Asili nido, così non va

La situazione a livello nazionale è sempre più critica e il PNRR, al posto di aiutare a migliorarla, rischia di diventare uno strumento di amplificazione del divario tra le (poche) regioni con un buon sistema di asili nido e le (molte) regioni nelle quali questo servizio è carente o quasi inesistente

Lorenzo Vaiani

La situazione degli asili nido a livello nazionale nel 2019 (ultimi dati disponibili) mostra un Paese fortemente arretrato e con un disperato bisogno di investimenti nel settore.

Dal grafico sottostante, che mostra per ciascuna regione il numero di posti disponibili ogni cento bambini di età compresa tra gli zero e i due anni, si osserva come siano soltanto cinque le regioni che raggiungono la soglia prefissata dall’Unione Europea del 33% di domanda potenziale coperta: Emilia-Romagna; Umbria, Toscana; Lazio e Valle d’Aosta. È possibile notare come l’area con la percentuale maggiore di posti disponibili sia il cosiddetto Centro (con, in media, 33 posti ogni 100 bambini), molto superiore al valore medio nazionale pari a 24,7. Seguono poi le regioni del Nord (29,7%) e la Sardegna. Sono molto arretrate, invece, le Regioni del Mezzogiorno (12,5%), con il fanalino di coda Campania, che dispone di poco più di nove posti ogni cento bambini, un quarto di quelli disponibili nella regione al vertice, l’Emilia-Romagna.

Figura 1 – Numero di posti disponibili presso gli asili nido ogni 100 bambini tra gli 0 e i 2 anni

Figura 1 – Numero di posti disponibili presso gli asili nido ogni 100 bambini tra gli 0 e i 2 anni

Fonte: elaborazione Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Istat, 2019

Dopo aver esaminato la ripartizione di posti disponibili a livello regionale occorre scendere maggiormente nel dettaglio e provare ad analizzare la componente di spesa a carico delle famiglie e la percentuale di posti disponibili presso le strutture pubbliche.

La tabella riportata di seguito ordina in modo decrescente, rispetto alla colonna 1, le regioni in base alla componente di contribuzione a carico di ciascuna famiglia per il servizio di asilo nido (il rosso significa un'elevata richiesta di contribuzione, mentre il verde ne indica una scarsa). La seconda colonna segnala il numero di posti disponibili rispetto alla popolazione di riferimento a livello regionale (a un maggior numero di posti corrisponde il colore verde, mentre a un minor numero quello rosso); infine l’ultima colonna riporta la percentuale di posti in strutture pubbliche rispetto al totale di posti disponibili (le frecce verdi indicano una percentuale sopra la media nazionale (pari al 51%), le stanghette orizzontali un valore intorno alla media e le frecce rosse un valore inferiore). Idealmente, la regione “perfetta” sarebbe quella con bassi livelli di spesa a carico delle famiglie (cella di colore verde nella prima colonna), un elevato numero di posti (cella verde nella seconda colonna) e con una freccia verde nell’ultima colonna

La Regione che si avvicina maggiormente a questo idealtipo, al contrario di quanto qualcuno si sarebbe potuto aspettare e nonostante la grande attenzione qui posta all’educazione prescolare, non è l’Emilia-Romagnabensì il Lazio. La regione della capitale, infatti, è quella che riesce a bilanciare meglio i tre aspetti di cui sopra: si colloca al quintultimo posto rispetto alla percentuale di spesa a carico degli utenti (12,7%) e ha un numero di posti nettamente superiore alla media nazionale (33,5 contro 24,6). L’unica nota negativa è la scarsa percentuale di posti presso le strutture pubbliche (46,2%). 

Tornando a porre l’attenzione sulla prima colonna della tabella salta all’occhio come le prime due regioni per percentuale di spesa a carico delle famiglie siano, inspiegabilmente, la Basilicata e le Marche. Inspiegabilmente perché, se è vero che in entrambe le regioni sono previsti pochi posti presso gli asili nido  - meno di 20 nella prima e poco meno di 28 nella seconda  - e questo giustificherebbe un maggior costo a carico delle famiglie per il principio base dell’economia di mercato (con una domanda elevata e una scarsa offerta i prezzi salgono) lo è altrettanto che, in queste due regioni oltre la metà dei posti a disposizione sono presso strutture pubbliche. E ciò farebbe pensare che, grazie all’intervento pubblico, i prezzi per accedere al servizio siano più contenuti, ma a quanto pare così non è.

