Demografia italiana: nascite ai minimi e popolazione in calo

Gli ultimi dati Istat hanno destato nuovi timori sul calo prospettico di popolazione e lavoratori e, dunque, sulla sostenibilità del nostro welfare. Se molti commentatori fanno leva sul saldo migratorio, l’elevato tasso di inattività italiano suggerisce che le "soluzioni" andrebbero prima di tutto cercate altrove 

Francesco Scinetti

L'Istat ha da poco reso pubblici gli ultimi dati su natalità, decessi e saldo migratorio in Italia per l’anno 2024. A destare il clamore maggiore soprattutto il declino nelle nascite, che continua a segnare nuovi minimi storici. Per avere un’idea della portata del fenomeno, basti pensare che nel 1964 si raggiunse il picco con oltre un milione di nuovi nati. Da allora è iniziato un lento ma costante declino, che negli ultimi vent’anni si è accentuato in modo significativo. Dal 2008 a oggi, infatti, le nascite sono diminuite da circa 570mila a 370mila all’anno: una flessione del 35% in meno di due decenni. Anche il tasso di fertilità, rispetto al 2008, è sceso del 18% ed è tornato ai livelli registrati nel 1995, pari a 1,18 figli per donna in età fertile; valore distante da quel 2,1 che, secondo la statistica, sarebbe necessario per garantire la stabilità della popolazione. Oltre a questo, continuano a persistere forti differenze territoriali: il Trentino-Alto Adige si conferma la regione più virtuosa con un tasso di 1,39 figli per donna, mentre la Sardegna registra il valore più basso in Italia, scendendo sotto la soglia psicologica di 1, con un tasso di appena 0,91.

Figura 1 – Andamento nel tempo di nascite, decessi, saldo naturale e saldo migratorio

Figura 1 – Andamento nel tempo di nascite, decessi, saldo naturale e saldo migratorio

Fonte: elaborazioni Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Istat

Dall’altra parte, nel 2024, il numero di morti in Italia è sceso significativamente rispetto al picco del 2020: Istat segnala circa 649mila decessi, in linea con i livelli pre-COVID. Nel 2020, come facilmente intuibile, l’Italia aveva toccato un massimo storico: 746mila decessi, cioè quasi il 16% in più rispetto alla media del periodo 2015-2019 che si è attestata a 646mila unità. Fortunatamente, il tasso di mortalità sta scendendo in maniera generalizzata in Italia, non solo rispetto al 2020, ma anche rispetto al periodo pre-pandemico. Nel dettaglio, la Valle d'Aosta fa registrare il calo più marcato a livello nazionale (-12,2%), mentre il Molise, fanalino di coda, si attesta sul -4,4%. Guardando alle differenze di genere, gli uomini mostrano una diminuzione della mortalità più evidente rispetto alle donne (-11,1% e -8,1% rispettivamente). Infine, analizzando il fenomeno per classi d’età, i più giovani (0-9 anni) registrano il dato migliore con una mortalità in declino del 16,7%, contro il -3,9% della fascia 30–40 anni. Questo miglioramento generalizzato ha permesso al saldo naturale - la differenza tra nascite e morti - di risalire parzialmente dal minimo storico del 2020, pari a -341mila, agli attuali -279mila. 

Nonostante il saldo naturale sia stato negativo dal 1993, la popolazione italiana ha iniziato a diminuire in termini assoluti solo a partire dal 2014, quando il Paese è arrivato al picco, mai più raggiunto, di 60,8 milioni di abitanti. Da allora il numero di residenti è calato di quasi 2 milioni. Nel frattempo, però, la popolazione residente ha continuato a invecchiare secondo qualsiasi indicatore demografico: nell’ultimo decennio, l’indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra residenti con almeno 65 anni e quelli con meno di 15, è passato dal 157% al 200%; l’età media è aumentata di oltre due anni da 44,4 a 46,4 anni; l’indice di dipendenza, che misura quanti anziani ci sono ogni 100 persone in età lavorativa, è aumentato dal 32,5% al 38,6%. Numeri in parte compensati dal saldo migratorio netto che rimane positivo da circa 35 anni e ha accelerato significativamente a partire dagli anni Duemila: tra il 1989 e il 2000 il saldo era positivo di circa 40mila persone all’anno, mentre la media negli ultimi 25 anni si è attestata intorno ai 200mila. Per quanto riguarda le proiezioni future, sia l’Istat sia l’ONU certificano che ci sarà un calo ancora più significativo nella popolazione residente: l’Istituto nazionale di statistica prevede che, entro il 2080 saremo 46 milioni, mentre l’ONU parla drasticamente di 35 milioni entro il 2100. Laddove la previsione risultasse verificata, quello italiano risulterebbe il peggio calo tra i Paesi europei in termini di numeri assoluti, con il nostro Paese preceduto invece solamente da alcuni Paesi dell’Est, tra cui Polonia, Ucraina e Romania, in termini percentuali. Regno Unito, Francia, Svezia, Svizzera e Irlanda le uniche nazioni in Europa che continueranno a crescere anche nei prossimi 75 anni. 

Che lettura dare al calo (e all’invecchiamento) della popolazione italiana? Questo fenomeno non rappresenta necessariamente un’emergenza da affrontare aumentando il numero di immigrati, allo scopo di rendere sostenibile la spesa pubblica per il nostro welfare sempre più in crisi. Innanzitutto, bisogna considerare che il nostro Paese continua a perdere molti dei suoi cittadini più qualificati (proprio quelli che, per via dell’attuale struttura fortemente progressiva dell’IRPEF, contribuirebbero in misura maggiore alle entrate del bilancio pubblico) e attrae principalmente immigrati non qualificati, soprattutto da Paesi non OCSE, che contribuiscono marginalmente alle entrate fiscali a causa di redditi lordi contenuti. A titolo di esempio, i contribuenti che dichiarano tra i 7.500 e 15.000 euro pagano all’anno solo 296 euro di IRPEF. Inoltre, bisogna considerare che l’Italia presenta il tasso di inattività più elevato tra i Paesi UE: secondo gli ultimi dati Eurostat, il 32,9% della popolazione in età lavorativa non è occupata né cerca lavoro, contro una media UE del 24,6%. Se solo ci allineassimo alla media UE avremmo circa 3,2 milioni di lavoratori in più, con un impatto significativo sulle entrate fiscali e sulla sostenibilità del welfare.

Francesco Scinetti, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

 

18/8/2025

 
 

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