Conoscere le sfide del SSN per cogliere le opportunità della sanità integrativa

Nel 2017, la spesa out of pocket degli italiani è ammontata a 35,9 miliardi di euro, cui se ne aggiungono altri 5 intermediati da fondi sanitari, società di mutuo soccorso e compagnie di assicurazione: un dato che fa riflettere sulla diffusione della sanità complementare in Italia, su cui pesano ostacoli culturali e l'assenza di una normativa precisa 

Mara Guarino

L’ultimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali evidenzia come nel 2017 la popolazione italiana abbia investito quasi 70 miliardi di euro nel welfare complementare. Un dato in sensibile crescita rispetto all’anno precedente (+12%) e trainato in particolare dalla cosiddetta spesa sanitaria out of pocket, vale a dire dai costi sostenuti direttamente dai singoli – senza alcuna intermediazione – per spese di natura sanitaria. Se si aggiungono a questi 35,9 miliardi di euro, i quasi 5 intermediati da fondi sanitari, società di mutuo soccorso, compagnie di assicurazione, etc, si supera la soglia dei 40 miliardi di euro, un terzo del totale della spesa sostenuta dal sistema pubblico per offrire cure mediante il Servizio Sanitario Nazionale.

«Pur con la doverosa premessa che l’incremento della spesa out of pocket è in parte imputabile anche a un significativo cambio nelle regole di rilevazione ISTAT, che in precedenza tendeva forse a sottostimare il dato – spiega Michaela Camilleri, Area Previdenza e Finanza Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – questi numeri fanno riflettere per almeno due ordini di ragioni: indubbiamente, per il valore complessivo, ma anche e soprattutto per la quota  ancora esigua di spesa intermediata, che ammonta solo a una piccola percentuale del totale, il 14%, seppur in leggera crescita rispetto all’anno precedente».

Eppure, come ribadito della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati recentemente chiamata a discutere del riordino della disciplina, l’assistenza sanitaria integrativa appare al momento come la principale forma di superamento delle difficoltà – basti pensare ai problemi delle liste d’attesa, della migrazione sanitaria, dell’inaccessibilità alle cure e all’assistenza e della non sempre efficiente gestione delle risorse – che affliggono il pubblico. «Nel complesso, il SSN è e resta un servizio sanitario di buon livello, ma le criticità non mancano. Il che è purtroppo assolutamente coerente con la situazione demografica e finanziaria del Paese», spiega Camilleri. Perché se è vero che il progressivo invecchiamento della popolazione metterà ancora di più sotto pressione la sanità pubblica, lo è altrettanto che «difficilmente queste difficoltà potranno essere superate aumentando ulteriormente la spesa per il welfare che, come evidenzia anche il nostro Sesto Rapporto, ha in realtà già raggiunto dimensioni poco sostenibili. Nel 2017, la spesa per prestazioni sociali ha inciso per il 54,01% (il 58,6% al netto degli interessi sul debito pubblico) sul totale della spesa pubblica complessiva».

Cosa frena allora gli italiani dall’optare per soluzioni di spesa intermediata, sulla carta potenzialmente più vantaggiose dal punto di vista sia fiscale sia organizzativo del dover sostenere in maniera completamente autonoma esami, visite specializzate o prestazioni socio-sanitarie di altra natura? «Un maggior ricorso a forme organizzate di intermediazione della spesa sanitaria si tradurrebbe non solo in un minor costo per singoli e famiglie, ma anche in un più efficace controllo della qualità delle prestazioni e una minore diffusione del fenomeno del “nero”, inesistente nell’ipotesi in cui la compagnia di assicurazione o il fondo sanitario sia chiamato a rimborsare la spesa sostenuta, stante la necessità di presentare la relativa documentazione fiscale», commenta Camilleri, evidenziando che il “problema” è in prima battuta di natura culturale. A non giovare è innanzitutto la mancanza di una vera e propria disciplina sulla materia, sulla quale ora grava anche la minaccia di un divieto esplicito di erogare prestazioni extra-Lea, quasi a voler mettere in antitesi più che in sinergia pubblico e privato.

«Per cominciare – spiega allora Michaela Camilleri – servono dunque regole minime e certe tanto per gli operatori quanto per i cittadini. E poi occorre “educare”, se così si può dire, il grande pubblico a tutte le possibilità che gli sono offerte, non per spingerlo necessariamente ad aderire a questa o quella forma di integrazione, ma piuttosto per offrirgli tutti gli strumenti informativi utili a usufruire nel modo migliore del SSN, a decidere consapevolmente se aderire all’assistenza sanitaria integrativa ed eventualmente a stabilire la soluzione più adatta alle proprie specifiche e personali esigenze. Smentendo così anche il luogo comune secondo cui la sanità integrativa, ma forse sarebbe più giusto dire complementare, sarebbe utile solo dove lo Stato è quasi o del tutto assente: al contrario, sono proprio i dati nazionali e internazionali a dirci che proprio là dove si spende di più per sanità pubblica la popolazione si rivela più sensibile al tema, con l’intento di garantirsi cure e assistenza a 360 gradi e preservare la propria salute».

Proprio con quest’intento, dunque, anche Pensioni&Lavoro, il portale divulgativo curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ospita dal mese di maggio una sezione dedicata alla sanità, pubblica e complementare, completamente rinnovata. «Da sempre il sito interpreta la previdenza in senso ampio, come attitudine a tutelarsi da incognite e rischi futuri, che vuole dire – commenta la dottoressa Camilleri – non occuparsi solo della propria posizione previdenziale, ma anche del proprio stato di salute, prima ancora che sorgano necessità di sorta. È ad esempio legittimo che i cittadini si chiedano perché dover pagare due volte, per il pubblico (attraverso la fiscalità generale o altre forme di compartecipazione)  e allora l’obiettivo del portale è aiutarli a rispondere a questa domanda compiendo un percorso che li renda sempre più consapevoli di quali sono trend, opportunità ma anche criticità del servizio pubblico e del perché si faccia crescente il ruolo del privato».

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

21/05/2019

 
 

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