Le regioni nelle quali la componente di spesa a carico delle famiglie è la più bassa sono anche quelle dove il servizio è praticamente assente: Puglia, Sicilia, Calabria e Campania. Qui la percentuale di spesa pagata dalle famiglie è inferiore al 9% ma i posti a disposizione sono praticamente insignificanti (“addirittura” 17 in Puglia e circa 10 in Sicilia, Calabria e Campania). Inoltre, con la sola eccezione della Sicilia, in queste regioni la percentuale di posti in strutture pubbliche è irrisoria. Sostanzialmente, in quest’area del Paese si è deciso di non investire praticamente nulla nelle strutture e nei servizi rivolti alla prima infanzia.

Figura 2 – % di spesa a carico delle famiglie sul totale, numero di posti disponibili ogni 100 bambini,
% di posti in strutture pubbliche 

Figura 2 – % di spesa a carico delle famiglie sul totale, numero di posti disponibili ogni 100 bambini, % di posti in strutture pubbliche

Fonte: elaborazione Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Istat, 2019

Una spiegazione della scarsa offerta di asili nido è legata anche a un tema culturale presente nel Paese, e maggiormente accentuato in alcune aree, ovvero il prediligere per i bambini in questa fascia d’età l’affidamento e le cure informali, in particolare all’interno della famiglia, rivolgendosi a figure quali i nonni, oppure sono le madri stesse che, se in possesso di un lavoro, lo lasciano per accudire i figliQuesta visione su come gestire i primi anni di vita dei bambini crea almeno due problemi: riduce il numero di madri che dopo la gravidanza tornano al lavoro; rischia di essere nociva per il bambino stesso visto che ormai sono molteplici gli studi che sottolineano l’importanza dell’early childhood education and care per lo sviluppo e la crescita dei bambini (si veda, ad esempio, i contributi del Prof. James Heckman).

Ed è dunque in questa complessa situazione si inseriscono i fondi stanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per l’incremento dei servizi di asilo nido su scala nazionale. Come riportato dall’articolo "Perché i Comuni disertano il bando del PNRR sugli asili nido?", pubblicato sulla rivista Vita lo scorso 14 marzo, le richieste di finanziamento presentate dalle Regioni si sono fermate a 1,2 miliardi, ovvero la metà rispetto al totale messo a bando. Visto il disastro registrato con le pochissime proposte avanzate, con la sola eccezione dell’Emilia-Romagna, che si conferma apripista rispetto ai servizi per la prima infanzia, è stata disposta una proroga di un mese rispetto all’iniziale scadenza di fine febbraio.

Il PNRR rischia, quindi, di diventare (paradossalmente) uno strumento di amplificazione delle disuguaglianze. Laddove è già presente una consolidata offerta di asili nido, questa verrà aumentata ancor di più grazie alle nuove risorse, mentre le aree del Paese più arretrate da questo punto di vista e che faticano a implementare tali servizi resteranno ferme, comportando inevitabilmente un incremento del divario.

Una possibile soluzione potrebbe essere quella di sviluppare delle relazioni e collaborazioni one-to-one tra regioni e, soprattutto, tra comuni, visto che la gestione di questo servizio è affidata a loro. I comuni più grandi, maggiormente strutturati e con un’esperienza più consolidata in quest’ambito potrebbero aiutare già a partire dalle primissime fasi di progettazione dell’investimento in infrastrutture (è sempre bene ricordare che il PNRR prevede risorse destinate all’edilizia) le realtà che presentano difficoltà a causa della totale o quasi inesperienza, spesso legata alle dimensioni più modeste che comportano minori risorse, non solo di personale.

Per motivare i Comuni di dimensioni maggiori, oltre che far leva sull’aspetto di principio e valoriale, si potrebbero prevedere una serie di incentivi in termini di maggiori agevolazioni erogati dallo Stato, da corrispondere in modo progressivo e con importi sempre maggiori sulla base dell’avanzamento dei progetti da realizzare nelle realtà più piccole. Così facendo sarebbe possibile, in una prima fase solo a livello di infrastrutture, poi condividendo e mettendo a sistema i progetti educativi di maggior successo, non tanto replicare quanto di buono fatto nelle regioni del Centro Italia, dato che ogni area presenta le proprie peculiarità, bensì adattare le buone pratiche a ciascun contesto, grazie al supporto di chi ha un maggiore know-how in materia.

Purtroppo, come spesso accade, il tempo a disposizione è poco, però occorre far di tutto per evitare di sprecare l’ennesima opportunità che ci viene offerta per lo sviluppo del Paese.

Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

29/3/2022

 
 
 

Ti potrebbe interessare anche