizioni contributive più consistenti e non riguarda obbligatoriamente tutto il montante ma almeno la metà di esso, per cui chi ha maturato importi relativamente bassi (fino a circa 75.000 euro, soglia questa che varia sulla base del valore dell’assegno sociale, del sesso, dell’età in cui si formula richiesta e delle tabelle di convenzione dei fondi pensione) può chiedere la liquidazione interamente in capitale, mentre coloro che vantano posizioni contributive più elevate avranno l’obbligo di convertire in rendita almeno la metà del montante maturato.

(****) Le aliquote IRPEF e le imposte dovute sono determinate sulla base del reddito dichiarato e sono così determinate:

  • reddito annuo fino a 15.000 €: 23% sulla parte eccedente la no tax area
  • reddito annuo da 15.000,01 € a 28.000 €: 3.450 €+ 27% su parte eccedente i 15.000 €
  • reddito annuo da 28.000,01€ a 55.000 €: 6.960 € + 38% sulla parte eccedente i 28.000 €
  • reddito annuo da 55.000,01 € a 75.000 €: 17.220 € + 41% sulla parte eccedente i 55.000 €
  • reddito annuo oltre i 75.000 €: 25.420 € + 43% sulla parte eccedente i 75.000 €
 
 
 

Ti potrebbe interessare anche