Non autosufficienza, mutualità e soluzioni assicurative: una sfida culturale
Quella della non autosufficienza è a più riprese definita come la vera sfida dei prossimi anni: mutualità e assicurazioni possono certamente offrire un grande aiuto in tal senso ma, prima di tutto, occorre un cambio di mentalità
Sebbene non si ponga sempre la massima attenzione al tema, essendo tendenza di tutti noi quella di occuparsi di tematiche apparentemente più immediate e urgenti, il fenomeno della non autosufficienza cresce e crescerà, con conseguenze importanti sullo stesso modo di intendere la nostra società.
La questione sembra tanto lontana da non ammettere neanche un secondo di attenzione, mentre tutti si corre. Eppure quasi tutti (forse ognuno di noi), se ci riflette un attimo, abbiamo vissuto le vicende di un nostro caro non più in condizioni di compiere le primarie attività del vivere quotidiano (alzarsi dal letto autonomamente, lavarsi, vestirsi, uscire ). Il fenomeno della non autosufficienza è parte della storia delle nostre famiglie e delle nostre storie, eppure lumana natura tende a renderci più interessati di argomenti meno nostri e invasivi. E così il tema è spesso appannaggio di specialisti e di piccole coorti di operatori.
La storia ci insegna che sebbene lo Stato, le Regioni e qualche altra realtà caritatevole possano aiutarci in parte nel momento del bisogno, a voler essere razionali e realisti, sta innanzitutto a noi di aiutarci e trovare le soluzioni utili in tal senso. Il welfare su base familiare diviene però sempre più debole per tante ragioni: disgregazione dei nuclei familiari stessi, riduzione della dimensione delle realtà abitative nei maggiori centri urbani, necessità di conciliare lattività lavorativa a fini di sussistenza con limpegno di assistere un proprio caro (legge 104/92 a parte).
La mutualità e lassicurazione possono aiutare in questo senso? La risposta è, ovviamente, affermativa.
La mutualità (intesa come collettivizzazione, anche non profit, di rischi omogenei afferenti a diversi soggetti) e lassicurazione (massima espressione della logica mutualizzatrice) possono aiutare a meglio suddividere sulla collettività i pesi dei rischi e bisogni descritti. Se tutti contribuissimo con un piccolo gettone, il tesoretto accumulato potrà essere utilizzato per aiutare la fascia più bisognosa della nostra collettività. Se imparassimo a accumulare piccoli risparmi, tempo per tempo, su un lungo arco temporale, il nostro salvadanaio potrebbe essere la risposta allesigenza.
La sanità integrativa di carattere negoziale, destinata ai soli lavoratori dipendenti e legata al rapporto di lavoro, svolge molto spesso un ruolo importante in tal senso. Contribuendo al fondo sanitario di riferimento si avrà anche un importante risparmio fiscale, potendosi dedurre cioè non vedere tassati i contributi fino a 3615,20 euro (sfruttando tutta la soglia, per coloro che abbiano una tassazione IRPEF pari mediamente al 30%, è come se lo Stato a fronte della nostra contribuzione ci aiutasse a contribuire in misura pari a 723 euro).
Le soluzioni assicurative consentono a tutti di detrarre (cioè ridurre la misura dellimporto dovuto a titolo di imposta) il premio pagato per un massimo del 19% di 1291,14 euro. Ladesione individuale a una società di mutuo soccorso cioè non in ragione del contratto di lavoro consente altrettanto a tutti di detrarre la quota associativa al 19% di 1300 euro.
Non basta. Con la Legge di Bilancio per il 2018 si è previsto che: «Non concorrono a formare il reddito [n.d.r. da lavoro dipendente]: [ ] i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana [ ] o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie». Non costituisce, quindi, reddito da lavoro dipendente il versamento di contributi o premi assicurativi da parte del datore di lavoro a fondi sanitari o compagnie di assicurazione a favore della generalità dei propri dipendenti o categorie degli stessi.
Senza che si abbia ancora il dato aggiornato del successo della previsione appena citata, si può ricordare come la raccolta complessiva registrata lanno precedente per assicurazioni per la non autosufficienza arrivi a solo 109 milioni di euro su circa 150 miliardi di raccolta premi.
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Non si creda, come molti avanzano, che si tratti di un tema di carenza di benefici fiscali. Lesempio della Legge di Bilancio 2018 a cui segue una totale defiscalizzazione dei premi e contributi versati dal datore di lavoro a favore di forme a sostegno della non autosufficienza e per le malattie gravi, ove lelargizione sia a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di questi, è riprova che, anche in presenza di unagevolazione senza limiti e senza precedenti in materia, il ricorso verso questi strumenti è ancora troppo contenuto. Quello che manca è un corretto piano di educazione su questi temi (vi è un pressoché silenzio assoluto nelle scuole primarie, secondarie e nelle università, dove le materie del welfare e delle assicurazioni sono dimenticate, al massimo, in qualche indirizzo specialistico di piccola portata numerica in termini di studenti. La materia del welfare, al pari della vecchia educazione civica, dovrebbe essere obbligatoria per tutti i nostri studenti, per consentire loro di comprendere i loro diritti e obblighi, soprattutto quando si troveranno a contribuire o guidare attivamente la loro vita familiare).
