Gli effetti di COVID-19 alla prova dell'Istat

L'Istituto nazionale di statistica ha di recente pubblicato un'analisi sugli indicatori demografici relativi all'anno 2020: tra le molte tematiche affrontate, dalla mortalità al trend di invecchiamento, emerge il grande e ovvio impatto di COVID-19 sulla popolazione italiana, non senza sorprese

Giovanni Gazzoli

È vero che la pandemia ha aumentato anche la mortalità per cause “estranee” a COVID-19; è vero che nei giovani la letalità del virus è pressoché irrilevante; non è vero che l’invecchiamento della popolazione si è arrestato. Sono queste alcune delle informazioni ricavabili dall’ultima pubblicazione dell’Istat sugli indicatori demografici a tutto il 2020, in particolare quelle legate agli effetti che la crisi sanitaria provocata dal nuovo coronavirus ha avuto sulla struttura demografica del nostro Paese.

Il primo dato di carattere generale è relativo alla popolazione nel suo complesso: è diminuita, per il settimo anno consecutivo, arrivando a 59 milioni e 258mila individui all' 1 gennaio 2021. Un trend che ha molte componenti.

Per quanto riguarda la mortalità, i decessi direttamente attribuibili a COVID-19 sono stati quasi 76mila, per la precisione 75.891. Tuttavia, sono molti di più, circa 112mila, i decessi in aumento: ne deriva sia l’evidenza che molte vittime del virus non sono state comprese nel conteggio ufficiale sia il sospetto che SARS-CoV-2 abbia indirettamente causato altre vittime, ad esempio afflitte da patologie gravi che non sono state curate a dovere per via della difficoltà operativa del SSN, “intasato” dai contagi da nuovo coronavirus. Effettivamente, dunque, l’Istituto conclude che “senza la pandemia i rischi di morte sarebbero stati inferiori e non, come qui è ipotizzato ai fini del calcolo, precisamente eguali”.

È ormai estremamente noto che l’età avanzata è stata un fattore di decesso determinante: in effetti, tutte le perdite in eccesso si concentrano dopo i 50 anni, e aumentano col crescere dell’età. A parità di rischio di morte rispetto al 2019, il 2020 avrebbe dovuto avere un numero di decessi superiore di circa 1500 unità rispetto al numero effettivamente registrato, a dimostrazione della scarsa rilevanza della letalità del virus nelle classi più giovani, come giustamente tenuto in considerazione da tutti i piani vaccinali.

Una notizia che invece è in controtendenza con quello che si potrebbe pensare (anche legittimamente, in virtù del dato appena menzionato) è che il 2020 e la pandemia non hanno interrotto l’invecchiamento della popolazione italiana, che è anzi proseguito. L’età media degli italiani si è alzata da 45,7 anni a 46 anni nei 12 mesi tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2021. Di fatto, gli over 65 sono arrivati alla cifra di 13 milioni e 923mila persone a inizio 2021, ossia 64mila in più rispetto all’anno precedente; in percentuale sul resto della popolazione, si è dunque passati dal 23,2% al 23,5% in 12 mesi. Gli stessi over 80, molto colpiti dalla pandemia, sono aumentati di 61mila elementi, arrivando a essere 4 milioni e 480mila, ossia il 7,6% della popolazione. All’opposto tendono invece i numeri dei più giovani: gli under 14 ad esempio sono calati dal 13% al 12,8%. Certo, in alcune zone d’Italia il processo di invecchiamento ha subito dei rallentamenti, ma in generale si può parlare di fenomeni isolati, e in ogni caso estremamente contenuti.

Una delle componenti citate in apertura, oltre alla mortalità, è la ridotta natalità che continua a diminuire “senza soluzione di continuità”: come sottolinea l'Istat, si è passati in 12 anni da 577mila nati agli attuali 404mila, ossia il 30% in meno. Un dato che peraltro ancora non tiene conto degli effetti della pandemia, che dalle analisi dei dati di fine 2020 e inizio 2021 sembra aver avuto dei gravi effetti su questo fenomeno. Il che, indirettamente, è influenzato già da un altro dato – questo sì – accertato alla luce della pandemia, vale a dire il crollo dei matrimoni: il 48% in meno nel 2020, essendo stati solo 97mila. 

Infine, cresce in modo preoccupante l’età media al primo parto, che è arrivata a 32,2 anni (era 30,8 nel 2003). Ne deriva una fecondità delle donne tra i 35 e i 39 anni maggiore di quella delle 25-29enni; sempre più simile il dato tra over 40 e under 25. Non sorprende dunque la tendenza ad avvicinarsi sempre di più al singolo figlio per coppia, realtà già quasi in atto in varie regioni del Centro-Sud, molte delle quali sono sotto a 1,2 figli per donna; al contrario, le regioni del Nord sono più prolifiche, come nel caso del Trentino con 1,52 figli per donna. Evidente qui il legame con la situazione socio-economica italiana, anche piuttosto diversificata tra le diverse aree del Paese.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

18/5/2021

 
 
 

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