Riordino della sanità integrativa: criticità e prospettive per il settore assicurativo

Il progressivo invecchiamento della popolazione, da un lato, e le crescenti difficoltà della sanità pubblica, dall'altro, spingono inevitabilmente i cittadini e in particolare il ceto medio a guardare con sempre maggiore interesse all'assistenza sanitaria integrativa: un ambito da tempo però a propria volta oggetto di ipotesi di riordino

Enzo Mario Ricci

Con il progressivo invecchiamento della popolazione unito alla restrizione del budget, il modello sanitario pubblico italiano, strutturato in base a competenze specialistiche e filiere verticali, non appare in grado di offrire delle risposte soddisfacenti. Le prestazione gratuite per ogni cittadino, che si mantengono a un livello accettabile con punte di eccellenza in particolari regioni, evidenziano un divario crescente tra Nord e Sud. La problematica delle “liste di attesa” è divenuta un fenomeno gravissimo soprattutto nell’Italia centrale e meridionale.

Il deperimento delle prestazioni offerte sta determinando la necessità che una fetta della popolazione, anche appartenente al ceto medio, si rivolga alla sanità privata. In particolare l’emergere di bisogni innovativi di prevenzione e di gestione personale della salute provoca fenomeni di insoddisfazione e di rinuncia delle prestazioni sanitarie, che non sono più soddisfatte dall’attuale offerta pubblica.

In tale contesto cominciano a emergere dei vuoti normativi sulla materia della sanità integrativa che alla lunga potrebbero nuocere all’intero comparto, con ricadute sia in termini di gestione e solvibilità delle singole forme di integrazione al SSN[1], sia  di qualità del servizio verso gli aderenti.

In particolare si dovrebbero adottare delle misure volte a garantire l’assoluta trasparenza dei contratti per il consumatore delle forme di sanità integrativa. La riduzione o l’eliminazione delle aree di discrezionalità interpretativa dovrebbe costituire l’obiettivo centrale di un’azione di riordino contrattuale. Tale obiettivo si potrebbe conseguire attraverso il ricorso a un nomenclatore unico delle prestazioni specialistiche, al quale dovrebbero attenersi tutti gli operatori della sanità integrativa (fondi, casse, società di mutuo soccorso, imprese di assicurazione, providers…) da aggiornare nel tempo, con il duplice beneficio di:

  • sopprimere le generiche macro-categorie di prestazioni, ricorrendo a formule non adeguatamente comprensibili dagli utenti, allo scopo di eliminare la discrezionalità dipendente dai soggetti che erogano l’assistenza sanitaria integrativa;
  • favorire una concreta uniformità tra i piani sanitari ed una comprensione semplificata al fine di agevolare la fruibilità delle prestazioni, consentendo un confronto omogeneo tra programmi sanitari offerti da diversi players, nel rispetto della libertà di scelta del cittadino.

In tal modo si dovrebbe addivenire a definire un’azione organica di riordino della sanità integrativa e, più in generale, delle forme di cooperazione tra pubblico e privato, che stimoli il ricorso a tali strumenti e favorisca l’indirizzamento di una parte significativa della spesa sanitaria privata delle famiglie verso la spesa intermediata da enti no profit e imprese di assicurazione. Il presupposto dovrebbe essere un riordino complessivo del comparto, con regole unitarie e realistiche in termini di prestazioni integrative e sussidiarie dei livelli essenziali di assistenza (LEA) del SSN. Interventi dovrebbero anche riguardare, secondo attenti criteri di proporzionalità, le regole di funzionamento, la solidità e il regime dei controlli sulla sanità integrativa. 

Gli interventi dovrebbero essere estesi anche al ripensamento dei benefici fiscali relativi all’iscrizione/adesione a forme sanitarie integrative con lo scopo di ridurre alcune discriminazioni ed effetti negativi. Esistono oggi importanti differenze avuto riguardo alla professione del richiedente[2] e alla forma integrativa di riferimento[3]. Lo stesso dicasi per il meccanismo delle detrazioni, che produce effetti dal punto di vista redistributivo e sociale. 

Con specifico riferimento al settore assicurativo, le norme fiscali applicabili al rinnovato comparto delle forme sanitarie integrative dovrebbero, anche al fine di evitare che si scarichi sul sistema pubblico tutto il rischio ritenuto non assicurabile dai privati, disincentivare un'eccessiva selezione dei rischi; escludere il diritto di recesso da parte dell’assicuratore per evitare che chi contrae una grave malattia si veda non rinnovato il contratto alla scadenza ovvero richiesto di gravosi premi per il rinnovo.

Enzo Mario Ricci, Servizio Studi e Gestione Dati IVASS 

25/7/2019 

(Le opinioni espresse nell'articolo sono quelle dell'autore e non coinvolgono la responsabilità dell'Autorità di provenienza)


[1] I fondi sanitari, le casse mutue e le società di mutuo soccorso sono sottoposte a requisiti di adeguatezza patrimoniale e organizzativa, nonché obblighi di tenuta dei libri e registri contabili, diversificati e meno stringenti quelli previsti per le imprese d’assicurazione. 

[2] Ad esempio, i lavoratori dipendenti possono portare in totale deduzione fino a 3.615,20 euro annui (con benefici indiretti anche per i datori di lavoro), mentre i lavoratori autonomi sono esclusi da tale misura.

[3] Il ricorso al prodotto assicurativo malattia individuale, allo stato, è tecnicamente e fiscalmente non conveniente se confrontato con le forme di assistenza sanitaria integrativa.

 
 
 

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