Perché questi dati, a fronte di benefici fiscali consistenti? Verrebbe da dirsi, scarsa cultura e difficoltà di raggiungere e convincere le PMI che sono più del 90% del tessuto imprenditoriale e i loro dipendenti. Secondo altri, è una carenza di risorse. Ma come detto lobiezione non regge (o, almeno non regge del tutto) se, con tutto il rispetto per lattività svolta, sono stimati circa 8 miliardi di spesa in maghi e cartomanti, tra i quasi 200 miliardi annui di spesa oggetto di miglior orientamento stimati da Itinerari previdenziali, forse si può provocatoriamente pensare di utilizzarne almeno un 10% (800 milioni) per i nostri cari e per il nostro bilancio familiare. Certamente un altro aspetto da tenere a mente (ne è un esempio fulgente quello del welfare aziendale) è la difficoltà delle contrattazione collettiva di raggiungere le PMI che costituiscono più del 90% delle realtà produttive italiane.
Lassenza di rappresentanze sindacali in azienda (RSA o RSU) non consente di sfruttare a pieno le leve dellattuale sistema di welfare integrativo in abbinato alla contrattazione stessa. Senza offesa per nessuno, non si può logicamente mettere in discussione il fatto che il contratto di lavoro sia la sede naturale del welfare complementare. Il tutto per una serie di ragioni, prime fra tutte: 1) negoziare soluzione della salute in forma collettiva, consente di contrastare il fenomeno della cosiddetta selezione avversa, riuscendosi a spalmare su una coorte di età, sesso e stato fisico diverso i costi dei detti rischi. La proposizione si soluzioni retail, ad esempio, per la non autosufficienza attrae solo linteresse di fasce di popolazione più esposte al rischio, con conseguente crescita siderale dei costi per accedere a simili strumenti; 2) in un Paese come lItalia, dove il peso fiscale e il cosiddetto cuneo sul rapporto di lavoro tocca picchi da top ten a livello globale, saper orientare le limitate risorse verso servizi di welfare in forma specifica (attraverso, ad esempio, lutilizzo del premio di produttività) e utilizzare conseguentemente le agevolazioni esistenti, in luogo della resa delle stesse in moneta in busta paga, consente di evitare che leffetto dellaumento stipendiale sia sovente vulnerato dal diffalco dato dal pagamento delle imposte, con conseguente insoddisfazione del lavoratore e contestuale aumento importante dei costi per il datore di lavoro.
Altro aspetto su cui lavorare è quella di ragionare sullopportunità di abbinare necessariamente soluzioni long term care con lassicurazione del rischio RCA. La circolazione è certamente la prima causa di non autosufficienza nelle fasce giovani della popolazione (quelle che in ipotesi di grave invalidità hanno maggiori necessità di assistenza e la più lunga aspettativa di vita in condizione di grave o gravissima difficoltà).
Ora, stante la capillarizzazione e diffusione dellassicurazione RCA, non cè dubbio che il costo per garantire questo rischio sarebbe particolarmente contenuto. Ove, poi, lobiezione fosse nel senso di escludere questa possibilità per ragioni di contenimento dei premi dovuti per assicurarsi dal rischio della circolazione, basterebbe eliminare le imposte ora dovute pur a fronte di un obbligo di assicurarsi e di uno strumento definito dalla stessa Corte Costituzionale come vera e propria assicurazione sociale (la RCA, si intende). La riduzione di gettito fiscale sarebbe ampiamente compensata dagli effetti positivi dellintervento della soluzione LTC abbinata al premio e a tutela dei soggetti che circolino a bordo del veicolo e dovessero versare in grave stato di salute post sinistro.
Nel più ampio obiettivo di educazione finanziaria di base per il Paese, anche queste tematiche spesso, troppo spesso, dimenticate (come anticipato) dalle nostre scuole e università dovrebbero trovare attenzione e facile divulgazione (senza cadere in inutili tecnicismi volti solo ad allontanare i potenziali interessati dallascolto). Un esempio, che qui riprendo pari pari dal noto studioso della materia Raffaele Bruni, se entriamo in una libreria italiana per visionare e acquistare testi relativi alla materia del welfare complementare, il 99% del consultabile è dato da testi di diritto dedicati ai soli avvocati o magistrati. Allestero, la proporzione è opposta nel senso di trovare molto spesso manuali agili e di interessante lettura su come si crea un sano piano di welfare familiare e come affrontare le sfide che ci occuperanno tutti dal più al meno. Immaginate, anche grazie ala tecnologia, di poter chiare in breve tempo e ad effetto ad un datore di lavoro quali siano i vantaggi dellutilizzo degli strumenti di cui si discute, anche in logica di fidelizzazione dei propri keyman di impresa. Bisogna, poi, con altro tratto, ma per le stesse finalità, lavorare sui consulenti delle stesse PMI (avvocati e commercialisti in primis, spesso digiuni di nozioni in questi segmenti e portati a consigliare approcci forse utili sino a trentanni fa).
Alessandro Bugli, Area Assicurativa e Welfare Studio Legale Taurini&Hazan - Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
29/10/2018